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Bertazzo Maria Maela
Vive a Marostica. E’ coniugata e madre di due figli; lavora presso un’azienda privata. Da alcuni anni collabora con gruppi di scrittura creativa. Questa passione è arrivata all’improvviso e non se n’è più andata. Come dice spesso “i numeri sono amici fedeli, ma le parole mi permettono di andare oltre”. I suoi racconti sono inseriti in diverse antologie. Ha ricevuto vari riconoscimenti e segnalazioni.
ROMANZO
La contrada dei peccati




Nani malta

La strada sterrata che portava dai Gunico era stretta, tortuosa e percorrendola nelle notti senza luna, le fronde dei tigli sembravano ghermirti, ombre tra le ombre, mentre dal lato opposto la roggia Isacchina generosa e scrosciante, accompagnava i passi dell’anima bisognosa di pace.
Giovanni tornava la sera, dopo una giornata di lavoro iniziata all’alba. Il faro della sua Bianchi illuminava a tratti il percorso e qualche sassolino saltellava contro il metallo delle ruote. Quel ticchettio, accompagnato dalla stanchezza e da un paio di bicchieri bevuti all’osteria, gli conciliavano il sonno. Teneva a malapena le palpebre sollevate e talvolta nel coraggioso tentativo di orientarsi nel buio le abbassava. Poi sentiva lo scroscio farsi più vicino e apriva gli occhi; ancora una pedalata e sarebbe finito nella roggia: l’acqua intorpidita dalle recenti piogge lo avrebbe sballottato, con la sola percezione di una mente leggera. Era con questa parte del suo essere che Giovanni combatteva; che poi riuscisse a ingannarla era inspiegabile anche per lui.
Da bambino, tutti lo chiamavano Ridolini. Non solo per il fatto che fosse allegro di natura, ma perché aveva una risata contagiosa, e la accompagnava con certe smorfie che a guardarlo non potevi non sganasciarti dalle risate. In classe, che se ti beccavano a ridere ti mandavano fuori o peggio dietro la lavagna, lui si sforzava di mantenere un contegno da bravo scolaro, ma proprio non ci riusciva. Bastava un nonnulla, una parola ambigua, uno starnuto, e lui faceva una risatina. Era sufficiente per scatenare un tale baccano che la maestra era costretta ad allontanarlo dall’aula, affidandolo alle cure del bidello. Erminio che non aspettava altro, lo portava con sé facendogli fare lavoretti noiosi, tipo raccogliere foglie secche o rastrellare il ghiaino del cortile. E Giovanni ci metteva un tale impegno, che nemmeno più ci pensava alle lezioni e ai libri, che poi a pensarci bene non gli stavano nemmeno simpatici.
Mancava poco alla fine della quinta e Giovanni venne promosso più per simpatia che per merito. Accantonata la possibilità di elevarsi culturalmente, diventò un muratore e per amici e conoscenti, Nani malta.
Quando sua madre morì a causa di una broncopolmonite, Nani aveva trentadue anni e nessuna fidanzata. Lavorava sodo, e nei giorni di festa anziché bighellonare per i bar, ristrutturava la casa che la madre aveva lasciato ai due figli. Ogni sera, di ritorno dal cantiere, si fermava in osteria. Sfogliava il Giornale di Vicenza, ascoltava le storie di guerra di Marieto el pirata, i vaneggiamenti di Sandro mato, raccontava barzellette e beveva. Si stordiva quel tanto che bastava per addolcire i pensieri amari e permettergli più tardi di rimanere in equilibrio sulla bici. Ma soprattutto pensava ad Antonia. Fantasticava, sognava, aveva pensieri impuri e si dannava per un amore che l’intervento di Dio, aveva improvvisamente reso possibile.
Mentre lui pensava ad Antonia, Olga da dietro il bancone lo osservava. Da un po’ di tempo la sua presenza la turbava a tal punto che a letto, se suo marito si avvicinava con ovvie intenzioni, lei pensava a Nani, alle sue braccia muscolose, al sorriso che gli illuminava gli occhi dandogli un’aria da monello. Succedeva di tanto in tanto che i loro sguardi si incrociassero casualmente; in quei momenti lei sentiva un rimescolio dentro che mai aveva provato per Alfonso. Suo marito era un brav’uomo, nessuno avrebbe potuto dire il contrario, ma ahimè così scontato nei gesti e nelle intenzioni, che col passare del tempo lo considerava più un fratello che un amante.
Si era sposata giovane Olga e i quattro figli erano arrivati uno dietro l’altro. Le avevano lasciato un corpo sformato, e tra il seno e il bacino non c’era più quella curva sensuale che da ragazza metteva in risalto con vestiti aderenti. Il suo viso aveva perso splendore e lo specchio le rimandava una donna sconosciuta. Come non capiva il nuovo sentimento che aveva messo radici profonde. E pensare che da bambini Nani non le staccava gli occhi da dosso e insisteva per fare insieme la strada di ritorno dalla scuola. Ma lei, Olga la superba, l’aveva sempre snobbato. Non le piaceva quel ragazzino alto e magro, che faceva smorfie e rideva sempre. Così cercava in tutti i modi di evitarlo e si accodava a certe antipatiche pettegole, solo per tenerlo a distanza.
Qualsiasi altro uomo si sarebbe accorto del cambiamento della donna: del luccichio riapparso nei suoi occhi scuri, dei sorrisini, dei balbettii. Nani no, per lui esisteva solo Antonia. Con questo pensiero tornava a casa la sera. Accendeva la stufa, affettava il salame, metteva a bollire un uovo, tagliava una patata lessata. Dalla finestra con le tendine bianche a pois rossi, che sua madre aveva cucito tanti anni prima, guardava il giardino: il melograno pieno di frutti crepati, l’acero coccolato dalle foglie rosse cadute ai suoi piedi, i rami del caco che soccombevano dal tanto peso. Ultimamente aveva trascurato quel pezzo di terra curato con amore, e aveva lasciato che i frutti maturi cadessero a terra e fossero mangiati dagli insetti. Ora lo guardava con rinnovata speranza e mai la natura gli era parsa così viva: vedeva api ronzare, fiori sbocciare, bambini correre spensierati.

Tonia dei pomi

Antonia Tagliaboschi di professione fruttivendola aveva un sogno mai confessato: lavorare in un circo e girare il mondo. Invece se ne stava gran parte della giornata imprigionata in una stanzetta ricolma di cassette. La noia la stava uccidendo. Almeno il marito l’avesse portata con sé al mercato ortofrutticolo! Avrebbe visto facce nuove. Ogni volta che glielo chiedeva, lui si arrabbiava dicendole che quello era un posto per uomini, che cosa ci veniva a fare, a farsi ridere dietro?
Un posto per uomini! Già, proprio una bella ingiustizia. Quanto le sarebbe piaciuto un giorno entrare da Alfonso, battere il pugno sul tavolo e dire: Oste, un bianco! Non che a lei il vino piacesse, l’avrebbe fatto così, per rompere l’immobilità di quella contrada, per agitare un po’ le anime morte. Sarebbe stata sulla bocca di tutti: “avete visto la moglie di Amedeo al bar che vergogna”. Che ridere! E suo marito? Madonna, come si sarebbe incazzato!
Che sia stata la noia, un gene ereditario o altro, fatto sta che Antonia cominciò a sentire delle voci. La prima volta le sembrò di udire il suo nome, non proprio intero ma la parte finale, una cosa come oniaaa. Girandosi di scatto verso la finestra che dava sulla piazzetta antistante l’osteria, aveva visto solo i vasi di coccio con dentro i gerani. “Maria sto diventando matta”. Era andata nel retrobottega a prendere le banane e quando aveva rimesso piede nella stanza, l’aveva risentita. Stavolta però aveva avuto la sensazione che il suono provenisse dalle cassette delle mele. Le aveva fissate socchiudendo gli occhi, e si era avvicinata prendendone una in mano: tonda, rossa, con striature gialle. Ne aveva aspirato il profumo. Sono pur sempre creature di Dio, aveva pensato riadagiandola, ma che arrivino a parlare, questa poi. Passarono alcuni giorni senza che niente d’insolito succedesse nel piccolo negozio della fruttivendola, tanto da rasserenarla. Nemmeno più tormentava il marito con le solite paturnie perché aveva fatto un voto alla Madonna: “se non mi fai più sentire le voci, non mi lagno più”.
Probabilmente la Madonna sentì la sua preghiera, ma non poté far niente contro forze più potenti. Infatti, esattamente una settimana dopo, Antonia risentì la voce, solo che stavolta aveva pronunciato parte del nome del marito: edeooo. Un brivido nella schiena e un mancamento l’avevano costretta a sedersi. Proprio in quel momento era entrata Olga.
- Mi serve un chilo di fagio... ma cos’hai? sei bianca come la morte, per caso sei incinta?
Ecco, pensò Antonia, ci mancava solo che questa vipera sputasse veleno, che ormai lo sapevano anche le zanzare che sti figli non arrivavano. Parla lei che ha sfornato una tribù di maschi indemoniati. Entravano in negozio e mettevano le mani dappertutto. Maleducati che non erano altro!
- Chissà potrebbe essere, - aveva risposto Antonia-.
- Ah, beh, ma non vedo i fagioli, - disse l’altra guardandosi in giro.
- I fagioli... oh che peccato oggi non ce li ho i fagioli.
- E adesso come faccio? Ho già preparato la salsa. E cosa servo stasera in osteria?
- Cara, non so cosa dirti, ma Amedeo non me li ha portati a casa ieri, che si sia dimenticato?
- Lo devo proprio sgridare, - disse la moglie dell’oste, e senza nemmeno salutare uscì impettita con il muso lungo.
Antonia era andata nel retro e aveva guardato con soddisfazione la cassetta di fagioli. Ogni volta che vedeva quella donna, il sangue si agitava nelle vene, come ora, che si sentiva il viso in fiamme, altro che pallida come la morte. La voce! La voce era tornata, ma cosa significava? Rimase là seduta a pensare finché il marito non vedendola in cucina la chiamò scocciato.
Dal momento in cui aveva sentito la voce al giorno in cui Amedeo morì d’infarto passarono sette giorni. Travolta da un tornado, Antonia non collegò minimamente la scomparsa del marito con l’episodio della voce; aveva ben altri pensieri. Ad esempio, come si sarebbe d’ora in poi procurata la merce?
Se da piccola si metteva a frignare, sua madre la rimproverava: “Se piangi sempre va a finire che non avrai più lacrime”. Per paura che finissero davvero, Antonia le reprimeva e quando sentiva che le pungevano gli occhi, scrollava la testa piena di ricci e si metteva a cantare. Quanto canta sta figliola, si lamentava la madre con il marito. Ma siccome Antonia ci trovava gusto a infastidirla, perché non le andava mai bene niente, cantava a squarciagola. Per la verità ora non se la sentiva di cantare, e qualche lacrimuccia le scappò mentre il prete elogiava le tante buone cose che Amedeo aveva fatto nella sua vita. Quando tutti tornarono nelle loro case, Antonia si sentì solissima e con un grosso problema da risolvere. C’è una sola cosa che posso fare, disse rivolta alla Madonna sopra il comò, ma ho idea che nemmeno tu mi possa aiutare.
Una mattina si svegliò molto presto; il cielo sembrava appena dipinto, l’aria già tiepida, i gerani avevano messo i primi fiori rosa. Fece colazione con una scodella di caffellatte e pane biscotto, si preparò con cura, nascose i riccioli sotto un cappello di Amedeo e aprì il portone del garage. Zizzagando e rischiando di finire contro un gelso, lasciò la contrada e andò incontro al sole. El soe piase ai bei e da fastidio ai bruti, diceva sua madre quando lei si lagnava delle scottature.
Olga, che si era appena svegliata, tese l’orecchio e strattonò il marito che per poco non le diede un pugno. Chi diavolo ci sta sull’Ape di Amedeo?
Antonia tornò due ore dopo, con il viso accaldato e le mani tremanti. Nemmeno lei seppe spiegare in seguito come avesse fatto a guidare quel trabiccolo, affrontare una masnada di uomini e ritornare a casa tutta intera. Gli abitanti della contrada che la videro scaricare le cassette vestita da uomo, pensarono che Antonia Tagliaboschi fosse impazzita. In realtà non si era mai sentita così coraggiosa come dentro quegli abiti maschili. Solo scaricando l’ultima cassetta di mele questa le scivolò di mano e la frutta si sparse rotolando verso l’osteria. Olga che non attendeva altro le gridò:
- Ehi Antonia me li tengo io sti pomi, al posto dei fagioli che non mi hai venduto!
- Non ti azzardare a toccare quelle mele-. Antonia alzò il pugno in direzione della donna.
L’altra si chinò, acciuffò il primo frutto che trovò e diede un morso rabbioso.
- Tonia dei pomi, toh! Scaraventò la mela rosicchiata contro la fruttivendola, che la scansò per un pelo.
A sua volta Antonia rilanciò in direzione dell’ostessa. Olga che aveva la mole di un’orsa non fu agile come l’altra nello scansare il frutto, che gli arrivò in piena fronte. Barcollò ma non cadde.
Alfonso che stava abbrustolendo la polenta uscì sentendo le urla e per poco non gli arrivò un pomo sul naso. Tirò dentro la moglie che si dimenava come un boa e chiuse la porta dell’osteria, ponendo così fine alla guerra dei pomi.
... (continua)
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