Vai ai contenuti
Aurora Vannucci
Ho 13 anni e frequento la Terza Media al convitto Maria Luigia di Parma.
Ho scritto e pubblicato due libri e il terzo è in attesa di pubblicazione.
Ho vinto una quarantina di Concorsi Letterari.

RACCONTO

ALLA RICERCA DELLA GIOIA




Era una tiepida notte di settembre quando Tiziano partì. Aspettò con   pazienza in camera sua che i genitori si addormentassero, prese lo zaino   dove aveva infilato una torcia elettrica, un vecchio diario, la sua   penna, una barretta di cioccolato, gli spiccioli del salvadanaio, una   foto per lui estremamente importante e scese con cautela le   scricchiolanti scale in legno. Incerto sulla sua scelta, aprì il   cassetto del comò dov’era contenuta la chiave di casa e, titubante, la   infilò nella serratura. La porta si aprì e lui uscì, tirandosela dietro.   Si allontanò nella radura di qualche metro osservando la sua umile baita   e, guardandola ancora una volta, si addentrò nel bosco.

Accese la torcia: quella foresta che di giorno conosceva come le sue   tasche gli apparve un luogo ignoto e per nulla rassicurante.

Da piccolo Tiziano aveva paura del buio. Forse un ragazzo si porta   dietro nel suo subconscio le angosce che lo tormentano da bambino? Cercò   di non farsi ostacolare dagli enormi tronchi degli alberi che, con le   loro foglie, oscuravano il cielo più di quanto fosse già coperto dalle   ombre della notte.

Il ragazzo aveva il timore di poter incontrare qualche animale   selvatico, e spesso desiderava tornare indietro, tuffarsi nel suo letto   caldo e coprirsi fin sopra il naso. Ma sapeva benissimo le motivazioni   che lo avevano spinto a trovarsi proprio lì quella notte: doveva trovare   il Lago Magico.

Quel luogo era spesso menzionato dagli anziani del villaggio, che   narravano diverse leggende relative a quella distesa d’ acqua dolce. La   vecchia Agnese raccontava che nel lago si celasse il Segreto della Vita,   ma spaventava i bambini che l’ascoltavano dicendo loro che chi si era   immerso nelle sue acque non ne era più uscito.

Tiziano non aveva mai compreso cosa fosse il Segreto della Vita e se lo   domandava da tempo ormai immemore. Più volte aveva tentato, con scarsi   risultati, di interrogare la vecchia Agnese ma non riusciva a scucirle   una parola di bocca!

Tiziano non conosceva nemmeno l’esatta collocazione del lago, ma quella   notte lo avrebbe cercato fino allo stremo delle sue forze.

Dopo circa un’ora di cammino, non certamente piacevole, notò un bagliore   fra gli arbusti. Incuriosito si avvicinò alla fonte della luce, finché   non si ritrovò in una nuova radura. La luna ora faceva capolino fra le   grigie nubi del cielo notturno.

Ciò che vide lo emozionò: davanti ai suoi occhi si estendeva un lago dai   riflessi argentei, che scintillava come accade al tramonto. La luce   proveniva dallo specchio d’ acqua, non vi erano sorgenti esterne, e   Tiziano provò a cercare le motivazioni di quello strano fenomeno, ma non   riuscì a trovare una spiegazione plausibile.

Si portò ai bordi del lago e si inginocchiò, riflettendosi in esso. Non   era un effetto ottico: l’acqua era davvero argentea ed emanava la luce   dal suo interno. La superficie dell’acqua era completamente immobile, ed   il riflesso di Tiziano non apparve deformato, era esattamente come se si   guardasse allo specchio: “Ma sarà veramente solo acqua?” si domandò   dubbioso. Con un leggero senso di inquietudine sfiorò quella superficie   argentea: la sua mano non si bagnò.

Il ragazzo, incuriosito, decise di entrare completamente in acqua   vestito. Non riusciva a sentire il fondo con i piedi ed una forza   misteriosa lo trascinava verso il basso. Spaventato cercò di tornare a   riva, tentando di aggrapparsi ai cespugli, ma quella forza misteriosa   continuava ad agire su di lui. Quando anche la sua testa fu   completamente immersa in quel liquido che non lo bagnava e gli   permetteva comunque di respirare, la sua vista si annebbiò per un attimo   per poi ritornare perfetta dopo qualche secondo. Lo spettacolo che gli   parve era assurdamente simile a quello che vedeva ogni giorno: nel   fondale vi era un prato rigoglioso, interrotto da sentieri ricoperti di   ghiaia. Le case però erano diverse dalle baite di legno e pietra che era   abituato a vedere: erano di colori accesi, allegre, di piccole   dimensioni, e tutte le porte e le finestre erano spalancate. Quello che   colpì particolarmente Tiziano fu che a tutte le abitazioni mancavano i   tetti. Lui fluttuava dolcemente, respirando a pieni polmoni quei profumi   che giungevano da ogni dove: violette, pane appena sfornato, cioccolato.   Atterrò molto lentamente su uno di quei vialetti e davanti a lui si parò   un bambino in tenera età vestito con abiti blu leggeri, mossi   costantemente dal vento, con scarpe dorate e una cintura in vita, anch’   essa color dell’oro. Molto pallido e minuto, con mani piccole e dita   lunghe e affusolate. I suoi capelli erano corti, di un biondo simile   alla maionese, quasi bianco, gli occhi enormi, argentei. Le orecchie a   sventola, il naso piccolo leggermente schiacciato. L’ espressione del   suo volto era seria, imperturbabile, fissava Tiziano con sguardo   indecifrabile: “Benvenuto!” disse infine senza commentare oltre.

“Chi sei tu?” commentò Tiziano rivolgendosi a quella strana creatura.

“Sono Mattia Armonia. E tu chi sei? Lo scrittore?” rispose il bambino   con tono calmo, pronunciando con cura ogni lettera.

Tiziano non riuscì a comprendere bene il significato di quella domanda.   Lui sarebbe stato lo scrittore? E di cosa? “Veramente io sono Tiziano”   rispose cercando anch’ egli di modulare il tono di voce.

“Il mio compito è quello di portare allegria” continuò Mattia. Tiziano   avrebbe voluto rivolgere altre domande al bambino, ma in quella   situazione si sentiva imbarazzato. Il fanciullo intuì immediatamente lo   stato d’ animo di Tiziano (era molto empatico) e continuò a parlare,   cercando di metterlo a suo agio: “Quello che voi terrestri credete un   semplice lago in realtà è la via di collegamento fra la vostra vita e la   nostra vita. Questo luogo è abitato solamente da esseri molto giovani, e   l’immaginazione è alla base della nostra esistenza. Per creare tutto   quello che stai vedendo ci serviamo del “Mallop”, simile alla vostra   pasta per modellare. Noi prendiamo il Mallop, lo mettiamo davanti alla   nostra fronte, pensiamo ad occhi chiusi ad un oggetto e quello si   materializza. Ma ora raccontami, vorrei chiederti come hai fatto a   superare la barriera. Essa si apre solo nelle notti in cui cadono le   stelle, solo per coloro che hanno un problema interiore da risolvere,   solo per chi è ancora in grado di sognare!”.

Tiziano raccontò che era scappato da casa per cercare il “lago magico”,   spesso menzionato nei racconti degli anziani del suo villaggio. Non   aggiunse altro: non voleva raccontare ad un bambino sconosciuto ed   impiccione i suoi problemi. Decise quindi di cambiare argomento: “Perché   le vostre splendide case sono prive dei tetti?” domandò.

Mattia Armonia rispose con la sua solita pacatezza: “Qui ognuno può   guardare il nostro cielo, ed ammirarlo anche prima di dormire. Da noi   non piove mai, non fa mai freddo, noi siamo dentro il vostro lago. Non è   molto meglio così che avere sulla testa un noioso soffitto monocolore?”.

Tiziano avrebbe voluto visitare minuziosamente quel luogo ma, anche se   Mattia non gli aveva accennato nulla, era convinto di essere arrivato in   quel posto per qualche preciso e oscuro motivo.

“Perché sono arrivato qui da voi? Che cosa devo fare?” chiese.

“Cosa devi fare? Nulla direi. Ma se vuoi, puoi viaggiare nella nostra   dimensione. I viaggi sono sempre molto istruttivi, specie se con la   giusta guida!” esclamò inorgogliendosi. Conosceva a menadito ogni   variante del suo mondo, ogni argomento storico, ogni avvenimento che   potesse riguardare quel luogo. “Seguimi allora!” esortò Tiziano,   trascinandolo con sé.

I due si recarono in un “Mollemporio” dove si trovava il Mollop. Non   occorreva acquistarlo, il Mollop era disponibile per chiunque ne avesse   la necessità. Mattia Armonia ne prese un pezzetto nelle mani, chiuse gli   occhi e, sotto lo sguardo attonito di Tiziano, da un semplice pongo   verdino, molle e maleodorante, si materializzarono un’infinità di   palloncini gialli a forma di stella: “Ti piacciono i palloncini? Noi li   utilizziamo come mezzo di locomozione. Ora prova a crearli tu…” disse   porgendogli del Mollop. Tiziano chiuse gli occhi, si concentrò sulla   creazione, e quando li riaprì, notò con meraviglia che al posto di   quello strano materiale c’erano dei palloncini blu che fluttuavano a   mezz’ aria. Erano certamente più di cinquecento, perfettamente identici   a quelli da lui immaginati. Mattia Armonia si aggrappò ai suoi   palloncini e, dondolandosi lievemente, si ritrovò a dieci metri d’   altezza.

Anche Tiziano fece lo stesso: i suoi piedi si staccarono dolcemente da   terra e vide il pavimento rimpicciolirsi piano piano sotto di lui. I due   presero quota, trascinati dalla brezza estiva.

Tiziano osservava divertito da lassù il villaggio e i suoi abitanti,   dall’ alto pareva un brulicare di piccole formichine indaffarate.

L’ aria argentea tutta intorno, lo spettacolo diventava ripetitivo: “Ma   dov’è che stiamo andando?” gridò il giovane rivolgendosi al compagno di   viaggio, che era a buona distanza da lui.

“Siamo diretti al Primo Stadio del Mondo dei Difetti” rispose Mattia   Armonia, fluttuando verso di lui.

“E che posto è mai questo? Come si chiama?” continuò Tiziano con   curiosità.

“Lo scoprirai quando conoscerai coloro che vi abitano” rispose   misteriosamente Mattia Armonia.

Tiziano iniziò a scorgere, fra tutta quell’ aria argentea, un Punto   Verde che diventava sempre più visibile all’ avvicinarsi dei due e dei   loro strani mezzi di locomozione.

Il terreno dove atterrarono era roccioso e frastagliato, un arbusto   enorme dominava il paesaggio e svariati oggetti troneggiavano al posto   delle foglie. Lasciati andare i palloncini Tiziano notò che nessuno di   quelli si mosse di un centimetro dal luogo di arrivo. Sotto quell’   albero stravagante era in corso un’enorme rissa: “L’ho visto prima io!”   urlava una prima figura “No, è mio!” incalzava una seconda. “Un oggetto   simile lo aveva mio nonno, quindi lo devo prendere io” “No, sono   riuscito a toccarlo, quindi spetta a me!” Queste erano le urla che   Tiziano percepiva mentre si avvicinava a quella calca. Diverse persone   ammassate sotto la pianta alzavano le braccia in aria nell’ attesa che   qualche oggetto si staccasse dall’ albero. Ad un certo punto una di   quelle cose ancora indefinite alla vista di Tiziano, cadde finalmente a   terra: si trattava di un grosso orologio a lancette. Orde di uomini   allungarono le loro mani verso quel miraggio, che già era fra le dita   del suo nuovo proprietario: “E’ mio, è finalmente mio!” strillò   quell’uomo basso con gli occhi scuri fuori dalle orbite. “E non lo darò   a nessuno!” concluse baciando ripetutamente il prezioso oggetto.

Dopo alcuni secondi un secondo orologio, molto simile al primo, si   staccò da quello strano albero. Stavolta se lo era accaparrato uno   spilungone dai lunghi capelli: “Lo attendevo da una vita!” commentò   fissando la sua nuova proprietà. “Non è giusto! Non è giusto!” sbraitò   l’uomo basso con gli occhi fuori dalle orbite che aveva agguantato il   primo oggetto, rivolgendosi ai rami dell’albero: “Il suo orologio è più   bello del mio! Perché a me è capitata questa schifezza?” poi si rivolse   all’ altro “Dammi il tuo, me lo merito!” “Non ci penso nemmeno” rispose   il secondo “è mio e me lo tengo!”. Intanto un terzo orologio si era   staccato dai rami e lo spilungone si arrabbiò con l’ometto mingherlino   che se lo era preso, perché anche lui ora voleva un orologio uguale al   suo.

“Ma guarda questi” commentò Tiziano perplesso “Hanno la fortuna di   ricevere orologi come se piovessero dal cielo, e non sanno accontentarsi   di quello che hanno!”.

Mattia Armonia gli indicò un cartello, che stava piantato a pochi metri   dall’ albero:

“Gelosia: l’erba del vicino è sempre più verde” quella dicitura   incuriosì Tiziano che continuò a leggere “Benvenuto, scrittore! Conosco   il passato che hai vissuto, il presente che sei, il futuro che   diventerai”.

Tiziano scorse velocemente il contenuto del cartello, ma la rissa   attorno all’ albero attirava maggiormente la sua attenzione: “Eppure io   sono sicuro di aver già visto da qualche parte una scena simile….“   commentò perplesso.

“Sicuro? E’ la prima volta che fai visita a questo luogo” rispose Mattia   Armonia. Tiziano rivolse nuovamente lo sguardo al cartello e notò che a   lato era posizionato un enorme schermo piatto: “E quello?” chiese   indicandolo “A che cosa serve, quello?”.

“Lo capirai…. “ annuì Mattia Armonia.

Il ragazzo iniziava ad essere infastidito dal fare misterioso della sua   guida “Perché mi fido e lo seguo?” si domandava, mentre l’altro lo   invitava a ripartire. Si lasciò facilmente convincere, la curiosità era   molto forte. I due si aggrapparono ai palloncini e ripresero quota,   lasciando sotto di loro l’albero degli orologi e la folla urlante.

Quando Tiziano iniziava a rilassarsi e godere nuovamente di quella   brezza estiva un nuovo Punto, questa volta Rosso splendente, si parò   davanti ai suoi occhi. Il colore rosso era dovuto al fuoco che   divampava, ed avvicinandosi l’odore acre ed insopportabile penetrò nelle   narici dei ragazzi, che iniziarono a tossire. Mentre scendevano   lievemente, fra tutto quel fumo notarono che gli abitanti erano occupati   ad accendere nuovi fuochi sul terreno ed esultavano ogni volta che una   nuova fiamma prendeva vita, per poi allontanarsi quando il fuoco   cominciava a divampare e diventare pericoloso. Magicamente le fiamme,   dopo aver divampato violentemente, si spegnevano da sole. Allora gli   uomini correvano ad accendere nuovi fuochi e tutto ricominciava da   principio.

“Ma cosa stanno facendo? Sono consapevoli delle loro azioni?” gridò   Tiziano impaurito “Potrebbero morire bruciati!”. Pacatamente Mattia   Armonia indicò al ragazzo un nuovo cartello, questa volta lontano dalla   zona dei fuochi e anch’ esso affiancato da uno schermo. La dicitura era   chiara: “Incoscienza: a scherzare con il fuoco, prima o poi ci si   scotta. Scrittore, a te l’arduo compito: render gli abitanti lieti!”.   Tiziano lesse come al solito il cartello ma la sua attenzione era sempre   rivolta a quella scena che, seppur fosse inverosimile, anche questa   volta era convinto di aver già osservato.

“Andiamocene da questo posto orribile!” esclamò rivolgendosi a Mattia   Armonia. Si alzarono in volo e scorsero un nuovo Punto, Blu, interamente   ricoperto dalle acque, ad interromperle solo una minuscola isola, una   semplice striscia di terra. Attorno ormeggiavano diverse barche. Tiziano   notò una zattera in legno, con un’unica vela e diversi fori e poi   un’imbarcazione enorme, abbellita con fiori e ghirlande e costruita in   acciaio solidissimo. I due ragazzi rimasero a mezz’ aria con i loro   palloncini e notarono numerose persone che sbeffeggiavano la zattera:   “Chi vorrebbe salire su quella bagnarola?” “Un’ imbarcazione da   poveracci, ecco cos’è” dicevano ridacchiando. Salendo sul panfilo invece   commentavano con ammirazione le splendide decorazioni e elogiavano il   capitano della nave, che mostrava con orgoglio le medaglie e le   onorificenze ottenute: “Che carriera luminosa, signor Bravo!” “E’   meraviglioso averla come capitano, Bravo!” “Lei è decisamente il   migliore, capitan Bravo!”. Le persone facevano a gara per stringere la   mano a Bravo, guardando con invidia le medaglie cucite sulla sua divisa.   Tutti salirono sul panfilo, nessuno sulla zattera. Il capitano Bravo,   dopo essersi pavoneggiato a lungo, decise che era il momento di fare   partire l’imbarcazione. Anche la piccola barchetta partì e questo stupì   notevolmente Tiziano: non vi era nessuno alla guida, eppure solcava   tranquillamente le onde. Al largo due piccole isole, quasi due scogli,   luccicavano al sole. Dopo qualche istante la nave di Bravo si schiantò   contro uno di quegli isolotti ed iniziò ad imbarcare acqua: “Presto,   tuffiamoci, prendiamo le scialuppe di salvataggio” ordinò il capitano.   Qualcuno all’ improvviso si ricordò della bagnarola che era partita   insieme alla nave e la cercò disperatamente per mettersi in salvo. Ma   quella ormai era troppo distante, aveva già raggiunto la sua   destinazione. Mattia Armonia indicò sull’ isolotto un nuovo cartello,   affiancato dal solito schermo: “Opportunismo: andare dove è meglio per   te in questo momento. Scrittore, pensi davvero che sia il giusto modo di   vivere?”.

Tiziano era infastidito da quella continua sensazione di dejavù, aveva   già vissuto quei momenti, ne era ormai certo. Cercò di trasmettere le   sue percezioni a Mattia Armonia, ma fu totalmente ignorato. Tiziano   rimase contrariato dalla reazione del suo compagno di viaggio: Mattia   Armonia sembrava una brava persona, una buona guida, ma il suo   comportamento era indecifrabile. Sapeva molte cose di cui Tiziano non   era a conoscenza. Mentre era immerso nei suoi dubbi i palloncini   ripresero a volare per giungere ad avvistare un Punto Giallo, coperto   interamente dalla sabbia. Avvicinandosi iniziarono a percepire un   poderoso fracasso e al momento dell’atterraggio Mattia Armonia spiegò   che quei rumori striduli erano emessi dagli uccelli Eo Eo, chiamati così   per il loro verso simile a quello del rumore di un’ambulanza. Gli   abitanti del Punto Giallo non tolleravano quel frastuono e tiravano   continuamente i loro zufoli, unici oggetti che possedevano, contro   quegli strani pappagalli tropicali o, se per errore si avvicinavano un   po’ troppo a loro, tentavano di prenderli per il collo. Quei   pappagallini con gli occhi vispi, il becco adunco ed il piumaggio liscio   e delicato dai mille colori, erano belli a vedersi, e Tiziano si   meravigliava della crudeltà con cui erano trattati: “Poveri volatili! Mi   dispiace che queste persone siano così irascibili.” commentò.

“Sai come si calmano questi uccelli?” rispose Mattia Armonia. “Non ne ho   idea” disse Tiziano.

“Suonando gli zufoli!” esclamò Mattia Armonia.

“E perché non lo fanno allora?” domandò Tiziano stupito.

“Prova a spiegarglielo tu!” rispose ancora l’altro “Arrabbiarsi e   tentare di allontanarli è più semplice, no?” concluse indicando il   solito cartello, ed il solito schermo.

“Insofferenza. Quel che ti fa arrabbiare non ti permette di pensare.   Scrittore, tu non ti arrabbi spesso, vero?”

Anche questa scena Tiziano l’aveva già vissuta, e le parole di quei   cartelli, sembrava che il loro ideatore conoscesse molto bene il   ragazzo. Sopra quel Punto il caldo era davvero asfissiante ed il sole   picchiava sul corpo dei due giovani. Mattia Armonia si tirò su le   maniche della veste che indossava, e solo allora Tiziano notò che sul   braccio destro aveva tatuata una stella. Il tratto però era poco   preciso, il disegno seppur bello e splendente era infantile,   assomigliava moltissimo a quelli che faceva suo fratello Sebastiano. Al   solo pensiero Tiziano provò un’enorme fitta al cuore. Senza riflettere   toccò la stella sul braccio di Mattia Armonia, assaporando vecchi   ricordi sbiaditi.

“Ti piace il tatuaggio?” disse l’altro mostrando ancor meglio il braccio   “Lo ha disegnato un bambino che ho conosciuto e che dipingeva molto   bene”.

Tiziano non scrollò gli occhi di dosso dalla stella, era attratto da lei   come se fosse magnetica. I due ragazzi decisero di abbandonare quel   luogo e dirigersi verso un nuovo Punto.

Quest’ ultimo era di colore Nero, circondato da nuvole scure, ed appena   planato Tiziano notò che aveva difficoltà a distinguere le figure che   gli si paravano davanti. La pioggia battente e la nebbia lo   confondevano. Ad un certo punto notò un enorme secchio a terra, ed un   uomo che lo fissava con cupidigia: “Ah! Nessuno riuscirà a racimolare   più acqua di me, Matteo il Plebeo! Tutti gli altri mi guarderanno con   invidia, perché di certo vincerò! Loro non riuscirebbero ad accumulare   più acqua di me nemmeno con tremila secchi! Sono il migliore, ne sono   consapevole!” si lodava fissando il suo viso riflesso sull’ acqua. Anche   gli altri uomini presenti si contemplavano ammirandosi nell’ acqua dei   loro secchi: “Brutte gocce! L’ acqua dovrebbe stare ferma, piatta! Come   osate brutte gocce rovinare il riflesso del meraviglioso volto di   Cristiano il Villano?” diceva un altro.

“Se l’acqua fosse davvero ferma sarebbe peggio per te. Sai benissimo che   non esiste nessuno più bello di me, Renato il Maleducato”. Si   scatenavano insulsi battibecchi fra quegli strani personaggi che, come   aveva notato Tiziano, tendevano sempre a ripetere il loro nome.

Anche qui il solito cartello con a lato il solito schermo “Arroganza.   Caro scrittore, guarda come si vive male troppo pieni di sé. Eccoti, ma   c’è ancora l’ultimo viaggio, il più importante….!”.

Tiziano continuava a non capire, perché quell’ insulso viaggio? Perché   quelle scene già viste? Dove voleva arrivare l’artefice di quei   cartelli? Incuriosito si avvicinò ad uno dei secchi che quei personaggi   stravaganti avevano abbandonato e guardò il suo riflesso nell’ acqua e….   per lo spavento di quello che vide, balzò all’ indietro velocemente,   rischiando di cadere a terra.

Si mise la mano sul cuore dalla paura e cercò con lo sguardo Mattia   Armonia, per trovare delle risposte.

“Io….” balbettò “Io…. ho visto una cosa impossibile!”.

“Qui non esiste la parola impossibile” rispose calmo e sorridente Mattia   Armonia “Ricorda che le persone che passano per la tua strada sono anche   quelle che passano per il tuo cuore. E se riesci a vedere dentro il tuo   cuore, riesci anche a vedere le persone che lo popolano, perché la loro   dimora è lì, dentro di te, e lì resterà per sempre!”.

Tiziano, commosso e incredulo, si riavvicinò al secchio, senza timore, e   riapparvero i volti di due bambini quasi identici nelle forme e nelle   movenze: Tiziano e Sebastiano. Tutto come era stato, tutto come se il   tempo non fosse mai passato. Poi d’ improvviso ricordò: “Tu….” disse   osservando Mattia Armonia “Tu… sei un personaggio dei miei racconti, ti   ho creato io, ma certo! Lo scrittore dei cartelli, lo scrittore sono   io!”. Tolse lo zaino che teneva sulle spalle dall’ inizio del viaggio,   lo aprì e con commozione tirò fuori il vecchio diario che si era portato   dietro, che non avrebbe mai lasciato incustodito. Lo sfogliò ed in prima   pagina troneggiavano due nomi: DIARIO di TIZIANO e SEBASTIANO – I nostri   mondi”. Era quello il titolo della loro fiaba, scritta da Tiziano ed   illustrata da Sebastiano, il suo fratello gemello.

“Le persone possono lasciarci” disse Mattia Armonia guardando Tiziano   negli occhi “Ma i testi e i disegni sono eterni ed indelebili per chi   resta” il quale era chiaramente raffigurato in un bellissimo schizzo di   Sebastiano in seconda pagina. Poi le parole scritte sul diario da   Tiziano: “Mattia Armonia non si dava pace. Voleva conoscere il segreto   della vita. Creò un mezzo di locomozione trainato da palloncini gonfiati   ad elio. Volò sul pianeta della gelosia e rimase sconcertato nel vedere   il comportamento dei suoi abitanti che prendevano oggetti da un albero.   Quando qualcuno riusciva a prenderne uno gli altri si lamentavano perché   l’oggetto era più bello del loro e dalla rabbia rompevano quello nelle   loro mani… ”

Tiziano leggeva incredulo quelle pagine, quella storia che lui ora stava   vivendo in prima persona. Tastava i fogli accarezzandoli, annusando   l’odore della carta e dell’inchiostro mescolati, toccando ogni pagina   come se fosse sacra. Continuò a sfogliare e a leggere, finché arrivò al   punto dove la loro fiaba si interrompeva: “Provavano piacere quegli   uomini che vedevano riflessa la loro immagine nell’ acqua delle   bacinelle…. Il cartello con le parole vanità ed arroganza e il solito   schermo… ”

Il seguito non era mai stato scritto, il tempo aveva interrotto la loro   storia di bambini. Tiziano ripensò a tutti quegli schermi e nella sua   testa si materializzò un’idea da illustrare a Mattia Armonia. Ora però   era rimasta l’ultima tappa del suo viaggio attuale e doveva   assolutamente raggiungerla.

“Vogliamo ripartire?” chiese Mattia Armonia. “Certamente” rispose   Tiziano “Ma hai notato le iniziali dei cartelli posti nei punti che   abbiamo visitato? G… gelosia, I… incoscienza, O… opportunismo… I…   Insofferenza…. A… arroganza… non è una combinazione a caso… capisci,   cosa vuol dire esattamente?”

“Sei tu lo scrittore, lo chiedi a me?” rispose ancora Mattia Armonia.

“Finora tu ti sei comportato come se conoscessi già il finale della mia   avventura… ”

Mattia Armonia aveva un velo di malinconia negli occhi “Appunto…. della   tua. Della mia avventura non conoscerò mai il finale, è questo il   destino dei personaggi dei racconti incompiuti. Appassiscono nella   polvere e lentamente…. muoiono”.

Solo ora Tiziano notò che Mattia Armonia, che all’inizio del viaggio   aveva vestiti brillanti ed una pelle rosea perfetta, ora appariva   cinereo e dai contorni sfocati: “Presto amico! Facciamo subito l’ ultimo   viaggio, ti devo salvare!” disse afferrando velocemente i palloncini.

I due partirono, mentre Tiziano, con estrema difficoltà nel tenersi   appeso ai palloncini, scriveva sul suo diario: “Mattia Armonia partì per   il suo ultimo viaggio. Il suo scopo era quello di portare pace e   serenità, o come lui diceva, allegria. Su quell’ ultimo pianeta Mattia   Armonia trovò una telecamera… ”

Le frasi non erano scritte a dovere, non avevano un senso univoco, ma   ora il suo scopo era salvare Mattia e l’ unico modo era quello di   continuare il diario. Tiziano lo osservò e notò che la sua pelle stava   tornando rosea come un tempo. I due scorsero l’ultimo Punto, quello   corrispondente al pianeta che Tiziano non aveva mai descritto e   Sebastiano mai raffigurato. L’ oscurità lo dominava ma la superficie era   popolata da infinite lucciole. Tiziano atterrando lasciò che gli insetti   si posassero su di lui. C’era la luna, proprio come sulla Terra, una   luna incredibilmente vicina, e qualche enorme sequoia a macchia sparsa.

Sotto la sequoia più grande un bambino, circondato da un alone bianco   azzurrino, brillava nel buio della notte. Si alzò guardando i due nuovi   arrivati.

“Sebastiano!” gridò Tiziano correndo affannosamente verso di lui. Quando   fu sufficientemente vicino tentò di stringerlo in un enorme abbraccio   ma… cadde a terra, ai piedi della sequoia.

“Non sei abituato ai fantasmi?” rise Sebastiano. La sua risata stridula   riecheggiò, facendo volar via i rapaci notturni che popolavano quei rari   alberi. Tiziano lo guardò: non era mai cresciuto, era rimasto come lo   aveva lasciato, ma poteva riconoscere in lui sé stesso qualche anno   prima. Tiziano si rialzò, mentre Mattia Armonia osservava la scena senza   interferire e singhiozzò: “Perché è successo?” disse rivolgendosi a   quella figura.

“Non addolorarti fratello, forse era destino. Ma posso rassicurarti: non   è stata colpa tua, so che tu credi il contrario, ma non è così”.

Tiziano si era sempre sentito un enorme peso sulla coscienza: il giorno   dell’incidente il fratello lo aveva seguito, quindi si sentiva   responsabile dell’accaduto e non era mai riuscito a darsi pace: “Ti   vorrei raggiungere, se questo è l’ unico modo per restare ancora con   te!”

“Non dirmi questo” rispose sorridendo Sebastiano “Continua a vivere, tu   che ne hai l’opportunità. Io credo che il segreto della vita sia… la   vita stessa. Dipende da te, cerca di dare sempre il massimo e assaporare   ogni istante ciò che ti circonda. Questo è il segreto, che io non ho   avuto il tempo di scoprire. Ora lo dico a te, perché voglio che tu abbia   una vita fantastica!”.

Sebastiano porse al fratello una penna trasparente e luminosa: “Per   scrivere le ultime parole del nostro racconto utilizza questo   inchiostro. E’ come il nostro rapporto… indelebile”.

“Grazie fratello… ” mormorò Tiziano aprendo nuovamente il diario ed   impugnando la penna fra le dita.

“Mattia Armonia!” chiamò “Guarda, una telecamera su quel cavalletto!”   esclamò indicando l’oggetto a pochi passi dalla sequoia. Il giovane si   avvicinò “Cosa devo fare, scrittore?”

“Sebastiano sarà il nostro regista. Se il tuo compito è quello di   portare allegria, questo è il momento di dimostrarlo” disse.

Sebastiano si avvicinò alla telecamera pronto per azionarla con la forza   della mente, non potendo utilizzare la forza del corpo. Mattia Armonia   si preparò davanti all’ obiettivo e simultaneamente, in tutti i Punti   che avevano visitato nel loro viaggio, la sua immagine apparve sugli   schermi. Contemporaneamente il tempo si bloccò, gli oggetti cessarono di   cadere dagli alberi, i fuochi si spensero, le barche si fermarono, gli   uccelli smisero di cantare, la pioggia si arrestò e tutti gli uomini   furono costretti da una forza eterea a rivolgere il loro sguardo verso   gli schermi. Mattia Armonia doveva assolvere il suo compito: quello di   portare pace e serenità.

“Uomini gelosi” iniziò il suo discorso gesticolando con le mani e le   braccia per attirare l’attenzione “A cosa porta il vostro comportamento?   Ad odio e inimicizia. Voi gelosi vi dovete abituare a dare e non   ricevere, e ad essere soddisfatti di ciò che vi regala la vita. Non   avete il diritto di lamentarvi, avete il dovere di vivere!” e fece una   breve pausa. “Uomini incoscienti, per quale motivo create quei roghi?   Quel fuoco è una forza distruttiva e rappresenta la vostra distruzione   interiore. Ora fate un unico falò, e bruciate ciò che utilizzate per   accendere i fuochi!”. Mattia Armonia sospirò, prima di riprendere:   “Uomini opportunisti, mai fidarsi delle apparenze e cambiare idea solo   per necessità. Non seguite solo la corrente per poi perdervi dentro di   essa. Non è questo il senso della vita!”. Gli spettatori dei vari   schermi fissavano Mattia Armonia senza fiatare, e lui proseguiva:   “Uomini insofferenti, invece di lamentarvi dei versi degli uccelli,   perché non utilizzate i vostri pifferi per creare un suono migliore?   Forse anche gli uccelli udendo quel suono armonioso si faranno incantare   dalla melodia. Non avete mai cercato una soluzione, lamentarsi è molto   più semplice!”. Mattia Armonia proseguiva spedito, fissando la   telecamera come se stesse parlando ad ogni singolo essere in ascolto. Il   suo sguardo era intenso e convincente: “Uomini arroganti, la pioggia che   cade rappresenta il vostro animo. Quando smetterete di vantarvi e di   ritenervi superiori ai vostri simili, il sole splenderà sul vostro   pianeta ed asciugherà quei secchi, mettendo fine alla vostra presunzione   ed al vostro inutile gioco”. Mattia Armonia si fermò, lasciando ad   ognuno il tempo di riflettere sulle sue parole. Intanto lo spilungone   aveva consegnato il proprio orologio all’uomo basso, qualcuno aveva   buttato nel rogo il proprio accendino, alcuni erano saliti sulla   zattera, avevano preso a suonare lo zufolo e rovesciato a terra l’acqua   contenuta nelle bacinelle. Mattia Armonia riprese la sua orazione: “Il   mio compito è quello di portare l’allegria, è quello di aiutarvi. I   sentimenti negativi sono presenti in ogni essere umano e non possono   essere cancellati, ma i sentimenti positivi li possono sovrastare.   Coraggio, mani in aria, e… un nuovo inizio!”. Contemporaneamente in   tutti i Punti gli schermi si spensero e milioni di braccia si alzarono,   insieme ai nuovi ideali. Tiziano trascrisse velocemente le parole di   Mattia Armonia con la penna omaggiata dal fratello che, considerando che   non erano state scritte in precedenza, furono la dimostrazione di come   il personaggio di Mattia Armonia fosse stato creato talmente bene dai   due gemelli da essere in grado di continuare anche da solo nella sua   missione. Sebastiano si allontanò dalla telecamera, ognuno aveva assolto   splendidamente il suo compito. Tiziano lo guardò stringendo la penna al   petto e porgendo al fratello la foto che custodiva gelosamente nel suo   zainetto. Sapeva che sarebbe stato il solo a ritornare a casa.

“A me non occorre” rispose Sebastiano allontanandosi “Io ti vedo sempre,   ogni giorno, e tu non sei più quello della fotografia”. Tiziano annuì   con il capo trattenendo le lacrime e fece un cenno di saluto al fratello   che, contraccambiando, tornò a sedere sotto la grande sequoia. Tiziano   trattenne a stento le lacrime, separarsi nuovamente dal suo gemello era   un dolore profondo.

Tiziano e Mattia Armonia si alzarono nuovamente in volo con i loro   palloncini, questa volta la direzione era la superficie del lago, nel   bosco. “La nostra avventura termina qui” disse Tiziano rivolgendosi a   Mattia “La mia vorrai dire” rispose il giovane “Se seguirai i consigli   di tuo fratello, vivrai una nuova avventura ogni giorno”. La luce del   cielo terrestre filtrava dalla superficie del lago, i palloncini lo   portarono fin su, per poi smaterializzarsi al contatto con la superficie   dell’acqua. “Arrivederci, scrittore!” urlò Mattia Armonia tornando verso   il fondo “Arrivederci, paladino del mio racconto!” rispose Tiziano   uscendo lentamente dalle acque del lago. Il ragazzo si sedette sulle   sponde, le cime dei monti erano già illuminate da un timido sole. Il   buio ad ovest si stava dileguando, il cielo era color del mare:   difficile ammirare un’alba simile in montagna. La neve sulle vette   scintillava sotto i raggi del sole e sulla superficie del lago. Il lago   ora sembrava una normalissima distesa d’acqua dolce, ma Tiziano   conosceva la verità, e non l’avrebbe facilmente dimenticata.

In paese sicuramente il panettiere sarebbe già stato al lavoro, Tiziano   era affamato, e fra i suoi pensieri apparve anche quello di una focaccia   fumante. Il sole ora si era alzato sull’ orizzonte, il prato rigoglioso   e l’ombra di Tiziano che si formava sull’ erba bagnata. La osservò,   stupito… quell’ ombra… non era la sua. Era quella di un giovane più   basso di lui, i capelli talmente più corti dei suoi che non si muovevano   nella brezza mattutina. Si mosse, e quell’ ombra lo imitò. Si diresse al   lago e si specchiò sulla superficie, il volto era il suo. “Le persone   scompaiono, ma i testi e i disegni sono eterni ed indelebili per chi   resta” ricordò le parole di Mattia Armonia. Indelebili, proprio così.   Come l’inchiostro della penna che gli aveva consegnato Sebastiano e che   era il momento di riprendere dallo zaino, insieme al diario. Si sedette,   e l’ombra fece altrettanto, ma stavolta al suo fianco. Aprì il diario…   “Dal diario di Tiziano e Sebastiano, I mondi, parte finale: Mattia   Armonia aveva riappacificato i popoli. Forse era proprio questo il   segreto della vita: fare del bene per sé e per gli altri, essere   positivi. I palloncini questa volta lo condussero a fagli passare la   barriera spazio/tempo, rappresentata dalla superficie del lago. Ad   aspettarlo sulla riva c’ erano un ragazzo ed un’ombra. “Ragazzi, voi?”   domandò Mattia Armonia. “Certo, siamo noi, i tuoi creatori” rispose   Tiziano “Ti avevamo dato vita per farti assolvere un compito, per   mandare un messaggio”

“A chi?” continuò Mattia Armonia “Al lettore” rispose il ragazzo “Il   messaggio è quello di vivere la vita al massimo, vivere la vita nella   G.I.O.I.A., ma la gioia quella vera, quella che tu hai già restituito   agli abitanti dei mondi che hai visitato, vincendo la gelosia,   l’incoscienza, l’ opportunismo, l’ insofferenza e l’ arroganza. Perché è   questo l’unico modo per vivere nella gioia!” Mattia Armonia era   sorpreso, non capita tutti i giorni di incontrare anche nella vita reale   i propri creatori. “Nel dirti grazie per aver portato il nostro   messaggio, ora ti invito a ritornare definitivamente dove tutto è   iniziato” disse ancora il giovane Tiziano. Così Mattia Armonia, nella   certezza di aver totalmente assolto il suo compito, raggiunse nuovamente   gli abissi del lago, con la felicità nel cuore. Era così che il racconto   terminava, proprio così...

A Tiziano non restava altro che riporre la penna e chiudere il diario e,   in quell’ attimo stesso, svanì anche l’ ombra che aveva al suo fianco.   Prese il suo zaino e si alzò lentamente, incamminandosi verso casa,   sorridendo, sorridendo insistentemente, sorridendo come non aveva mai   fatto: era la gioia, ora, a troneggiare sulle sue giovani labbra.

IO, SARO’



L’ allegria regnava sovrana durante quel banchetto. Ma non per Jack.
Era lì, immobile, accucciato sul divano, in compagnia del suo unico   amico: il silenzio. Quel silenzio interiore che accompagnava le sue   giornate, anche quando si trovava nei rumori più assordanti.
L’ atmosfera gioiosa lo turbava, i colori sfavillanti lo infastidivano.   Intanto Max,l’ “adorabile bimbo”, come veniva definito dai genitori,   canticchiava allegramente Jingle Bells mentre infilava la forchetta in   una fumante e tenera coscia di pollo.
La mamma si affaticava in cucina, i parenti chiacchieravano fra loro.   Solo Ada, la nonna, seduta al tavolo con le braccia conserte, fissava   seriosa il nipote maggiore.
Lui la notò e cercò di distogliere lo sguardo e di eclissarsi dietro il   cappuccio della sua maxi felpa nera. Così a scuola, così a casa, così   nella vita: Jack amava nascondersi. Diligente e disciplinato a scuola,   ma amava nascondersi. Eccellente nello sport, ma amava nascondersi.
La ragione? “E’ il suo carattere” lo giustificavano i genitori. Invece   no, era qualcosa di diverso.
L’ anziana signora si alzò lentamente dalla tavolata, ignorata dai   presenti, impegnati a complimentarsi con Max per via della sua “voce   angelica” con cui intonava senza stonatura alcuna il canto natalizio. Si   mise a sedere accanto al nipote, cercando i suoi occhi che non riusciva   a trovare in quell’ abisso scuro.
“Vattene!” grugnì Jack con lo sguardo basso. Pensava che la nonna si   potesse arrabbiare per quella reazione, invece assunse un’espressione   triste: “C’é qualcosa di cui dobbiamo parlare?” chiese amorevolmente,   cercando un contatto fisico con il nipote.
“No, non ho niente da dire” disse freddamente il ragazzo.
“Come vuoi” rispose l’anziana baciando il cappuccio che circondava il   capo di Jack: “Ma ricorda: tu non puoi cambiare gli altri, puoi cambiare   o non cambiare te stesso oppure puoi trasformare la percezione che gli   altri hanno di te. E dopo aver modificato o non modificato te stesso o   l’idea che gli altri hanno di te, puoi cambiare o non cambiare il mondo.   Jack non avrebbe problemi a realizzare le sue volontà, ma tu non sei   Jack” e dette queste parole si alzò di nuovo lentamente e tornò al suo   posto fra i commensali, lasciando il nipote dubbioso e afflitto.
L’ ultima frase pronunciata da nonna Ada aveva impressionato il giovane   che si rinchiuse in bagno, abbassò quell’ enorme cappuccio e fissò la   sua immagine riflessa nello specchio. Si scoprì piangere: dentro di lui   il caos, la paura, un urlo che non voleva uscir fuori. Quale significato   avevano esattamente le parole della nonna? Conosceva il suo tormento   interiore? Come poteva lei sapere cosa lo turbava se nemmeno lui   riusciva a capirlo? Dopo aver ripreso fiato ed essersi asciugato le   lacrime, tornò nella sala da pranzo. Osservò per la prima volta con   malinconia le vivaci lucine dell’ albero, in cui si perdeva quand’era   bambino. Fissò gli addobbi, i parenti in festa: perché lui, durante   quella notte così speciale, era pervaso da tanta tristezza? Nemmeno i   tanti regali che ricevette e scartò con flebile interesse lo aiutarono a   uscire da quella malinconica apatia.
Quando i parenti rincasarono, dopo aver salutato ed augurato buon Natale   a Max e ai genitori, si rifugiò nella sua camera. Prima di spegnere la   luce, si soffermò sulla sua bacheca dei trofei: l’ onorificenza ricevuta   dal preside come miglior studente, la coppa della gara di matematica, le   medaglie delle gare di tennis... ma questi premi lo rappresentavano   davvero? Se lo chiedeva ormai da parecchio tempo, da quando aveva deciso   che voleva essere uguale a tutti gli altri. Si coricò sul letto,   fissando la sua camera zeppa di libri, puzzle e rompicapi e decise di   rovistare fra i vecchi pupazzi alla ricerca di Alnaud.
Alnaud era una renna di peluche, morbida e calda, il suo pupazzo   preferito, che aveva volontariamente dimenticato in un angolo remoto   della sua stanza. La prese per la zampa spelacchiata e la guardò: piena   di polvere e sgualcita, ma con il suo solito indelebile sorriso stampato   sul volto: “Stasera mi fai compagnia, vero?” disse a voce alta   rivolgendosi ad un inerte pupazzo. Immaginò il fratellino addormentarsi   felice, attendendo con trepidazione l’arrivo di Babbo Natale, e non poté   fare a meno di accennare un sorriso amaro. Dalla finestra osservò il   cielo notturno cosparso di stelle. Tutte quella case perfettamente   identiche privavano il paesaggio di poesia. Jack da bambino era convinto   che anche le persone che abitavano in quelle enormi scatole fossero   tutte perfettamente uguali, senza pensare che anche la sua “scatola” era   simile alle altre. Ma per lui no: era un covo di pirati, era un castello   di prodi cavalieri, era una base spaziale con uno shuttle pronto al   decollo. La sua casa oggi invece la vedeva esattamente uguale alle   altre, dipinta con un color “similgrigiopiccione”, con un tetto   apparentemente fragile e sottile, un giardino con fin troppe sterpaglie   e rampicanti e un’inutile piazzola cementata.
Si concentrò sulla luna, dove voleva (o forse no) un giorno mettere   piede. Ammirandola in tutto il suo splendore, si ritrovò ad apprezzare,   o quasi, quella nottata. Se solo la sua situazione interiore non fosse   stata così tumultuosa....
Jack era davvero in gamba, ma in questo frangente di vita era fragile e,   nonostante eccellesse in tutto, non si sentiva per nulla a suo agio. Il   gruppo dei presunti amici tendeva ad isolarlo e questo lo aveva portato   a decidere che avrebbe dovuto fare di tutto per riuscire ad   identificarsi in esso.
Così, nonostante lo stupore dei suoi famigliari, cambiò completamente il   suo look decidendo di vestirsi con felpe e tute abbondanti di colore   nero. A scuola finse di non conoscere bene le lezioni, a tennis iniziò a   sbagliare qualche servizio. La sua unica speranza era, uniformandosi   alla massa, di venire accettato.
Da quando il suo comportamento era cambiato, evitava gli specchi come i   pesciolini evitavano gli squali. Solo quella sera, per la prima volta,   cercò di specchiarsi di sua spontanea volontà. Si buttò sul letto, anche   se dormire era l’ultimo dei suoi pensieri. Chiuse gli occhi, rammentando   il suo passato con nostalgia e amarezza. Come mai all’ epoca non si   faceva nessun problema? “Mi interessa davvero il giudizio degli altri?”   si domandò Jack, anche se un “sì” già faceva capolino nella sua mente.
Perso nelle sue domande gli parve di udire una musica lontana, una   melodia armoniosa e piacevole, che però aumentando di intensità e di   tono si fece ben presto fastidiosa ed inquietante. Il volume arrivò   quasi a spaccagli i timpani, poi tutto d’ improvviso cessò, come d’   improvviso era iniziato.
Udì dei passi e la porta di camera lentamente si aprì. Jack si tirò le   coperte fin sopra agli occhi, sentì un cigolio sinistro e percepì   un’aria gelida. Spinto dalla curiosità sbirciò da sotto le coperte e   cacciò un urlo: sul pavimento si formarono delle impronte di lunghi   piedi, come se quell’ essere lo potesse tatuare. Armato di coraggio il   giovane tirò fuori completamente il viso da sotto le coperte e.... non   riuscì a credere ai suoi occhi: una figura alta poco più di lui, vestita   di tutto punto con una camicia azzurrina, un frak, un elegante papillon   rosso e una tuba era entrato in camera sua. Sarebbe stato anche carino   ma.... la cosa che maggiormente impressionò il giovane fu che... quest’   essere non aveva il volto!
“Maledizione” pensò il giovane “E questo chi è? Siamo nella notte di   Natale...”
“Jack!” la voce risuonava in ogni angolo della stanza...
“Per favore...” rispose il ragazzo immobile tutto impegnato a respirare,   per dimostrare a sé stesso di essere ancora vivo.
“Tranquillizzati” disse la voce “Sono qui solo per aiutarti a realizzare   i tuoi desideri. Sono il tuo regalo di Natale!”
“Si... si... sinceramente” rispose Jack borbottando “Non credo più a   B... bab... Babbo Nataleeee.... e comunque me lo aspettavo diverso!”
“Ma quale Babbo Natale!” ribatté con tono ironico la voce “Io non porto   sterili regali in inutili pacchi! Posso, però, realizzare la tua   felicità in altro modo. Dimmi cosa desideri veramente e questo desiderio   si avvererà!”
“Vorrei essere come tutti gli altri!” esclamò Jack riuscendo a   racimolare una buona dose di voce.
“Gli altri chi? Spiegati meglio...” lo esortò la figura che aveva preso   a muoversi in modo disordinato.
“Già, diciamo che vorrei piacere agli altri. Gli amici, i compagni di   scuola, i miei coetanei....” rispose nuovamente il ragazzo con maggior   precisione.
“E sia!” rispose l’essere divenendo immobile “Al tuo risveglio sarai   apprezzato ed amato da chi vuoi essere apprezzato ed amato. Ma   ricorda... semmai cercherai chi ti ama e ti apprezza per come sei   davvero o sei sempre stato, questa persona potrebbe rovinare tutto!”
“Va bene, lo terrò a mente. Non preoccuparti, non ne avrò bisogno... ”   replicò il giovane “Grazie per questa opportunità... ” ringraziò lo   sconosciuto che prima di andarsene lo ammonì: “E’ solo il mio compito...   addio!” e così dicendo si volatilizzò, schioccando le dita.
Jack cadde immediatamente in un sonno profondo e sognò felice e   compiaciuto la sua nuova vita.
Il giorno seguente si svegliò senza ricordare quello strano incontro, ma   gli bastarono le urla di sua madre per fargli tornare in mente quanto   era accaduto.
“Su, Jack, devi andare a sc...” disse entrando come al solito nella   stanza da letto del ragazzo “Jaaaack!” urlò stupita “Santo cielo! Ma   cosa diamine hai fatto ai tuoi capelli?” continuò a sbraitare.
Jack ancora assonnato e tramortito rispose borbottando: “Non lo so, ma   di che cosa stai parlando?”
“Vuoi scherzare? Ma ti sei visto allo specchio?” riprese la madre sempre   più irritata “Vieni a vedere l’acconciatura di tua figlio!” fece   rivolgendosi al padre “E tu, caro mio, mi devi dare delle spiegazioni!”   parlando nuovamente al figlio.
Ma di cosa parlava sua madre? E perché aveva detto a Jack di alzarsi per   andare a scuola il giorno di Natale? Attese che i genitori lasciassero   la sua stanza e poi scappò in bagno, dove si specchiò con stupore: i   suoi capelli, da sempre marroni e di media lunghezza, nel corso di una   notte erano diventati corti, con un ciuffo ribelle biondo che gli cadeva   sul sopracciglio destro: “Non male! Una botta di vita!” pensò, anche se   non motivò la sua considerazione ai famigliari. “Ha fatto davvero un   ottimo lavoro quel... accidenti... non gli ho nemmeno chiesto il nome!”.
Sentì il padre bussare alla porta del bagno: “Facciamo un salto dal   barbiere questo pomeriggio? Preferisco vederti rapato a zero piuttosto   che conciato così...” gli disse, pur mantenendo, a differenza della   madre, un atteggiamento calmo e pacato.
Jack fece colazione velocemente, in totale silenzio, spostandosi   continuamente dato che il fratello minore Max allungava le mani verso il   suo ciuffo, con curiosità e ammirazione.
Mentre i genitori si preparavano ad uscire, Max, con sguardo   compiaciuto, chiese al fratello maggiore: “Jack, puoi tingermi i capelli   di blu? Sarebbe bellissimo!” detto questo scese velocemente dalla sedia   e corse in camera sua, senza attendere alcuna risposta.
Jack si chiese la motivazione per cui quella figura senza volto avesse   cambiato oltre che il suo aspetto fisico anche la collocazione   temporale, visto che sicuramente si era svegliato in un momento diverso   rispetto alle festività natalizie. “Che sciocco...” si rispose “Durante   le vacanze di Natale nessuno dei miei compagni mi avrebbe notato... oggi   invece tutti apprezzeranno il mio cambiamento!” rifletté.
Gongolando tornò in camera per vestirsi e, appena aprì l’armadio, la sua   espressione fu di pura meraviglia. Lui che aveva dovuto combattere con   la madre e il padre per acquistare un paio di “felponi” ora si trovava   il guardaroba stracolmo di abiti e cappellini stile rapper! Con non poca   solennità scelse una felpa grigio scuro con uno stemma insignificante   davanti e se la infilò orgoglioso. Al posto dei suoi classici jeans   erano apparsi larghissimi pantaloni da ginnastica a cavallo basso: se ne   infilò un paio nero con i tasconi. Poi fu la volta delle scarpe: running   alte e borchiate, perfette! Prese lo zaino incurante del contenuto e   salutando velocemente la famiglia, cercando di farsi notare il meno   possibile, si avviò deciso verso la scuola.
Percorse di fretta il viale alberato che lo separava dalla sua meta.   Solitamente, per non annoiarsi, durante il tragitto guardava gli alberi   perdere le foglie, si chinava, osservava da vicino quel tripudio di   colori e ogni tanto ne raccoglieva qualcuna e la nascondeva nel diario,   a ricordo della stagione autunnale. Poi proseguiva, incontrava il sig.   Brook, un uomo minuto e balbuziente sempre in ritardo: “Buongiorno   signor Brook!” lo salutava ogni mattina “Oh... c.. c.. ciao Jake... de..   devo and... dare, altrimenti il ca ca capo fa tu tu tuoni e fu   fulmini...” gli rispondeva ogni mattino. “D’ accordo, arrivederci a   domani!” rispondeva lui, che faceva finta di non notare che l’uomo   sbagliava sempre a pronunciare il suo nome. Osservava ridendo l’ometto   allontanarsi con la valigetta e l’ andatura goffa e impacciata. Poi,   puntualmente, davanti a lui appariva la donna con il maglione giallo in   bicicletta. La vedeva tutte le mattine, e tutte le mattine era vestita   alla stessa maniera, con un vestitino a fiori coperto da quel ridicolo   maglione giallo. Jack non la conosceva, ma vederla sempre lì, chissà   perché, gli dava sicurezza. Quella mattina andava di fretta e non badò   né a mister Brook, che lo chiamava intaccando, né alla donna dal   maglione giallo, che per poco non lo urtò con la sua bicicletta e dopo   aver frenato bruscamente se ne andò commentando: “Santo cielo, i giovani   d’ oggi! Che teppisti, che disgraziati!”.
Jack entrò a scuola entusiasta e si fiondò immediatamente in classe.   Hole, il più carismatico del gruppo dei maschi, lo notò immediatamente.   Jack lo aveva sempre ammirato ed invidiato per la sua determinazione,   difatti era amato da tutti per il suo atteggiamento, la sua bravura e la   sua simpatia. Qualche volta aveva scambiato quattro chiacchiere con Jack   e gli sorrideva spesso, ma era sempre circondato dagli altri compagni;   per quale ragione avrebbe dovuto occuparsi di lui?
Solo in quel momento Jack si accorse che, nonostante tutti i compagni di   classe avessero vestiti similari ai suoi, Hole portava un anonimo paio   di jeans e una semplice maglietta a righe. Eppure tutti lo apprezzavano,   ma lui era sempre.... sé stesso: “Già, ma che bisogno avrebbe di   cambiare un ragazzo brillante e popolare come lui?” si rispose Jack “Ma   come? Divento come loro” continuò a pensare “E nessuno …. ehi...   finalmente Percy si sta avvicinando a me....”.
Infatti Percy, dopo averlo squadrato per un istante che a Jack parve   infinito, commentò: “Jack, bella felpa ragazzo!” e si avvicinò per   dargli una specie di “cinque”. “Grazie” farfugliò Jack cercando un modo   per intrattenere il compagno... ma di cosa poteva parlare? Aveva   interagito così poco con i compagni di classe in questi anni, cercò di   ricordarsi i discorsi che sentiva, che a lui erano parsi sempre   totalmente inutili.... fortnite, youtube, rapper, calcio.... “Hai visto   la partita, ieri sera?” chiese Jack completamente all’ oscuro di   qualsiasi argomento calcistico. Percy aggrottò le sopracciglia e fece   spallucce: “No, che squadre giocavano?”
Aiuto! Domanda inaspettata! Che cosa poteva rispondere a Percy? Per chi   tifava? Di colpo si rammentò il nome di due squadre di calcio: “Juventus   e Milan?” fece con tono interrogativo. “Ma che stai dicendo?” rispose   quello quasi scocciato: “Giocano domenica prossima!” e si allontanò.   Primo tentativo di approccio fallito miseramente. Jack sbuffò: come   poteva farsi accettare lui, che di sport seguiva solo il tennis? Si   ricordò di un altro compagno di classe, Alex, con cui a volte   chiacchierava, e che spesso copiava i suoi compiti. Appena lo vide   entrare si precipitò verso di lui: “Ciao Alex!” Quello lo guardò: “Che   vuoi? Hai già fatto l’analisi logica per domani? Mi fai copiare?” fece   quello con il solito andazzo.
“No... in realtà... ” mormorò Jack sottovoce “E che mi chiami a fare se   non hai fatto i compiti?” rispose il ragazzo.
“Ma Alex, io... ” ma quello si era già recato in ultima fila a parlare   con Hole.
“Non è possibile” pensava fra sé e sé Jack “Questi continuano ad   evitarmi...forse... ho ancora attorno a me l’alone da “secchione”? Ho   questa macchia nel mio passato? Devo essere io a mostrare ai miei amici   che sono cambiato?”. Forse il termine “amici” era un po’ forzato, ma   Jack si sentiva al settimo cielo. Il modo migliore per mostrarsi per ciò   che non si è? Il cellulare, ovvio. Era deciso: avrebbe utilizzato   instagram e si sarebbe fatto un sacco di followers.
Quel pomeriggio appena rientrato a casa, invece di studiare come al   solito, decise di dedicarsi alla sua nuova app. Controllò la galleria   del suo cellulare: purtroppo quello strampalato individuo non aveva   modificato le fotografie. Scorse diverse foto: quella con in mano il   trofeo della competizione di matematica, quella con un sorriso   estremamente tirato al mare a fianco del fratello Max, quella in cui   eseguiva un buon rovescio al tennis.... Con quale coraggio avrebbe   potuto cancellare così attimi della sua vita? “Bando ai sentimenti!”   pensò e trasferì tutto dentro al “cestino”. In pochi secondi il   cellulare si svuotò, rimasero solo le chat dei compagni e i loro video   insulsi. Un’ immagine però gli sfuggì, non poté fare a meno di notarla,   e si accorse che si trattava di un momento particolare della sua vita.   In primo piano c’erano lui e suo fratello in pigiama, qualche anno   prima, ai piedi dell’ albero di Natale, che scartavano i regali   sorridendo. Max esibiva il suo elicottero mentre Jack poggiava la sua   testa contro il pupazzo che stringeva al petto: Alnaud.
In quella foto il suo sorriso era vero, a differenza di quello in molte   altre: “Quante volte ho posato senza mostrare davvero me stesso?” si   chiese Jack. Controllò il numero di foto nel cestino “Ben 1207 volte!”   si rispose. Quanto era reale l’immagine sotto l’albero di Natale, quanto   lo rappresentava! Quanto s’ identificava nel bambino che abbracciava   stretto stretto quel pupazzo, sognando chissà quali avventure!
“E’ davvero questa la vita che voglio vivere?” si domandò. Ma ormai   aveva fatto una scelta e quella figura aveva avuto la bontà di   accontentarlo. “Non tornerò sui miei passi proprio ora” ragionò aprendo   instagram e tirandosi su il cappuccio della felpa, anche se non sentiva   per niente freddo. Vide le foto dei suoi compagni di classe che si   “selfavano” incappucciati, mentre andavano sullo skateboard, con il   nuovo hoverboard o con la play 4. Per quanto avesse cercato, non riuscì   a trovare nessun profilo di Hole. Questo avrebbe dovuto farlo ragionare,   ed invece iniziò a scattarsi foto alla specchio che riflettevano la sua   immagine senza mostrare il volto, coperto dal cellulare. Mostrò il suo   nuovissimo drone, i suoi vestiti ultima moda e, senza un motivo preciso,   si autobattezzò jack.fire. Decise di seguire tutti i suoi compagni di   classe, nella speranza di venir presto ricambiato. Jack esultò quando,   in pochissimi minuti, iniziò a vedere salire il numero dei suoi   followers. “Questo è solo l’ iniziò” pensò “Lo sapevo che avrebbe   funzionato!”.
La sua attenzione fu attirata da un certo Den-Loyers che aveva iniziato   a seguirlo ma che a lui non pareva di conoscere. Girovagando fra profili   ed amicizie scoprì che il ragazzo aveva un anno in più di lui,   frequentava il liceo scientifico, era un asso nel calcio ed aveva   moltissimi amici, o meglio, followers. “Che chioma ribelle!” osservò,   ricordandosi solo qualche secondo dopo che anche la sua acconciatura non   fosse da meno. Cercò le foto di altri conoscenti, provando svariati nomi   e nick, e si rese conto che gli sembrava di osservare sempre la stessa   persona.
Poi d’ improvviso scovò anche il profilo di Hole: si chiamava ares.io e   pubblicava foto semplicissime con i suoi soliti abiti, in compagnia di   amici, oppure qualche tramonto e qualche paesaggio marino. Pubblicava   foto delle sue gare di atletica, con gli altri atleti della sua società   e con gli allenatori.
Anche gli altri compagni di classe di Jack dovevano essere, ovviamente,   uno differente dall’ altro, ma non volevano darlo a vedere. Volevano   essere uguali, uniformi, appartenenti ad un gruppo omogeneo. Hole era   diverso, eppure veniva apprezzato per la sua simpatia, la sua   creatività, la sua intraprendenza. Era un punto nero al centro di una   tela bianca: qualcuno avrebbe potuto non notarlo? Durante quel   pomeriggio si collegò poi a youtube e visionò tutti quei video di cui i   suoi compagni andavano matti: più che divertenti, molti gli parvero   senza senso. Aveva davvero “perso qualcosa” fino a quel momento?
Quella notte Jack rifletté su sé stesso, in parte sperava di risentire   quella musica e quell’ aria gelida, in parte rimuginava sui dettagli del   suo progetto di cambiamento. Anche i suoi genitori si erano scordati del   barbiere, dopo lo stupore iniziale si erano già dimenticati di quella   trasformazione.
La mattina seguente per recarsi a scuola imboccò il solito viale   alberato. Ormai erano cadute tutte le foglie e il freddo era pungente,   ma lui non aveva alcuna intenzione di coprirsi “Non è da duri” pensò.
“Ehi, jack.fire!” sentì una stridula voce. Jack si voltò di scatto e si   trovò davanti Den-Loyers, che tanto aveva osservato il giorno precedente   su instagram. “Ciao” rispose titubante Jack. “Posti delle foto   fantastiche! Hai la mia età, per caso?”.
Jack pensò di rispondere di no, ma le bugie, finché non vengono   scoperte, facilitano la vita: “Ovvio. Per chi mi hai preso, per un   moccioso delle medie?” rispose dandosi un tono.
“Sei forte sai” fece l’altro tirandogli una pacca sulle spalle “Dovremmo   iniziare a frequentarci”. Essere amico di un liceale? Lui? Era uno dei   suoi obiettivi, nonché il metodo per farsi invidiare dai suoi compagni   di classe. Ma la domanda successiva fece cadere Jack dalle nuvole: “Esci   stasera?”.
Jack deglutì vistosamente: “Io.... non saprei....” rispose cercando di   non dare a vedere che uscire la sera per lui era un argomento nuovo e   inaspettato.
“Va bene, non ho altro tempo” fece l’altro allontanandosi “Se cambi   idea, mi trovi davanti al Cucaracha. A stasera...”.
Jack passò la giornata riflettendo sulle parole di quello che altro non   era che uno sconosciuto e alla fine trovò il modo per allontanarsi da   casa senza essere notato. Davanti al Cucaracha c’era una pesante coltre   di fumo e Jack trattenne a stento la tosse, non era abituato, nessuno in   famiglia fumava.
Era passato davanti al Cucaracha, che distava pochi minuti dalla sua   abitazione, solo di giorno e non gli sembrava lo stesso locale che si   trovava davanti ora. Non era una discoteca ma un luogo di ritrovo dei   giovani del quartiere. Appena oltre il cancello si estendeva un ambio   giardino con sedie, tavolini ed ombrelloni per le giornate assolate,   mentre un vialetto in sassi portava alla porta a vetri d’ ingresso. Non   seppe mai com’era l’interno del locale perchè Den-Loyers lo attendeva in   strada, appoggiato ad un motorino, insieme ad altri ragazzi intenti a   passarsi sigarette e piegare cartine. Il conoscente lo salutò con un   cenno della mano e Jack gli corse incontro, quando.... qualcosa o   qualcuno lo bloccò. Si sentì tirare il cappuccio del felpone “Jack!” lo   chiamò una voce. Si voltò e nella nebbia gli apparvero Hole con il   piccolo Max al suo fianco, che stringeva forte al petto il vecchio   Alnaud. Il fratello gli porse il pupazzo e Jack lo prese nella mano e,   senza riuscire a darsi una spiegazione, abbassò il viso e un rossore gli   scaldò le guance.
Den-Loyers assistette alla scena e decise di allontanarsi, fece un cenno   agli altri ragazzi del gruppo che si infilarono in tasca cartine e   mercanzia. Qualcuno distanziandosi commentò con fare sprezzante: “Sono   arrivati quelli dell’asilo?”... “Chiamate le mammine che vengono a   tenervi su il lumino!”...“Tornate a casa a vedere i cartoni animati!”
Ma a Jack queste parole non interessavano, ora le uniche persone che   vedeva erano Hole e Max, davanti a lui, più serie che mai.
“Sarebbe ora di tornare a casa” propose Hole, e gli altri due annuirono   con il capo. Jack si sfilò il piumino e la felpa scura, la infilò nel   cassonetto dell’immondizia, e si coprì nuovamente con il giaccone.
“Bentornato nei Diversi” commentò Hole “In quelli che preferiscono   ragionare con la propria testa”,
“Come facevate a sapere che ero qui?” rispose Jack cercando di coprirsi   dal freddo pungente invernale.
“Ti ho visto che uscivi dalla finestra del piano terreno. Mamma e papà   si sono preoccupati, ti prego, non fuggire più così, io ero molto   triste!” singhiozzò Max abbracciando il fratello “Sono uscito di casa   per provare a trovarti ed invece ho incontrato Hole che portava a   passeggio il cane. Gli ho chiesto aiuto e lui mi ha risposto che poteva   immaginare dove tu fossi finito e mi ha portato qui! Anche mamma e papà   hanno preso l’auto per cercarti....”
Jack provò un forte rimorso: era un egoista, un viziato, un immaturo!   Aveva fatto allarmare un’intera famiglia per i suoi insulsi capricci.   Voleva atteggiarsi da adulto e invece era un bambino, anche più piccolo   di Max..
“La colpa è tutta di – La Massa – che può trasformare le persone...”   sentenziò Hole.
“Chi è – La Massa -?” chiese Jack incuriosito, mentre presero a   camminare verso casa.
“La Massa è un essere senza volto perché rappresenta diverse persone. La   Massa ti spinge ad essere uguale agli altri, ad uniformati con il   gruppo, ad apparire per come non sei. Conosco bene questo personaggio,   mi si è presentato più volte, con i suoi modi benevoli e quel vestito da   damerino.... ma già il fatto che non abbia un volto dovrebbe indurre a   riflettere. Molti dei nostri compagni di classe, molti di quei ragazzi   che hai visto davanti a quel locale sono ignare vittime di La Massa. Noi   per fortuna non ci siamo fatti abbindolare e siamo rimasti noi stessi,   ma gli altri sono apatici e ottusi, e non si rendono conto di rimanere   imprigionati nell’ universo dei luoghi comuni. Smettono di ragionare con   la loro testa e si fanno trascinare dagli amici o da chissà chi, nel   bene o nel male, perdendo completamente la loro unicità”.
Jack sapeva che Hole era in gamba e aveva un grande carisma, ma non si   aspettava un simile ragionamento da lui. Gli aveva letto nella mente,   aveva riassunto in poche parole la situazione che Jack negli ultimi   giorni aveva vissuto, che non avrebbe mai avuto il coraggio di dire, che   come la nebbia di quella sera gli aveva completamente offuscato i   pensieri.
Quando arrivarono nei pressi di casa sua, Jack si sentì improvvisamente   stringere da dietro:   “MammamiaJackquantocisiamospaventatiemenomalechestaibene!” gridò sua   madre senza prendere fiato. Suo padre invece era al tempo stesso   preoccupato ed arrabbiato. Il ragazzo notò che anche nonna Ada, spuntata   da non si sa dove, osservava la scena con un volto rabbioso, da dietro   le lenti appannate degli occhiali: “Vergognati! Mascalzone!” gli disse   “Uscire di casa senza avvisare, questo sarebbe il tuo modo di cambiare   il mondo?” alla fine commentò.
Prima di rientrare nella casa color piccione, la nonna sussurrò nell’   orecchio del nipote “Ho recitato bene la mia parte?”
“Ma come? Non sei arrabbiata con me?” rispose Jack con stupore.
“Io, ma certo che no! E a cosa servirebbe? Sei tu che devi essere   arrabbiato con te stesso. Chiediti quali conseguenze avrebbe potuto   portare questa tua bravata se nessuno fosse intervenuto. Avresti dovuto   parlare con me quella sera, avresti dovuto riflettere sulle mie parole.   Buonanotte, che la notte ti sia consigliera!” rispose la nonna baciando   il nipote sul capo, che finalmente era libero da quell’ inutile   cappuccio, ed allontanandosi nella nebbia verso la propria abitazione.
Jack si sdraiò, convinto che la sua avventura non fosse ancora finita.   Infatti dopo qualche istante la melodia riempì la stanza e a poco a poco   divenne musica assordante che si diffuse in ogni parte di essa. Si tappò   le orecchie ma si rese conto che il rumore era dentro di lui, non fuori.
Quando tutto cessò Jack sentì nuovamente i passi avvicinarsi e il vento   gelido sfiorargli il viso. Era sicuramente lui, La Massa. Jack cercò di   prendere coraggio ripensando alle parole di Hole.
Poi l’uscio cigolò e si aprì lievemente. Eccolo lì, La Massa, vestito   elegantemente, ma questa volta con una faccia, una faccia che fece   gridare Jack dalla paura: era la sua!
La Massa ghignava dal viso di Jack, che, ferito nell’ orgoglio, decise   che avrebbe dovuto immediatamente disfarsi di quell’ ipocrita che   cercava ancora di impossessarsi di lui.
“Ridammi il mio volto” gli gridò balzandogli addosso come impazzito   “Ridammi me stesso!” urlò a La Massa afferrandolo per la faccia “Non è   tuo! Mollalo subito!” sbraitava preso da un desiderio di vendetta e di   odio implacabile nei confronti di quell’ entità che voleva modificargli   la vita. La Massa, che non si aspettava assolutamente una simile   reazione, rimase all’inizio stupito, e cercò di divincolarsi invano.   Jack vedeva il suo viso su La Massa che si lacerava ogni volta che lui   diceva o faceva qualcosa per riappropriarsi della sua identità.   Lentamente il volto diveniva sfocato, scolorito. Allora il ragazzo prese   a gridare ancora più forte: “Tu non sei me! Io sono unicooooo!”   rovesciando tutta la collera che aveva accumulato durante quella lunga   giornata.
D’ improvviso il viso de La Massa si spaccò in due e svanì   definitivamente, il suo corpo si sciolse lasciando scivolare i suoi   abiti a terra, stesi sul pavimento. Jack li raccolse, aprì la finestra,   e con tanta rabbia aveva in corpo li gettò fra la nebbia. Non voleva che   nulla di quella figura potesse restargli vicino.
Poi acciuffò Alnaud e si sdraiò sul letto insieme a lui, cercando di   calmarsi, sperando che la renna gli potesse regalare i sogni   meravigliosi di quando era bambino, e cadde in un sonno pesante e   profondo.
“Jack, Jack!” gridò una voce infantile “E’ arrivato Babbo Natale” urlò   la stessa voce iniziando a tirare pugni al letto del fratello maggiore.   Jack si stropicciò gli occhi e si mise seduto: ma come, era Natale?
Max lo tirava per la manica insistentemente, lui fece una carezza al   fratello, poi si divincolò e corse in bagno, cercando lo specchio.
L’ immagine riflessa era quella di un giovane dai capelli marroni di   lunghezza media e gli occhi assonnati, ma colmi di futuro. Jack si passò   una mano incredula sulla sua chioma, riconoscendola nuovamente. Poi si   precipitò nel salotto e sotto l’albero il fratellino già aveva iniziato   a scartare i regali, sotto lo sguardo adorante dei genitori.
Dunque aveva sognato? Sentì in quel silenzio solenne il bip di un   messaggio al telefonino, tornò velocemente nella sua stanza e prendendo   il cellulare notò con un certo sollievo di non avere instagram   installato.
Il messaggio whatsapp era di Hole: “Buon Natale Jack! Ti aspetto all’   angolo di via Rionax, ti devo parlare”. “Fra poco sono da te!” scrisse   prontamente il giovane.
Dopo aver scartato i regali e commentato con il fratellino, chiese   diligentemente il permesso di uscire una mezz’ora ai genitori che,   seppur stupiti, glielo concessero.
Jack assaporò quell’ uscita, quell’ aria frizzantina, quel vento che gli   scuoteva il viso, il suo viso, quella città coperta dalla candida neve.   Il viale era deserto, qualche automobile marciava lenta sul manto   nevoso. Jack scorse Hole all’ angolo di Via Rionax, come si erano   accordati.
Accellerò il passo appena lo vide, era incuriosito e avrebbe voluto   chiedergli se tutto era realmente accaduto.
“Ciao Jack” fece Hole appena gli fu vicino.
“Come mai mi vuoi parlare proprio il giorno di Natale dopo che in tre   anni non ci siamo mai confrontati veramente?” gli rispose il giovane.
“La Massa ti ha cancellato i ricordi?” chiese secco Hole senza   convenevoli.
Dopo un attimo di esitazione e confusione Jack rispose: “Ma allora è   accaduto veramente? E come mai tutti gli altri non lo ricordano?”
“Noi lo possiamo ricordare perché siamo stati in grado di tenergli   testa, quelli che si sono lasciati condizionare e trasportare non   possono rammentare nulla. I ricordi sono nella tua mente, Jack, non in   quella degli altri! La tua vita sono i tuoi pensieri e le tue idee, non   quelle degli altri!” disse porgendogli un piccolo dono.
Jack si sentì profondamente riconoscente nei confronti di Hole: “Lascia   perdere, amico” rispose “Il regalo migliore me lo hai fatto ieri sera.   Sono io ad esserti debitore!” e Hole capì che quel dono non aveva alcuna   importanza e lo ripose nella tasca.
Hole porse la mano a Jack, infreddolita dall’ aria glaciale e dalla neve   che aveva ripreso a scendere lenta e, nel suo candore, sembrava   arrestare lo scorrere caotico del mondo, almeno per qualche istante.
Jack strinse la mano a Hole e un fiocco di quella neve si poggiò   lievemente su quelle dita intrecciate, su quelle mani arrossate, su quei   cuori puri, su quel gesto significativo che rappresentava l’inizio di   una vera amicizia, che non aveva bisogno di foto o messaggi. Il loro era   un legame reale e né a Jack né a Hole interessava condividerlo con   qualcuno.
E la neve di Natale scendeva ancora, lenta e inesorabile, copriva le   strade, le auto, le case e i lori volti, ma non la loro amicizia. E la   neve di Natale scendeva ancora, spettatrice silenziosa di due ragazzi   che stavano scrivendo la loro storia, quella storia che li stava   preparando a diventare uomini, e non solo esseri umani.
Torna ai contenuti