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Rainero Pietro
Vive, insegna e scrive ad Acqui Terme. Ha pubblicato sei raccolte di racconti: Favole per una figlia (2006), Toh, che sorpresa (2011), Il mondo al contrario (2014), Sei storie sottosopra (2015), Logica stringente (2016) e Novelle geografiche (2018). Ha scritto 101 racconti ed è presente in 154 antologie... Dal 2013 fa parte della giuria del prestigioso premio “Gozzano” e nel 2017 è stato inserito sul “Dizionario critico della nuova letteratura italiana” (Ed. Helicon). Ha al suo attivo 43 primi posti nei concorsi di narrativa...
Concorsi letterari




- Quattro, certamente merita non più di un misero quattro! – pensò Omero – sempre le solite insulse stupidaggini su amori non corrisposti, su descrizioni autobiografiche e storie di famiglie distrutte. Fantasia, immaginazione, originalità,  zero! –
Prese quindi la penna d’oca, appoggiata accanto a lui, e scrisse sul foglio di papiro:  37)   AMORE E PSICHE   4.  Infatti era quello, AMORE E PSICHE, il trentasettesimo racconto che aveva letto ed analizzato in qualità di giurato del premio letterario “ SENOFONTE” bandito dalla polis di Atene.  Si trattava di un concorso prestigioso, uno dei più rilevanti dell’intera Grecia e che egli,  Omero con l’accento sulla prima O, aveva vinto due anni prima, accettando poi di entrare a far parte della commissione giudicatrice per le edizioni a venire.
Omero era diventato uno scrittore per caso: sua moglie Ulna, ed alcune sue amiche, sentendolo improvvisare storie per lo stuolo di bimbi, amici dei suoi figli, che quotidianamente transitavano per la sua dimora, gli chiesero un giorno di mettere per iscritto le narrazioni. Lui le prese in parola, scrivendo numerosi racconti per i suoi due maschietti Femore e Perone e per la piccola figlia Tibia , nel mese di dicembre del 755 avanti Cristo,  raccogliendo poi tutto quel materiale in un volume intitolato ILIADE, dato alle stampe per la casa editrice IL PELOPONNESO di Sparta il luglio dell’anno successivo.    Mentre io vi ho fornito tutte queste notizie, il caro Omero aveva terminato intanto la lettura della composizione numero 38, dal titolo SENZA FINE.  
La rilesse con scrupolo ad alta voce:
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e rimirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare”.caro mi fu quest'ermo colle,
- Che banalità di poesia! Come si fa a scrivere robaccia di questo tipo? –
Recuperò il papiro nelle sue vicinanze e scrisse:  38)   SENZA FINE 5, commentando nel frattempo  - Fare il giudice in questo concorso è proprio uno strazio senza fine! –
I tre giurati del concorso SENOFONTE avevano il compito, durante una prima valutazione, di assegnare un punteggio, che poteva variare dall’uno al dieci, ad ogni elaborato pervenuto in tempo utile, e cioè entro il 31 agosto ( faceva fede il timbro postale ), alla segreteria del premio, in Piazza Pireo 25, Atene.   Ed egli, il caro Omero intendo, era ormai circa a metà dell’opera, avendo letto una quarantina tra poesie e lavori di narrativa. Aveva valutato tre o quattro  elaborati con il voto 8, un’altra mezza dozzina con 7 o 6,  mentre molte altre novelle, fiabe o poesie avevano riportato una valutazione insufficiente, come appunto il 5 assegnato a quel SENZA FINE, opera indubbiamente di scarso valore.     
Passò quindi a pescare, da una cospicua pila di fogli, il numero 39. Ma, mentre Omero legge il 39, voi non dovete pensare che in quei lontani giorni della nostra narrazione egli leggesse soltanto. Si ritagliava anche il tempo di scrivere. E, siccome non era tra i più scarsi in questa professione, la cosa non gli riusciva poi così male. Non solo se la cavava bene, ma era, a metà di quell’anno, tra i più premiati nei concorsi dell’intera Grecia: sapete quale era la sua media? Un riconoscimento ogni…. sei giorni!! Praticamente, se lo avesse voluto, ogni fine settimana si sarebbe potuto recare in qualche località a ritirare un premio!
Queste onorificenze  andavano da semplici segnalazioni di merito via via all’insù, passando per premi della critica, menzioni d’onore e podi, ma…mancava la vittoria!   A fine luglio non aveva ancora vinto alcun concorso. Inaudito! Incredibile per un autore della sua notorietà e bravura.
Egli, che aveva pubblicato due libri di successo, l’ILIADE e l’ODISSEA,  che aveva vinto in carriera 23 concorsi ed incamerato più di 140 riconoscimenti, i cui scritti erano presenti su 52 antologie curate da case editrici o relative a premi letterari, non aveva ancora, in quel triste anno 748, centrato la prima piazza in nessuna manifestazione, neppure in piccoli ed insignificanti premi quali PROFUMO DI MARZO, a Rodi, L’ARCO IN UN BALENO di Mikonos o CITTA’ DI ARGOSTOLI, PERLA DELLO IONIO, ovviamente ad Argostoli.      Mentre vi ho detto ciò,  il nostro scrittore ha terminato di esaminare il trentanovesimo elaborato, INCENDIO A TROIA, una corta poesia che finalmente incontra il suo entusiasmo, e che io  riporto diligentemente per farla apprezzare anche a voi:
     Eschilo, Eschilo!
  Altrimenti Sofocle.
  Ma attento alle scale Euripide
  Se no Tucidite
Quei pochi versi, divertenti e ricchi di giochi di parole sugli autori allora più in voga, lo avevano convinto in pieno; assegnò soddisfatto un bel 9 al componimento.
Quello stesso giorno, verso le 11 del mattino, gli giunse da Maratona, recapitata da un postino trafelato per la fatica della lunga corsa, la comunicazione della classifica finale del Premio DARIO E SERSE, MARATONA IN  VERSI . Con l’animo agitato dalle aspettative aprì la missiva e lesse quanto scritto dagli organizzatori:
“ Gentile Autore, siamo lieti di comunicarle che il suo voluminoso racconto “Eneide” ha ottenuto una menzione di merito  nella graduatoria finale del nostro concorso. La premiazione avverrà il giorno 6 settembre presso la biblioteca di Maratona, in via  Echidna, n. 8
Qui di seguito viene riportata la classifica finale:
1°   Vita passata di Dione Crisostomo
2°   Guerra e pace di Pausania il Periegeta
3°   I pilastri della Terra di Eliano Tattico  
Menzioni di merito:
Eneide  di Omero e  Le allegre comari di Tebe di Androne di Alicarnasso.
Complimentandoci ancora con Lei, Le formuliamo distinti saluti”
Il sangue gli andò alla testa.
-Una menzione di onore! Quelle capre dei giudici di Maratona hanno premiato quel capolavoro, Eneide, solo con una menzione! Ignoranti, capre, cammelli!! Come hanno potuto, quegli sciagurati incompetenti, stabilire che quei versi così meravigliosi meritino solo una menzione di merito?    Dione Crisostomo?  E chi è?-  Omero era sconcertato. Pensava che il suo racconto, che trattava degli avvenimenti susseguitesi alla caduta della città di Ilio, avesse tutte le carte in regola per puntare alla vittoria sbaragliando gli antagonisti. Si ritrovava addirittura fuori dal podio, ancora una volta!   Aprì, stracciandola, la busta che, giunta insieme al plico principale, riportava l’Antologia del Premio, con le copie dei lavori premiati ed andò a consultare, al colmo dell’ira e della curiosità, l’elaborato vincente.                          
I suoi occhi videro questo:
VITA PASSATA, poesia di Dione Crisostomo.
Ei fu, siccome immobile
salì sull’automobile
scese dall’altra parte
era Napoleone Bonaparte.
Dall’Alpi alle Piramidi
dal Manzanarre al Reno
andava in bicicletta
perché non c’era il treno.    
-Chi è questo Napoleone Bonaparte? Un Carneade come Dione Crisostomo? E cosa sono l’automobile, la bicicletta, il treno? E’ una poesia molto criptica, ermetica, postmoderna. Non è di mio completo gradimento. Nessuno può negare che sia di notevole spessore, ma certo l’Eneide è molto meglio!-        E Omero, mentalmente, recitò i primi versi del suo componimento…
“Canto le armi e l'eroe, il quale per primo dalle coste di Troia giunse in Italia, profugo per volere del fato, e alle spiagge….”
-Meno male- si sorprese a pensare –che in serata dovrebbero essere rese note anche le risultanze del concorso LA VALLE DEI TEMPLI di Agrigento, dove ho spedito la mia Odissea, che ha già vinto quattro concorsi e non è certo inedita, ma d’altronde sul bando non c’era scritto che i lavori dovessero per forza esserlo. Sicuramente è il mio cavallo di battaglia ( ed il pensiero gli andò al suo cavallo di Troia ).  La vittoria è pressoché sicura e mi renderà meno amara la giornata-
E, chinato il capo, si concentrò di nuovo sul  lavoro di giurato, iniziando a leggere le prime righe de LA ZANZARA, che era in gara col numero 40.
“C’è un uccellino appollaiato sul ramo di un albero, vicino ad un fiume. Passa un cane. Il piccolo uccello  gli domanda: <Chi sei? >    < Sono un canelupo >    < Non è possibile; o sei un cane o sei un lupo >    < Sì, invece. Mia madre era un cane e mio padre un lupo, perciò sono un canelupo >
Ed il cane si allontana.
Dopo un po’ passa, nel fiume, un pesce.
< Chi sei? > gli chiede, curioso, l’uccellino.
< Sono un pescecane >   < Non può essere. O sei un pesce o sei un cane >  <Mia madre era un pesce, mio padre un cane, e quindi io sono un pescecane >
L’uccello resta interdetto.    Dopo un altro poco passa, volando, una zanzara.
< Chi sei? > chiede, naturalmente, il piccolo uccello.
< Sono una zanzara tigre >    < Ma vai a quel paese! >  risponde, esasperato, il nostro uccello, sotto gli occhi di una trota salmonata che, lì vicino, nuota pigramente nel fiume.
Cari lettori, la morale della favola è che, non avendo l’uccello aspettato la risposta, noi non sapremo mai se la madre era una zanzara od una tigre.”
Uhmm.. è nel tipico  stile di Esopo, mi sa che è sua.  Comunque è bellissima, entusiasmante, addirittura da 10.
Scrisse dunque senza esitazione sul papiro:  40)  LA ZANZARA  10 , pensando  - Finalmente un lavoro perfetto: che soddisfazione!  Credo proprio che il concorso lo vincerà Esopo, quest’anno. -
Il nostro scrittore continuò  poi, dopo un lauto pranzo a base di capretto arrosto, lo scrupoloso lavoro di esaminatore e giudice , leggendo con impegno, cura ed attenzione i vari lavori pervenuti.
Ma ahinoi, ma più che altro ahilui, quel pomeriggio, sul far della sera, lo attendeva un’altra poco lieta novità: fu informato infatti, da una lettera proveniente da Agrigento, delle risultanze del concorso LA VALLE DEI TEMPLI, e, con sua enorme costernazione, venne a sapere che “Odissea”, la sua opera, si era classificata terza.   Guardava incredulo il verdetto, dove, tra nomi di giurati, di sponsor e complimenti vari, era riportato:
“Primo premio: INFERNO   di  Anniceride di Cirene.
Secondo premio:  ROTAZIONE TERRESTRE, TRAMONTO  E PENDOLO DI FOUCAULT di Filistione di Locri.
Terzo premio:  ODISSEA  di Omero di Atene.
Non poteva crederci, proprio non poteva!!
Febbrilmente aprì l'Antologia ( c'era questo di bello in quegli antichi tempi: che gli organizzatori allegavano sempre al verdetto l'Antologia del concorso ).
Volete leggere anche voi INFERNO?  Eccovelo:
 Nel mezzo del cammin di nostra vita
 mi ritrovai per una selva oscura
 ché la diritta via era smarrita.
 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
 esta selva selvaggia e aspra e forte
 che nel pensier rinova la paura!
-Una selva oscura? I cervelli dei commissari giudicanti sono oscuri!   Nel mezzo del cammin di nostra vita? Nel mezzo della classifica del concorso si dovrebbe trovare quella baggianata! Non certo al primo posto!! Che la diritta via era smarrita? Ciò che di certo si è smarrita è la capacità dell’autore di collocare gli esatti sostantivi dopo i verbi e di mettere le virgole al posto giusto!!-
Passò al componimento secondo classificato:
« Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera. »

-E io sarei arrivato dopo una poesia così idiota? Pazzesco, semplicemente pazzesco. E’ assurdo, non si è mai vista una cosa simile! Tre misere righe ridicole! La mia ODISSEA, così bella: Narrami, o musa, dell'eroe multiforme, che tanto vagò, dopo che distrusse la Rocca sacra di Troia....
Ed è subito sera?  E’ subito notte, buio pesto sulla poetica di tutte le poleis greche! Che pagliacciata. E le hanno dato pure un premio!!-
Era esterrefatto, ed anche distrutto.  Smise di leggere i racconti del SENOFONTE e si sdraiò in giardino, sotto un grande albero, con il morale sotto le sue radici. Deluso dal mondo, non rientrò nell'abitazione neppur per mangiare. Saltata la cena,  per fortuna ritrovò un grammo di serenità prima di coricarsi, grazie naturalmente allo scrivere.
Buttò giù poche righe, in preda all'eccitazione, in uno stato di grazia. Collocò l'ultimo punto al posto giusto in fondo all'ultima frase e poi, chiamati a gran voce e convocati a sé i familiari,  disse:
“Su! Ulna, Tibia, Perone, Femore, venite! Ascoltate”   Ed incominciò a leggere la sua ultima fatica, informandoli che sperava, anzi era certo, che quella meraviglia sarebbe entrata a far parte di una Antologia dal titolo OSSI DI SEPPIA, che un editore di Micene aveva in programma da mesi:
“ Appena arrivato in un piccolo villaggio, un principe da poco diventato Re decide di andare a fare visita a tutti gli abitanti.  In una abitazione modesta, piena di bambini, è ricevuto dalla donna di casa.  Le chiede quanti figli abbiano lei e suo marito. “Dieci” risponde “Cinque coppie di gemelli”. Il Re  domanda: “Ha sempre avuto gemelli?” Al che la donna risponde “No, maestà, qualche volta non abbiamo avuto nulla”                
Allora, che ve ne pare? Non è forse sublime??”


 GALLERIE



Eternità è una parola molto lunga,
specialmente verso  la fine.
(Woody Allen)



BUIO.
Silenzio.
Poi un rumore assordante. Fumo.
Stridio metallico di rotaie. Dal tunnel nasce, sbuffando, una locomotiva nera, nera come il carbone che, bruciando nella caldaia, sprigiona la forza necessaria a spingere gli stantuffi che permettono al convoglio di divorare chilometri e inghiottire valli .

Lo scompartimento è composto da quattro poltroncine.
Occupate da altrettante persone. C'è la donna, sì, la signorina con la borsetta rossa ed i capelli neri.
Poi il vecchio con la barba, bianca. Sembra un saggio nonno. Poi c'è l'uomo con gli occhiali, intento a scrutare le notizie del quotidiano che tiene in mano. Sprofondato in quelle notizie.
E poi c'è lui, il giovane.
Si sono presentati all'inizio del viaggio: la conoscenza, così come la confidenza, è poca.
Rompe il ghiaccio l'anziano signore dalla fluente barba:
“Ho visto, recentemente, un bellissimo logo. Sapete, prima della pensione io mi occupavo di pubblicità”
“Che tipo di logo?” chiede l'uomo con gli occhiali alzando, incuriosito, lo sguardo dal giornale.
“Beh.. era fatto come un otto coricato, sapete … il simbolo dell'infinito. Ma al centro, dove si toccano i due occhielli, aveva un piccolo cerchio, era come uno strano nastro di Moebius intrecciato due volte.  Guardate, così!”
E, tolte dalle tasche un pezzo di carta ed una penna, traccia un'immagine.
“Bello!!” dice la donna “sembra un insetto che vola, o una farfalla, con due ali. O forse un'elica. Sì, un'elica”
“Il cerchio, azzurro, secondo me vuole rappresentare il pianeta Terra, la vita” spiega il vecchio.
“Dice?”
“Sì. Praticamente simboleggia la vita, un tempuscolo infinitesimo, un atomo di tempo che si dipana tra un oceano temporale infinito prima ed uno dopo. La Terra esiste da 5 miliardi di anni e tra altri 5 non esisterà più. Prima e dopo si estende l'eternità. Così è  anche l'esistenza umana, un piccolo pertugio aperto in un muro dall'estensione infinita, una finestra da cui possiamo, per un attimo, gettare uno sguardo, magari distratto, sulle cose del mondo, belle e brutte. Forse ha ragione anche Lei, signorina. Forse simboleggia anche un'elica, la doppia elica del nostro DNA, l'elica della vita.
Il cerchio azzurro è messo lì, nel centro del simbolo dell'infinito. Così come Dei sconosciuti ed onnipotenti ci hanno incastonato nel bel mezzo del Creato, chissà perché!?”
“Ha ragione” interviene lui, il giovane “la nostra esistenza esce dal buio, da un nulla infinitamente lungo, si agita poi per un pugno di lustri o decenni e dopo....”
“... ed è subito sera. Come dice il poeta” conclude il vecchio.
“Già. Entriamo in un altro buio, infinito. Come tra due gallerie; una galleria senza fine prima, una senza fine dopo. E noi, che in mezzo tra l'una e l'altra guardiamo un po' a destra e a sinistra come è fatto il Mondo, e vorremmo capirlo un po' meglio”
“Sa che una volta” dice il signore con gli occhiali “ho avuto la consapevolezza, che mi ha colpito come un pugno allo stomaco, che dopo morto non mi sveglierò più, per sempre! Ero sul letto, mi sono seduto di soprassalto, dal terrore!”
“Non potremmo parlare d'altro? Quasi quasi sto male” supplica la signorina dalla borsetta rossa.
“Eppure voi donne dovreste avere forse un altro rapporto con la morte, visto che donate la vita” commenta lui, il giovane.
Che, qualche secondo dopo, abbassa il finestrino per guardar fuori.
“Toh, un'altra galleria, tra poco. D'altronde siamo in montagna”
“Ah, sì?” Anche il signore con gli occhiali dà una fugace occhiata fuori, dicendo poi “ma io, veramente, non vedo nessuna galleria, assolutamente. Solo cime innevate in lontananza, e un lago”.
Ma il giovane insiste: “Ma come!? E' lì, non la vede? Sarà sì e no a mezzo chilometro di distanza”.
E' quasi risentito. E quasi bisticciano, i due.  Allora anche l'uomo con la barba si alza e guarda fuori.
“No” è il verdetto “Nessuna galleria, nessun tunnel. E' Lei che sbaglia, giovanotto. E, le assicuro, sono molto dispiaciuto per Lei, rattristato. Condoglianze”
“Ma che sta dicendo? Non mi è mica morto nessun parente. E nessun amico”
“Ma come, mio caro amico, non lo sa? Non lo sa che se una persona scorge una galleria inesistente, mentre viaggia in treno, significa che gli resta da vivere solo il tempo impiegato dal convoglio per raggiungere l'entrata del tunnel? Quando il nostro vagone entrerà nell'apertura che non esiste, ma che tuttavia lei vede, lei morirà. Sono desolato, ma le resta solo una manciata di secondi”
“Coraggio, coraggio amico mio, che la vita è un passaggio” cerca di consolarlo l'uomo dagli occhiali.
“Tutti, prima o poi, facciamo quella fine lì” aggiunge la signorina dai capelli neri.
“La vita è come un viaggio in treno. Quando nasciamo e saliamo sul treno, incontriamo persone che crediamo che ci accompagneranno durante tutto il viaggio: i nostri genitori. Purtroppo la verità è un’altra: loro scendono in una stazione e ci lasciano senza il loro amore e affetto” sentenzia il vecchio.
“Qualcuno, quando scende, lascia una nostalgia perenne...” aggiunge ancora la donna.
“Qualcun altro sale e riscende subito, e lo abbiamo a mala pena notato...”
Lui è immobile, con la paura dipinta sul viso.
“Ma io sto bene, mi sento benissimo!”
“Non si può mai sapere, amico mio. Un infarto improvviso, un aneurisma. Quanti se ne sono andati in questo modo! Chi può sapere l'ora della propria morte?”
Il treno, rapido, sempre più rapido, o almeno così sembra al giovanotto, si avvicina inesorabile al buco nero, alla scura apertura nella montagna, che ai suoi occhi si ingrandisce sempre più inghiottendo il resto del panorama, quel panorama pieno di luce, di sole, di neve bianca, di vita.
“La prenda con filosofia”
Altre frasi di circostanza: “E' destino, purtroppo a lei è toccato da giovane”
Lui è sempre immobile, per lo spavento. Ma che stanno dicendo? In quale incubo è capitato? Vorrebbe scaraventarli tutti fuori: tutti e tre. L'anziano signore seduto di fronte a lui, il tizio con quei ridicoli occhiali, e la giovane donna, borsetta rossa compresa!
Pochi secondi, qualche secondo ancora ….. No! Non è possibile! No! No! No!!

Stridii metallici sulle rotaie. Il nero locomotore sta per confondersi con il colore, lo stesso, del tunnel. I pistoni premono e spingono sulle ruote.
Un fischio acutissimo, poi silenzio.
Fumo.
BUIO.
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