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Maggio Rodolfo
Nato nel 1987. Lavoro come antropologo presso l’Università di Oxford. Ho pubblicato articoli su riviste accademiche e scritto quattro monografie per Routledge. Ho auto-pubblicato il romanzo “Il Dolore di Ognuno” e la raccolta “La Favola del Giovane Venditore di Té”.  Il mio materiale inedito include una Raccolta di poesie e il Diario di campo delle Isole Salomone. Sono sposato con Paola, padre di Ettore, e vivo tra Milano e Oxford.
Rodolfo Maggio
ROMANZO
IL PREZZO DELLA SPOSA




PROLOGO
Alle volte sembra davvero che il cielo sappia ascoltare. Una persona muore e comincia a piovere. Quando c’è bisogno di pensare, si china il capo, si adombra lo sguardo, ed ecco le nuvole. E l’odore dell’aria che si fa più pesante.
Il cielo sembra sapere quel che succede. Sembra che ci conosca. Anzi, forse è proprio vero che ci conosce; tutti, uno per uno. Sa quello che siamo, cosa facciamo, e sa perfino perché. Per questo, se solo potesse parlare, quante cose avrebbe da dire. Eppure, anche se potesse, probabilmente non direbbe proprio niente. Si limiterebbe comunque a tacere, a riempirsi di nuvole quando dobbiamo pensare, a rompere in lacrime quando una persona muore. E lascerebbe comunque a noi, e solo a noi, il compito di capire chi è stato, come, e perché.


PRIMA PARTE 
CAPITOLO 1
6 Novembre, ore 04:57
1.
Cyril O. Gafemanu, capo della sicurezza del primo ministro, era arrivato trafelato in cima alla collina di Tasahe. Era un guadalcanese insolitamente snello e marziale, ed anche in quel frangente la divisa gli stava addosso in maniera impeccabile. Raggiunto il cortile davanti alla casa, si guardò intorno con apprensione e prese a chiamare forte.
Serina Salae era già sveglia per rassettare. Non lo sapeva ancora, ma una volta messo il naso fuori di casa si sarebbe trovata nel bel mezzo di un’emergenza nazionale.
«Raf!  Vieni fuori, Raf! Hanno fatto un attentato!»
Lui non c’era. Colta di sorpresa, Serina guardò fuori dalla finestra, vide il poliziotto, e si precipitò all’entrata. Quando uscì, il cuore le spingeva nella gola.
«Cyril! Cosa c’è??» disse tenendosi lo sterno.
«Sorella! Dov’è Rafael? Perché non risponde al telefono?»
«Perché sta sott’acqua!»
«Dove??»
«A Boneghi. Ma che è successo?»
«La signora Mae... era a Malaita, nel nord... sulle isole artificiali…»
Ansimava.
«...dalla famiglia... L’hanno trovata... annegata... »
Le pupille di Serina parvero dilatarsi.
«...era incinta... otto mesi...»
La donna si strinse la veste e lo guardò con orrore, portandosi una mano davanti alla bocca.
2.
Sott’acqua, al buio.
L’aria che spingeva da dentro i polmoni pareva portarlo a fondo. Ascoltava il fremere delle correnti sui bordi delle rocce, e sembrava cadere più che nuotare. Il corpo era quasi immobile, e le bolle in equilibrio sull’orlo delle narici dimostravano la sua calma e concentrazione.
Dopo aver letto le parole piene di ammirazione di quella sconosciuta, aveva portato il cursore sul tasto ‘Rispondi’. Poi aveva composto meccanicamente, trattenendo il respiro.
Gentile Véronique,La ringrazio molto per il suo incoraggiante supporto. Le sue parole sul mio libro.
E si era interrotto. Aveva sentito che la sua gratitudine avrebbe generato una gratitudine uguale e contraria. Quel sentimento, ne era certo, avrebbe invitato la sconosciuta a comporre un altro messaggio. E probabilmente sarebbe stato un messaggio ancora più amichevole. E questo lui non lo voleva.
Non voleva essere scortese, ma non voleva neanche stabilire una relazione. Se avesse potuto, avrebbe voluto essere invisibile; passare sempre completamente inosservato, per poter fare quel che sapeva fare, ma di nascosto, senza dare nell’occhio.
Se fosse stato possibile, avrebbe dato il suo contributo da lì, dal fondo del mare, da dentro a una caverna nascosta dove nessuno, proprio nessuno, lo avrebbe mai potuto trovare.
Ma non lo era. La sua vocazione lo obbligava a stare a contatto con il mondo, a vivere nel mondo, a interagire.
“Ma solo lo stretto necessario.”
Aveva spostato il cursore sulla scritta ‘Elimina’, e quando lo schermo gli aveva chiesto se ne era sicuro, lui aveva fatto sì con la testa e cliccato sul tasto sinistro del mouse. Poi si era appoggiato allo schienale, si era messo le mani sul viso, e aveva esalato un respiro. Lungo, come se quegli ultimi tre secondi gli fossero costati una fatica enorme. Aveva infine chiuso il portatile, si era alzato dalla poltrona, e nella penombra della stanza si era preparato per la discesa nella caverna.
3.

Serina guardò il lato orientale della città che si estendeva alla loro destra. Ne provenivano gli echi delle sirene lontane. Guardò Cyril interrogativa e gli chiese:
«Chi può aver fatto una cosa tanto orribile?»
«...è questa la cosa più assurda, Serina... Il solo che sapesse della visita di Felicity era il padre, un uomo anziano...»
«E il marito?»
Cyril scosse la testa.
«É fuori di sé. Sta facendo arrestare tutti quelli che hanno famiglia a nord di Malaita. Sai quel gruppo di case a est, al villaggio dei pescatori? Tutti in arresto. Non ci sono abbastanza manette! Quelli di Lau li hanno chiusi nelle loro baracche. E quelli di To’abaita, uguale.»
«Sospetta dei malaitani?»
«Sì. Pensa che lo hanno fatto per vendicarsi della legge su…»
BI–BI–BIP     BI–BI–BIP     BI–BI–BIP
Gafemanu guardò il display del suo consumato Nokia 1110. Rispose esitante.
«Pronto?»
Serina lo stette a guardare senza dire niente. Il capo della sicurezza ascoltava con preoccupazione. Le palpebre sbatterono due volte mentre riceveva la comunicazione. Diede parere affermativo, guardò di nuovo il display, e chiuse la telefonata.
«Ci sono buone notizie. Hanno rianimato la First Lady. É stata appena portata all’Ospedale Centrale.»
«Rianimata? Ma come? Dove?»
«Una squadra di operatori della RAMSI ha portato dei medici a nord di Malaita con un elicottero.»
«Come sta?»
«Mi hanno detto che è messa male... molto, molto male.»
Serina guardò inquieta le labbra del poliziotto. Erano screpolate.
«É attaccata a una macchina che la fa respirare. Forse dovranno operarla per far nascere il figlio.»
Strinse il cellulare, proprio nel momento in cui riprese a vibrare emettendo un trillo spezzettato.
«É un messaggio dal cellulare di Raf, ha riacceso il telefono.»
«Chiamalo, fratello. Digli di venire qui subito!»
Silenzio. Quando Cyril aveva premuto lo scolorito pulsante verde sulla tastiera, il silenzio per cui Rafael aveva scelto quella casa sulla collina era tornato a regnare in un attimo. Poi Serina udì nuovamente l’urlo delle sirene che serpeggiava nel vento. Dall’altra parte della capitale, tra le palme sporche di smog, le baracche di lamiera e gli sputi rossi di betelnat, la caccia all’uomo era cominciata.
Pensò che a Raf avrebbero consigliato di tenersi fuori. Tutti gli espatriati avevano la tendenza ad astenersi da qualsiasi faccenda che riguardasse la politica. Non è senza una punta di razzismo che veniva stabilita quella tacita clausola. Era un po’ come dire: “Noi siamo qui per aiutarli, ma se quelli vogliono fare come nel ‘98, mandare tutto in malora con le loro dannate tensioni etniche, che lo facciano pure. Noi  siamo gente civilizzata, non dobbiamo rimanere immischiati.” Ed era proprio per quel sottinteso senso di superiorità che Serina credeva di sapere esattamente in che modo Raf avrebbe reagito.
«Man! A che punto sei?» urlò Cyril nel telefono. Ricevuta risposta, urlò ancora più forte. «Vieni subito su a Tasahe. Qui sta scoppiando un’altra guerra civile! C’è tutta la polizia di Honiara schierata in posti di blocco giù a est. Presto verranno anche dove stai tu. Quando avranno finito coi malaitani verranno a prendersela coi polinesiani; se non parti subito rimarrai bloccato sulla Visale-Honiara. Eh? No, non si tratta di questioni di terra. Questa volta è Tito che è andato fuori di testa. Completamente, TOTALMENTE fuo-ri-di-tes-ta! Lui ce l’ha a morte coi malaitani, lo sai, come tutti gli Arosi.... Non sto facendo delle generalizzazioni! Ascolta cos’è successo.»
Serina ascoltò le prime battute di una storia che ormai già conosceva. La voce del capo della sicurezza era agitata, e si mangiava le parole. Capì di non aver più niente da fare lì dov’era. Per questo tornò in casa.
Il rombo del fuoristrada bianco risaliva la collina. Serina lo vide con la coda dell’occhio attraverso la finestra. Stava controllando le batterie delle torce, e infilando i barattoli sterili in un contenitore rigido. Sentì la voce stanca del motore invadere il cortile.
Cyril parlava forte, animatamente. Raf era calmo; aveva ancora i capelli neri bagnati di mare. Il suo amico gli spiegò che circa un’ora prima l’ambasciatore australiano gli aveva telefonato per chiedere che Raf prendesse parte alle indagini. Voleva lui, perché “l’altra volta era stato indispensabile”. Ma il rifiuto di Raf fu tanto laconico quanto netto.
«Mi dispiace fratello, ma questa volta non posso darvi una mano.»
«Ma Malcolm…»
«Cyril, davvero, dovrai dirgli che non sono disponibile.»
Il poliziotto lo guardò e capì. Rafael stava attraversando un momento non dei migliori. Era tornato a Honiara da circa un anno dopo che lo avevano allontanato dall’università dove lavorava. Dopo essersi trasferito, aveva trovato lavoro presso una ONG. Ma in pochi mesi anche loro lo avevano messo alla porta. Sembrava che non ci fosse posto per lui in nessun luogo. Per questo aveva smesso di provarci. Quando Cyril capì che non ci sarebbe stato modo di convincerlo, smise di insistere. Raf tentò di cambiare discorso.
«Come mai sei venuto fin quassù a piedi?»
«Che tu ci creda o no, le macchine sono tutte occupate per questa assurda caccia all’uomo. Non credo che tu ti renda conto di quanto è grave la faccenda.»
Rafael capì il doppio senso di quella frase. Alludeva, non solo alla scala delle operazioni di polizia, ma anche al fatto che si stava rifiutando di aiutare, in un momento in cui c’era bisogno di tutte le risorse disponibili. Ma lui no, lui non era disponibile.
«Serina!» Rafael chiamò dal fondo delle scale di legno.
«Quasi pronto» rispose lei dallo studio del suo datore di lavoro.
I due uomini si guardarono, aggrottando la fronte, e rimasero un istante in silenzio. Poi Raf riprese a parlare come per chiarificare.
«…scendo alla centrale di polizia… accompagno Cyril….» Lo aveva detto con un tono che suonava interrogativo, come se cercasse una conferma dalla sua domestica.
Lei si presentò in cima alle scale con stampata sul viso un’espressione di sorpresa e delusione.
«Ah… ma, credevo… ti ho preparato lo zaino.»

4.

Per evitare i posti di blocco Raf aveva preso la via delle colline che circondano Honiara. Che non è una via, ma una sequela di onde d’erba così verde da togliere il fiato.
«Ascoltami bene Cyril» disse al suo amico. «Devi fare esattamente quello che ti dirò. Quando arriveremo all’aeroporto, prendi la macchina, torna a Tasahe e poi prendi la Skyline.»
«All’aeroporto?»
«Vai alla casa dell’ambasciatore australiano e digli che forse accetterò, ma che dobbiamo prima parlarne. Caricalo in macchina e fammi chiamare con il suo telefono. É un satellitare, dagli tu il mio numero. Portalo da Tito e falli incontrare. Qualunque cosa succeda, fai come ti ho detto. Oppure telefonami, intesi?»
«Sì capo culo bianco! Piccolo negro di merda tutto capito capo!»
Rafael scoppiò a ridere, e forte, assumendo quell’espressione che in un istante lo tramuta da antropologo sociopatico in un bambino. Un bambino felice di avere un amico, un amico con cui giocare all’avventuriero. E questo Serina lo sapeva. Quando lo aveva confrontato dalla cima delle scale, con quel suo sguardo materno e al tempo stesso severo, Raf aveva capito che se non avesse accettato non avrebbe potuto tornare a casa e guardarla in faccia. Doveva almeno provarci, a dare un mano. Non c’era stato bisogno di dirlo. Era successo in un attimo, quando aveva preso lo zaino dalle sue mani.
«Finiscila di fare il cretino!»
Cyril ricambiò il sorriso con una fila di denti bianchissimi, e continuando a scherzare gli tamburellò su una spalla scimmiottando una danza tribale. Per un momento si erano dimenticati di tutto; di star ragionando, discutendo, ipotizzando. Di star guidando sopra a una bomba a orologeria.
«Cosa ci vai a fare a Boneghi?» chiese Cyril mentre il suo sorriso lentamente svaniva.
«Dicono che ci sia una sirena» rispose Raf guardando davanti a sé.
«Ah, sì, che si fa vedere una volta l’anno. La famiglia che vive vicino alla spiaggia, dicono di avvistarla da lontano.»
Si zittirono ancora e la loro espressione cambiò. Poi Raf riprese:
«Com’è il rapporto di Tito con la moglie?»
Cyril si prese un momento per riflettere, e sembrò adombrarsi.
«Forse... forse non è così diverso da quello di tante altre coppie sposate.»
Raf svoltò a sinistra e prese a discendere la collina.
«Tito mi aveva chiesto di intercettare le sue conversazioni. Come lo chiameresti questo?»
«É un rapporto... di certo non fondato sulla fiducia.»
«Decisamente no.»
Svoltò a destra e poi di nuovo a sinistra per evitare un gruppo di baracche nascoste nella vegetazione.
«Da quanto la intercettavi?»
«Circa tre mesi.»
«Scoperto niente?»
«Immagino che tu non te la prenda se non ti rivelo proprio tutti i particolari?»
«No, no, capisco, avrai firmato una montagna di carte per la riservatezza. Dimmi solo se hai visto o sentito qualcosa di importante negli ultimi due o tre giorni.»
Cyril rifletté un momento, poi rispose.
«L’ultima telefonata tra di loro l’ho ascoltata mercoledì ed è stata un po’ tesa. Ma non si sono detti nulla di brutto. Come stai, come stai tu, come sta la famiglia, cos’è successo al lavoro, cose così. Stavano ricucendo, direi. Erano settimane che se ne dicevano di tutti i colori. Lo sai com’è Tito, perde la pazienza per niente. E Felicity non era... Scusa, non è...»
«Non è. Non è. Cristo!»
«...non è certo la tipa da farsi mettere i piedi in testa.»
La macchina fece un sobbalzo per superare un dosso. A un chilometro si scorgeva la pista di decollo.
«Quando sarai con l’ambasciatore, digli che deve fare di tutto per fermare gli arresti incondizionati. Digli che si prepari un discorso, che faccia capire a Tito che rischia conseguenze gravi sul piano dei diritti umani.»
«Va bene, ma lui insisterà dicendo che le sue sono misure preventive, che quello che sta facendo lo fa per scoprire se ci sono gruppi di miliziani. Questo ha tutta l’aria di essere un attentato terroristico, Raf. Una cosa grossa, politica.»
«E non è detto che non lo sia. Ma gli uomini che sta arrestando non c’entrano niente.»
«Come fai a saperlo?»
Raf indugiò. Aveva davvero senso quello che stava per dire? Era solo una sensazione, qualcosa di irrazionale, o un’intuizione? Non lo sapeva, ma lo disse come se ne fosse certo
«Chiunque sia stato, la conosceva.»
5.
All’aeroporto Cyril fece manovra e lanciò il pick-up in direzione della casa dell’ambasciatore. Raf corse alla rimessa, salì sul biposto in dotazione alla sicurezza governativa, attese l’autorizzazione dalla torre di controllo, e decollò più velocemente che poté. Non c’era molto carburante, ma sarebbe stato sufficiente. Quando raggiunse la quota di volo, inserì il pilota automatico e parlò nel ricevitore.
«Sto aspettando una telefonata. D’ora in avanti, silenzio radio. Passo e chiudo.»
Una voce gracchiante disse qualcosa con un forte accento isolano, ma Raf aveva già staccato il jack dal quadro comandi. Tirò fuori dallo zaino un astuccio con dei piccoli cavi e una manciata di convertitori. Ne montò uno al cavo della cuffia e lo inserì nel telefono satellitare. Dopo pochi minuti quello emise un suono lungo e acuto. Raf premette un tasto sull’asta della cuffia e parlò nel microfono.
«Buongiorno ambasciatore,  spero che non le abbiano rovinato il barbecue.»
«Eccome se me lo hanno rovinato, bugger! Ma proprio di domenica dovevano montare su tutto questo casino? Allora, dottore, ha deciso di darci una mano?»
«Sì, ma i termini li voglio chiarire fin da subito. Non voglio che questa storia si trasformi in una specie di secondo episodio.»
«È la stessa cosa che voglio evitare anche io. Ha saputo cosa sta facendo Tito?»
«Me lo ha detto Gafemanu. Ci sono novità?»
«Ho fatto colazione coi piagnistei del mio staff. I nostri ragazzi sono ancora in tutto l’arcipelago. Per ora la situazione è sotto controllo. Ma la RAMSI non è addestrata per avere relazioni con i locali, quindi non posso usarli per indagare. D’altra parte la polizia di qui è in mano al governo. Per cui non so quanto ci si possa fidare…»
Rafael capì immediatamente a cosa l’ambasciatore stava alludendo. Ma non lo disse. Rimase in silenzio, sapendo che l’impazienza di Malcolm lo avrebbe portato a scoprire le proprie carte.
«Civet, ho bisogno che lei mi aiuti a capire che cosa succede, dall’interno.»
La voce dell’ambasciatore era calma e piatta, come un ferro da stiro. E a quello serviva, a stirare le increspature che trovava sulla propria strada. Sapeva che Raf aveva le sue idee e i suoi metodi. E anche se quei metodi lui neanche li capiva bene, sapeva che era stato “fottutamente bravo” durante le negoziazioni con le milizie malaitane, ai tempi delle tensioni. Per questo aveva bisogno di lui. Ma non delle sue idee. Dei suoi metodi sì, ma non delle sue idee.
«Mi dispiace, ma temo che non sarà possibile. Non faccio la spia, non è il mio lavoro.»
«Mi ascolti, Civet. So esattamente che cosa dobbiamo fare.»
Simbolicamente, l’ambasciatore aveva stretto la mano di Rafael in quello che poteva essere considerato l’inizio di un accordo. Ma ora stava cercando di torcere il polso fino ad ottenere una posizione di dominanza. Nelle relazioni diplomatiche è fondamentale cominciare una negoziazione chiarendo subito chi mostra il palmo e chi il dorso. Non è un trucco, ma più che altro un’usanza. E Rafael lo sapeva, per questo torse a sua volta il polso finché l’ambasciatore non fu costretto a cedere.
«No. Adesso glielo dirò io quello che faremo, e quel che succederà se non mi ascolta.»
«Okay, okay, non si scaldi» disse Malcolm con tono falsamente canzonatorio. Aveva ottenuto parte di ciò che voleva, e ora Rafael si apprestava a dettare le proprie condizioni. Gli andava abbastanza bene.
«Mi dica, voglio proprio sapere che cosa le frulla in testa.»
Raf aveva aspettato quel momento come i San del Kalahari imitano il percorso dell’antilope. Seguono le tracce, imitano i movimenti, fino a diventare loro stessi quell’antilope. Non hanno un arco potente, né frecce che possano ferire a morte. Il segreto è nella punta. Con la conoscenza di millenni hanno imbevuto quelle frecce di una sostanza, un farmaco che agisce veloce, arrivando dritto al cuore, ma senza fare male.
«Lei lo sa bene, ambasciatore, che tra Malaita e Makira non corre buon sangue. Se la scorsa volta lo scontro è stato coi guadalcanesi, questa potrebbe essere la volta della provincia di Tito. Ma lui non può non considerare che tre quarti della polizia di Honiara è malaitana. Non può davvero credere che si metteranno contro i loro cugini, zii, fratelli. Giusto? L’ultima volta che qualcuno ha provato a fare una cosa del genere quelli hanno portato frotte di ventenni alla centrale di polizia, hanno fatto saltare i battenti dell’arsenale e li hanno trasformati in guerriglieri. Se lo ricorda?»
«Certo.»
«Anche Tito se lo ricorda.»
«Quindi? Quel che sta facendo non le torna?»
Aveva già cambiato tono.
«Già, si direbbe che la sua sia una mossa calcolata, forse vuole solo sollevare un gran polverone, e poi quando la situazione diventa calda tirare indietro la mano.»
«Ma perché?»
Davanti a Raf il mare luccicava. Cominciavano a vedersi le isole della Provincia Centrale. L’aereo passò sopra un gruppo di canoe. I pescatori salutarono il grande uccello. Era già a metà del tragitto quando l’ambasciatore, frustrato dalle congetture di Rafael, fu sul punto di riattaccare.
«Non chiuda, per favore. Resti in linea. È arrivato da lui?»
Seguì qualche istante di parole lontane, durante il quale Raf rimase in attesa. La voce del primo ministro gli giunse rauca.
«Chi parla?»
«Mr. Tito. Salve, sono Rafael Civet. »
«L’antropologo?»
«Esatto, saranno circa sei mesi dall’ultima volta.»
«Piacere di risentirla, ma…»
«Anche per me è un… prego? Lo so, è vero, formalmente non lavoro più per loro. Sì, mi... sì, mi hanno cacciato, è così. No, non penso che... non è il momento di parlare di questo.»
Fece un bel respiro.
«Per favore, mi stia a sentire. Sono molto, molto dispiaciuto per quello che è successo alla sua famiglia e le prometto che farò tutte le mie ricerche con discrezione e senza intralciare il lavoro dei suoi. Ma lei ora mi deve ascoltare. Deve assolutamente richiamare tutte le forze di polizia, tutte, e immediatamente. Le richiami al quartiere generale e le tenga lì fino a che non capiamo meglio che cosa è successo.»
Il primo ministro Howard Percy Tito ridacchiò.
«Ma cosa sta dicendo. Torni a fare il suo lavoro, se ne ha trovato uno, e non venga a dirmi cosa devo o non devo fare.»
«Mi ascolti. Se va avanti con la linea dura peggiorerà soltanto la situazione. Se qualcuno ha agito su delle isole artificiali di certo lo ha fatto in maniera chirurgica. Sono troppo piccole perché un’intera squadra abbia operato senza farsi notare. Quasi sicuramente è stata una sola persona, e deve essere stato qualcuno che conosceva sua moglie abbastanza bene da sapere esattamente dove sarebbe andata, e non ha avuto grandi difficoltà a trovarla e aggredirla. In città non troverà nessuno che la conoscesse da vicino, e se anche dovesse sospettare di qualcuno negli accampamenti, diciamo degli esecutori, non saprebbero niente perché non gli è stato detto niente. Si chiamano esecutori per questo, no? Dobbiamo partire da dove è avvenuto l’incidente, ed è esattamente quello che sto andando a fare.»
Il primo ministro lo interruppe per dirgli che il suo era fiato sprecato, che avevano già usato tutte le risorse disponibili, e che dovevano comunque interrogare i primi sospetti prima di poter ricominciare gli arresti.
«Quanto tempo ci vorrà?»
«Entro stasera ne lasceremo andare qualche decina, per liberare le celle. Poi ricominceremo le ricerche, credo, questa notte.»
«Vuole andare ad arrestare la gente di notte?! Si rende conto del casino in cui si sta andando a ficcare? Mi creda, ne va della sua credibilità internazionale. L’ambasciatore non glielo dirà apertamente, ma gli occhi delle Nazioni Unite sono puntati su di lei, proprio in questo istante. Se esagera potrebbero dover prendere iniziative che non si aspetta.»
Seguì un brevissimo silenzio.
«Mmmm… e così mi sta dicendo che spera di scoprire qualcosa… ma che cosa?»
Non poteva vederlo, ma Raf sapeva che Tito stava cercando conferma, negli occhi dell’ambasciatore, di una qualche minaccia al suo potere.
«Va bene. Le dò 24 ore per trovare qualche indizio che scagioni gli accampamenti. Ma sappia che lo faccio solo per la sicurezza del paese.»
Rafael Civet a quel punto ne era certo. Gli parve di vedere Tito scandire quelle parole a pochi centimetri dal naso dell’ambasciatore. Ringraziò senza sentimento e riprese a parlare come un nastro registrato.
«C’è già stata la polizia investigativa?»
«Certo, e anche la RAMSI, ma questo lo sa già.»
«Sì. Senta, ora sto sorvolando la costa occidentale, tra dieci minuti atterrerò nei pressi di Malu’u. Entro domani mattina sarò di ritorno con un rapporto. Dove la trovo? Ci vediamo alla sala superiore del King Solomon?
«Venga alla casa presidenziale. Alle dieci e mezza.»
«Come vuole. Alle dieci e trenta. Grazie ancora signor primo ministro. Grazie della fiducia. Riattacco.»
E riattaccò. Le labbra rimasero increspate fino a che non fu abbastanza vicino alla costa da eseguire l’atterraggio sull’acqua. Poi sottovoce salutò Malaita.
L’idrovolante s’inclinò.
... (continua)

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