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Ronghi Rino
Nato a Venezia il 25.06.1940
Ho vissuto a Venezia per una buona parte della vita, poi mi sono trasferito a Jesolo. Ogni forma di arte mi prende, dalla musica al teatro, dal balletto alla letteratura. Ho studiato ben poco, mi sono fermato alla terza media, quando ancora contava qualcosa. Amo dipingere e tra un quadro e l’altro mi appassiono alla metrica e ai versi, un piacevole hobby.
A ‘NA TOSA SNEA E BRUNA




Cossa che invidio i caldi raj del sol.
In gara par rivar per primi sul to viso,
Per farte ‘na caressa,xe questo che i vol
Ansiosi de sostar vissin al to’ sorriso.

Quanto che vorìa che anca ‘a mia man,
Gavesse el corajo de meterse al so posto.
Non pensar a gnente, né a l’oggi né al doman,
Far tua ‘na mia caressa, me basta solo questo.

Sognando che ‘sto gesto deventa realtà,
El cuor me se comove senza alcun pudor,
E i oci me se bagna, de felicità,
Perchè gò caressà el viso de l’Amor.
La visita




Il buon odore che saliva dalla pentola, mentre vi rigira la minestra, riscaldandola, gli dava una piacevole sensazione. Ne aveva cucinato abbastanza, la sera prima, ed ora si accingeva a cenare con quella rimasta. Spense il fuoco e portò la pentola sul tavolo poggiandola su un tagliere di legno. Accomodandosi, Nerino, l’anziano pensionato, diede un’occhiata alla finestra. Era calato l’imbrunire, presto sarebbe stato buio. Alcune foglie, staccatisi da qualche ramo, cadevano lentamente, sospinte dalla frescura autunnale. Nerino, anziano pensionato, in realtà si chiamava Nereo, ma il nomignolo affibiatogli fin da bambino, gli rimase appiccicato per sempre, anche ora, che qualche ruga gli solcava la fronte. Si versò dal fiasco un bicchiere di vino rosso, quindi riempì la fondina con la pietanza appena riscaldata. Prese il contenitore del pepe, gli piaceva sempre aggiungerne, con l’indice ci picchiò sopra: “Accidenti” pensò, “Questi forellini sono sempre intasati”.
Stava per svitare il coperchietto, quando sentì bussare alla porta: “Devo far aggiustare il campanello”, si disse, chiedendosi poi chi potesse esserci oltre l’uscio. I due vecchi amici, Gelindo e Zane, abitavano poco lontano, e con i quali scambiava qualche visita, per bere un bicchiere in compagnia, non potevano essere a quell’ora. Sentì bussare di nuovo. Posò il pepe e andò alla porta. Aprì, e strabuzzò gli occhi, mentre il cuore prese a battergli forte, terrorizzato. Davanti a lui si stagliava un’ alta figura, coperta di nero da capo a piedi, dal cappuccio che calava sulla fronte, e che continuava con un mantello, che la nascondeva tutta, fino a sfiorare il suolo. Dall’ampia manica sinistra spuntava una ossuta mano biancastra che, poggiata a terra, reggeva una falce, la cui lama luccicò un’attimo, al bagliore della luna. Sbigottito, confuso, il cuore che scoppiava nel petto, Nerino trovò un filo di voce per dire: “Vattene, io non ti conosco”. E spinse la porta, che però fece resistenza, bloccata da una forza misteriosa. L’incappucciato gli puntò il dito contro due volte consecutive. “Cercavi me?” Chiese Nerino, “Forse ti sbagli. Poco lontano abita un pensionato molto più vecchio di me, oppure dal lato opposto ce n’è un altro che è anche ammalato, forse è uno di loro che cerchi”. L’incappucciato, con la destra estrasse dall’interno del mantello un blocco notes. Posò al muro l’attrezzo con la lama, ripiegò la copertina e se lo portò davanti al viso, come per leggere. Quindi, si piegò a guardare il nome sul campanello. Tenne il blocchetto davanti al viso di Nerino e puntò l’indice dal foglietto al viso del pensionato. Quindi, sempre col dito, disegnò nell’aria un punto interrogativo. Nerino capì che doveva rispondere: “Sì, sono io” disse con un filo di voce. Allora, con un eloquente gesto della mano, l’incappucciato fece un chiaro cenno che invitava Nerino a seguirlo. L’anziano, tremante di paura, ormai aveva realizzato che non si trattava più di un brutto sogno, ma che purtroppo si trovava davanti a una situazione disperata, che non concedeva alternative. Quasi rassegnato all’evidenza, cercò di riprendere il suo sangue freddo. Forse, mostrandosi arrendevole, accondiscendente, avrebbe rabbonito quella severa figura incappucciata. Forse parlandogli l’avrebbe convinto a tornare un’altra volta, insomma, voleva cercare di guadagnare tempo: “Stavo cercando” disse, “Me lo concedi questo desiderio che immagino sia l’ultimo?” Con un cenno dl capo, dall’alto al basso, la Figura acconsentì: “Bene, entra allora”, suggerì Nerino un po’ rinfrancato. L’incappucciato fece un passo in avanti, ma la lunga asta che reggeva, urtò contro lo stipite superiore della porta. “Puoi lasciarla appoggiata fuori, questa è una zona di contadini e tutti posseggono una falce, non te la porta via nessuno, anche perchè mi sembra piuttosto vecchia e malandata”. La nera Figura, posò l’attrezzo al muro ed entrò: “Chiudi la porta, per favore, l’autunno è già arrivato e fa freschino”. Ma, come sentì richiudere si rese conto che, se fuori era arrivato l’autunno, dentro era arrivato l’inverno.
“Accomodati qui!, disse il pensionato indicando la sedia. Quindi, prese da una mensola un piatto e un bicchiere, che posò sul tavolo davati all’Ospite, sedendosi di fronte a lui. Riempì la casserruola dalla pentola, per versargliela nel piatto: “Gradisce due fagioli vero? Sono ancora caldi.” Ma l’ospite oppose la mano al gesto di Nerino: “Guarda che sono buoni, ci ho messo pure le cotiche”, ma la mano insistette a rifiutare: “Capisco, magari preferivi un piatto freddo, oppure sarà per questione di linea? Certo per una professione come la tua ci vuole anche la phisique du role”. L’ospite porse in avanti il busto (Nerino riuscì a scorgere sotto il cappuccio qualcosa di biancastro, dove gli occhi erano due orbite) : “Non hai capito? Ho usato un francesismo, voleva essere un complimento”. Il cappuccio indietreggiò. “Un goccio di vino lo bevi?” Preso il fiasco, Nerino stava per riempirgli il bicchiere, ma l’Ospite ci tese sopra la mano, impedendo il travaso: “Neanche questo? Forse perchè in servizio non puoi bere vero? Certo, anche tu porti una divisa, dopo tutto”. Iniziando a mangiare Nerino disse: “Posso sapere il tuo nome, visto che conosci il mio?”. L’incappucciato allargò le braccia: “Vuoi dire che non hai un nome?” Ricevette un diniego: “Allora, se permetti, ti chiamerò Senzanome, così, per fare due chiacchiere”. L’incappucciato assentì: “Meno male, così è più facile conversare, anche se a dire il vero, non sei tanto loquace”. Nerino aggiunse alcuni pezzi di pane alla minestra: “Veramente non dovrei. Secondo quel che dice il mio dottore, alla sera dovrei coricarmi leggero. Alla mia età, dice, se continuo a rimpinzarmi, una volta o l’altra ci rimango”. Buttò giu una cucchiaiata: “Dunque, se ho ben capito, tra una volta e l’altra questa, è la volta -buona-”.
A quelle parole, Senzanome si scosse un po’ sulla sedia. Nerino capì che gli aveva provocato una risatina, capì che la tensione si stava allentando. Si sentì stranamente più tranquillo, anche se rassegnato. In fin dei conti aveva sempre sperato di terminare il proprio percorso terreno tra le mura di casa, lontano da qualsiasi ospedale, attaccato semicoscente a mezza dozzina di cannule e rubinetti. Se ne sarebbe andato così, senza soffrire e con la pancia piena: “Certo, col tuo lavoro conoscerai senz’altro tanta gente, ma penso che non ci siano tante occasioni di svago, vero?” Senzanome allungò le braccia: “E poi, un lavoro oscuro, nell’ombra come un agente segreto sotto copertura, del mantello intendo.” L’incappucciato assentì: “Dev’esser triste non essere ben visto da nessuno, sapere che tutti vorrebbero scappare al tuo apparire, nessuno che cerchi la tua compagnia”. Senzanome poggiò i gomiti sul tavolo e adagiò il mento sulle mani raggendosi il viso, assentendo lentamente: “Peggio ancora, tutti ti temono, ti odiano, ti maledicono?” In quel momento, il cappuccio fu scosso da alcuni sussulti, sempre più accentuati, fino a sobbalzare. Nerino non credeva ai propri occhi, stupito e sorpreso: “Ma che fai, stai piangendo?” E i sussulti divennero scossoni. Il pensionato si alzò e gli andò a fianco. Gli battè una mano sulla spalla: “ Suvvia, ogni lavoro ha i suoi lati negativi, non piangere, ne va del tuo contegno. Che direbbero i tuoi colleghi nel vederti così? Pensa positivo. C’è di peggio nella vita e, se non lo sai tu...” Le parole di Nerino furono efficaci e l’incappucciato si calmò. Nerino tornò al piatto e vi travasò ciò che restava nella pentola, compreso un pezzo di cotica: “Ti pagano bene almeno?” La scarna mano che usciva dalla manica ondeggiò di qua e di là: “Capisco, così così, magari ti spetta a fine di anno un premio produzione”. Questa volta ci fu un cenno affermativo: “E come viene calcolato, voglio dire a numero?” La mano alzò le dita una alla volta fino a cinque: “Ho capito, a numero... degli utenti e, possibilità di avanzare di grado, fare carriera, ce ne sono?” La solita mano ondeggiò di qua e di là: “Perchè, è difficile? Ci saranno mica anche tra di voi i raccomandati? Questa volta Senzanome assentì con convinzione: “Proprio come da noi, così, anche tra voi, non conta la meritocrazia.” Sta volta l’incappucciato ondeggiò solo il dito indice come per contraddire. Estrasse dal manto notes e penna, staccò un foglietto e, scritta una parola lo porse a Nerino, “MORTITOCRAZIA” lesse il pensionato: “Ma certo, hai ragione, fatto bene a correggermi! Sicchè la spintarella ci vuole anche da voi.” Senzanome assentì. Nerino ora ripuliva il piatto con un pezzo di pane e si versò ancora un bicchiere di vino, il quarto, ma ormai, non li contava più. Accennò a riempire il bicchiere all’Ospite, il quale questa volta, lasciò fare, e afferrato il bicchiere ne vuotò il contenuto tutto di un fiato: “Buono vero? Ci voleva!” Senzanome assentì: “E, cambiando argomento, vorrei togliermi una curiosità, se vorrai rispondermi.” Vide l’incappucciato annuire: “Sai, si dice che Lassù, si insomma, presso la concorrenza, i tipi con le ali, gli angeli, non abbiano sesso. Da voi com’è la situazione?” Senzanome puntò l’indice contro se stesso e assentì vigorosamente. “Ah, voi sì e immagino che tu sia un maschio.” Altra conferma: “Ed allora, tra le femmine, ce n’è una che ti piace in modo particolare?” Senzanome portò le mani a coprire il volto, (tanto non si vedeva): “Che c’è, ti vergogni? Dunque ce n’è una che ti battere le ossa... pardon, il cuore nel petto?” Sempre coprendosi il volto, l’Ospite assentì: “E lei ci sta?” La mano ondeggiò di qua e di la: “Non sei sicuro? Sei troppo timido? L’hai portata a ballare?” Il cappuccio ondeggiò in segno di diniego: “Bevi un goccio, che poi ti faccio vedere”. Nerino gli riempì il bicchiere, che l’Altro vuotò in un baleno. “Su alzati che ti faccio vedere come si fa, intanto metto la musica”. Nerino azionò il vecchio giradischi: “Toh guarda, sul piatto c’è un disco, IL VALZER DELLE CANDELE,  proprio quello che ci vuole.” Senzanome era un po’ riluttante: “Vieni qui, non temere, è facile.” Si posizionarono e il vecchio grammofono cominciò a gracchiare il motivo: “Lo senti il tempo?” Senzanome indicò la finestra, poi sollevando il ginocchio, indicò il piede annuendo. “Per i calli?” “No, no, il tempo musicale lasciamolo perdere, fai come me. Io faccio la partner e parto col destro, tu, col sinistro, un due tre, un due tre”. Lo fecero, accoppiati, un paio di volte, battendo il tempo sul posto. Quindi Nerino iniziò un giro, poi un altro. L’incappucciato lo assecondava un po’ impacciato: “Ma sei un ballerino nato, sei leggerissimo!” Dopo ancora un paio di giri però, Senzanome si staccò. Poggiò la mano sulla spalliera della sedia e roteò l’indice accanto al cappuccio: “Ah, ti gira la testa, non sei abituato”. Si risedettero. Si sentì un sibilo acuto. Senzanome infilò la mano nel mantello e ne uscì con un telefonino che portò all’altezza dell’orecchio per accennare di si col cappuccio. Riposto il cellulare: “Problemi?” Chiese Nerino. Senzanome puntò il dito destro sul polso sinistro: ““Capisco, è tardi e ti stanno sollecitando”. L’ospite allargò le braccia in segno di impotenza. “Si, si, ora andiamo, non vorrei compromettere il punteggio della tua graduatoria. Ti raccomando però, la tipa che ti piace, non fartela scappare, insisti, portala a ballare, poi, due passi al chiaro di luna, senza la falce, non sarebbe romantico. Togli la lama e portati il manico. Un buon manico può sempre essere utile... metti che capiti un guardone di passaggio. Vedrai, se va come dico io, mi cercherai per ringraziarmi e mi dirai che hai provato il Paradiso”. A queste parole, Senzanome piegò la testa all’indietro e prese a scotersi, sobbalzando sulla sedia. Nerino capì che la sua battuta, unitamente agli effetti del vino, doveva aver suscitato l’iralità dell’Ospite: “Ma stai ridendo? Ridi ridi, ché il riso fa buon sangue”. Senzanome riprese a sobbalzare, portandosi le mani sulla pancia, la testa reclinata. Quindi, mentre si calmava, indicò la grappa: “La vuoi assaggiare? Volentieri”. Nerino gli riempì il bicchiere a metà e Senzanome trangugiò tutto d’un fiato: “Bravo, così si fa, buona vero? Farebbe rescuscitare un morto”. A queste parole Senzanome battè le mani sul tavolo, piegando di nuovo la testa all’indietro e riprese a sobbalzare più forte di prima, sussultando sulla sedia, sotto lo sguardo compiaciuto di Nerino. Continuò per un po’, quindi gli scossoni diminuirono, fino a calmarsi del tutto. S’alzarono e, per pochi interminabili secondi, uno di fronte all’altro, si guardarono negli occhi. (“E’ una parola” pensò Nerino in silenzio). Un silenzio di tomba. Il pensionato infilò la giacca e si avviarono all’uscio. Appena fuori, Nerino estrasse dalla tasca una chiave. “Meglio chiudere, girano certi tipacci di questi tempi” . Senzanome protese il busto verso di lui: “Scusa scusa, non alludevo a te, ma c’è tanta gente cattiva in giro”. L’incappucciato fece un paio di passi e Nerino ebbe l’impressione che barcollasse un po’: “E questa, non te la porti via?” Senzanome si girò e guardò la falce appoggiata al muro. Reclinò la testa e si diede una pacca sulla fronte: “ Quasi la dimenticavi, vero? Dovresti ringraziarmi. A proposito, la puoi mettere una buona parola per il DOPO? Sai dirmi se finirò tra i buoni o i cattivi?” Senzanome spalancò le braccia e scosse il capo: “Non lo sai?O forse non me lo vuoi dire? Proprio ligio al dovere fino alla Fine, bravo, ciò ti fa onore. Ora che succede?” Senzanome spalancò il mantello e allargò il braccio destro: “Devo venirti accanto?” L’incappucciato assentì: “Dovrò soffrire?” Ricevette un diniego e trasse un sospiro di sollievo. Con pochi passi, gli fu accanto, e si sentì avvolgere nel mantello. I due, fianco a fianco, si avviarono nella notte silenziosa, lungo il sentiero che conduceva alla Meta. A poco a poco, le due figure si assottigliarono, finchè ne rimase solo una, quella che reggeva la falce sulla spalla.
***
Era DOPO? Nerino non se ne rendeva conto, non capiva. Si trovava in una specie di ascensore. Un cilindro che saliva senza scossoni, girando a spirale pieno di bottoni che si accendevano a intermittenza. Da un piccolo oblò riusciva a vedere solo buio fitto che però, un po’ alla volta cedeva il passo al chiarore, prima, diventando roseo, infine diventando poco per volta azzurro. Finalmente, quello strano ascensore si fermò e si spalancò un’apertura che fu invasa dalla luce. Quanto era durato il viaggio? Un minuto? Un giorno? Di più? Nerino non lo sapeva, non aveva più la cognizione del tempo. Oltre l’uscita si poteva vedere un pavimento azzurro, lucido come uno specchio. Nerino si fece coraggio e uscì timidamente muovendo un paio di passi. Una freccia luminosa s’accese sul pavimento, indicandogli la direzione, diritta davanti a lui: “Vieni avanti Nerino”. Sentì dire da una voce possente. Si sentì ancora più intimidito. Quelle parole gli ricordavano una vecchia scenetta d’avanspettacolo, in cui il comico di turno veniva chiamato in scena con un invitante: “Vieni avanti cretino!” Ma quella, era un’altra cosa. Lentamente seguì la freccia che gli indicava il percorso scorrendo davanti a lui. Fatti pochi passi, la freccia si trasformò nella parola STOP. Si ritrovò tra due colonnine che sostenevano un’insegna ad arco con la scritta ACCETTAZIONE: “Pure qui” pensò Nerino. Subito dopo, non si sa da dove, si materializzò davanti a lui la figura di un vecchio, alto, prestante, i capelli bianchi e fluenti, così come la barba. Elegante, vestito di blu, papillon compreso. Soltanto che l’eleganza si interrompeva sui piedi, che erano scoperti e calzavano delle infradito: “Sarà la moda del posto” Pensò Nerino : “Guarda che le scarpe di vernice ce l’ho anchio” Disse l’Uomo col suo vocione: “Ma, a forza di andare aventi e indietro tutto il giorno, per accompagnare dal Capo gli ospiti che arrivano alla sera, i miei piedi gridano vendetta. Qui non esistono macchine, bus o altro. Ci si muove a piedi. Qui ci teniamo a conservare l’aria pulita e sana. Non siamo come voi che state riducendo il vostro Pianeta in una camera a gas.” Nerino ascoltava sempre più intimorito, e solo allora vide sul taschino della giacca blu uno stemma con due lettere ricamate S.P. Il cuore gli batteva forte e goffamente si inginocchiò a mani giunte: “Che fai? Alzati, Cos’hai capito? Non sono quello che credi, quelle iniziali significano SIGNOR PORTINAIO. L’anziano pensionato, adagio, si risollevò.”Voi esseri umani, non vedete l’ora di genuflettervi davanti a chicchessia, se appena il suo aspetto vi sembra di rango superiore. Siediti ora, devo farti alcune domande”.  “Sedere dove?” Non si vedevano sedie in giro, se non ché, abbassandosi, Nerino s’accorse che qualcosa di solido gli sosteneva le terga. Era seduto. Pure il Portinaio si sedette di fronte a lui su una sedia che prima non c’era. “Devo decidere se rimandarti giù o farti attraversare il cancello per condurti dal Capo”. Prima non c’era, ma ora un grande cancello poco lontano dalle spalle del Portinaio, si estendeva all’infinito, a destra e a sinistra. Luccicava tanto che sembrava d’oro: Pensò Nerino.: “Non sembra, è d’oro” lo redarguì il Vecchio: “Dunque, come buona parte dei tuoi simili, anche tu non rispetti gli orari, e sei giunto nell’ora in cui sono solito mangiare un boccone. Pazienza, ci sono abituato. Mi sembri un buon diavolo, acc… questa m’è scappata, non farci caso. La decisione che devo prendere è molto importante, e richiede tanta saggezza ed io sono molto più saggio a pancia piena” Volse il capo alla sinistra e portò una mano in verticale di fianco alla bocca: “Allora Angelo cuciniere, ci siamo?” Gridò col suo vocione a qualcuno che Nerino non riusciva a scorgere: “Vieni con la pentola, siamo in due, c’è un nuovo arrivato”. Nello spazio che divideva i due, comparve un tavolino imbandito, con tanto di bottiglia di vino rosso e due bicchieri al centro. Il Portinaio prese la bottiglia e , sporgendosi in avanti, fece notare l’etichetta a Nerino sorridendo, con tono orgoglioso: “Guarda qui, BRUNELLO DI SAN MARTINO, voi laggiù un nettare come questo, ve lo sognate”. Quindi, il Vecchio canuto volse di nuovo lo sguardo di lato:” Eccolo, sta per arrivare, non senti che buon odorino”. Nerino non vedeva nulla, ma avvertiva un odore conosciuto, appetitoso: “Oggi il menù prevede la specialità della Casa, Minestra di pasta e fagioli fatta con le cotiche, una squisitezza”. Quindi, piegato il busto verso l’ospite e ammiccando sorridendo, il Portinaio chiese “Che ne dici, li gradisci due fagioli?” …

Fine.

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