Si è diplomato presso l’Istituto Tecnico per il Turismo Francesco Algarotti di Venezia e si è laureato in Storia presso l’Università di Venezia con una tesi di laurea intitolata Il gioco degli scacchi nella storia e nella società cecoslovacche.
Nell’ambito universitario e in collaborazione con l’Ufficio attività cinematografiche del Comune di Venezia ha realizzato due rassegne cinematografiche: Le due stagioni del cinema cecoslovacco e Il cinema del post-comunismo nell’Europa centro-orientale.
Dal 1998 lavora presso il Teatro Stabile del Veneto.
Dal 2016 scopre nella scrittura di romanzi una sua nuova inedita passione.
Presentazione
Un libro scritto in veneziano antico. Una serie di passati che non passano.
Un gruppo di amici esploratori. Un ispettore di polizia. Un bibliotecario.
Una ricercatrice di piccole storie veneziane.
Sono tutti attori non protagonisti diretti dall’unico vero protagonista, la città di Venezia, di questa storia.
Ei disean che no l’era d’aver paura. La isola de Popilia se fa stomego de la paura altrui. E in tel stomego l’ha ingurgità tuti queli ch’havea paura. Li altri, pochi a dirla tuta, quei che l’è deventà mati, i s’ha salvà. Ma quei ha dito che i havea veduo cosse che niun humano havea poduo imaginà.
Tanto fea li mati, ché se no li era. L’era par sconfiger la paura. Li mati veri e li mati falsi se confondea e quei che li vedea no i era boni de far distinguo.
E come la trista historia de Bastian el grego. L’era nato a Candia ma l’havea combatuo a fianco de la Dominante. Finia la guera, l’havean recluso a Popilia, ché l’havea la Morte nera. El scampò via, pien de paura disendo che l’havea visto orrendi mostri. Portà de novo de dove l’era scampà, le tocò la terrible sorte de esser bruzà vivo. Da hora el so spirto se vendica co li profanatori.
Capitolo I
Anno bisesto 2012, novembre, tardo pomeriggio, Campo San Giacomo da l’Orio
Nonostante la temperatura rigida e il buio autunnale, ci sono ancora molti bambini sparpagliati su tutto lo spazio corrispondente a uno dei campi più belli e vivaci di Venezia. Non ci sono giostrine, altalene, ci sono muri che fungono da porte da calcio, ci sono aiole, panchine, una fontana, ci sono persone che si spostano poco, rimangono lì anche per ore o in piedi o sedute sulle panchine, sono genitori, fratelli maggiori, baby-sitter, badanti. C’è anche chi aspetta qualcuno che non arriverà.
Metà anni ’80, luglio, primo pomeriggio, sopra il Ponte di Rialto
Alcune botteghe, poche per la verità, sono chiuse per ferie. Il caldo di una classica estate afosa veneziana non scoraggia i turisti neanche nelle ore più calde della giornata. Seduto sul parapetto di marmo lato Ca’ d’oro, guardando sul lato opposto, il ragazzo osserva il passaggio di parecchie persone al minuto, alcune si fermano, ma non quella che sperava si fermasse. Dopo quattro interminabili ore di vana attesa, dopo aver visto passare migliaia di persone in entrambi i sensi, dopo averne viste fermarsi alcune centinaia, il ragazzo capisce che la persona che stava aspettando non arriverà.
Anno corrente, novembre, Biblioteca Marciana, sala delle consultazioni, mattina
“Ecco. Questo è tutto quello che abbiamo sull’acquedotto veneziano e sul sistema di approvvigionamento idrico della città nei secoli precedenti la sua costruzione.”
“Grazie” disse Lucia rivolgendosi al bibliotecario trovandosi davanti una bella pila di volumi che superava in altezza il mezzo metro. Alcuni di questi erano vecchi e consumati, per quanto ben conservati.
“Per i volumi dell’Ottocento deve richiedere un’autorizzazione speciale, se deve fare delle fotocopie. Altro materiale lo può trovare …”
“Grazie, per il momento mi basta questo” interruppe Lucia. “Ah, senta” richiamò l’addetto mentre si stava allontanando “ci dev’essere un errore: questo libro non l’ho ordinato io.”
“In effetti … la mia collega è andata in ferie e mi ha lasciato le consegne, fra cui la richiesta di questo volume, ma non riusciamo a risalire al richiedente, così sto tentando di capire chi potesse avercelo chiesto e ho tentato con lei.”
“Al momento non posso essere interessata anche a questo” disse Lucia posando lo sguardo sulla copertina “credo poi che non potrei mai consultare un volume del genere, farei una grandissima fatica a comprendere questo linguaggio” continuò sfogliando le prime pagine.
“Ha provato a chiedere a quel signore? Da qualche giorno lo vedo qui e so che si occupa delle isole della Laguna.”
“Ho provato a consegnarlo anche a lui ritenendolo il richiedente più accreditato, ma niente: questo volume, oltre a non averlo richiesto, non gli ha destato alcuna reazione, credo che fra tutte le isole che sta studiando, Poveglia proprio non gli interessi.” Il bibliotecario si congedò da Lucia ritirando il volume in esubero, non prima però di aggiungere che “ormai è sempre più frequente vedere persone che vengono da fuori fare ricerche su Venezia. I veneziani se ne occupano sempre meno, si fanno poche domande su questo luogo straordinario in cui sono per puro caso venuti ad abitare. Questi che tanto si pavoneggiano per essere nella più bella città del mondo, pur essendone discendenti, da un punto di vista della cultura in senso ampio, non hanno nulla in comune con quelli che l’hanno costruita e mantenuta nei secoli. Questi qua se li portassimo indietro di mille anni li vedremmo seduti su una barena a guardare i gamberi rincorrersi. Scusi lo sfogo, sono tuttavia contento di essere a disposizione di qualcuno che invece ha voglia e curiosità e se viene da fuori ciò gli rende ulteriore merito.”
Lucia aveva ascoltato con educazione ma senza un particolare interesse. A lei premeva più che altro portare avanti almeno uno dei suoi tanti progetti iniziati mai finiti. Non aveva mai visto un libro dedicato alle fontanelle di Venezia; nella sconfinata bibliografia su qualsiasi cosa potesse riguardare la Città a forma di pesce non c’era ancora un libercolo dedicato a quelle colonnine di ghisa distribuite su tutto il territorio del centro storico. A lei piacevano un sacco quelle fontane, perché così le chiamano a Venezia, non avendo diffusa coscienza di quello che sono veramente le fontane, come quella di piazza di Spagna a Barcellona, quella di Trevi nella Capitale, ma anche quella di Piazza San Marco aperta con l’inaugurazione dell’acquedotto nel 1884.
A Lucia piaceva da morire lo scorrere continuo dell’acqua quasi a far somigliare le fontanelle a un torrente di montagna, certo, con la dovuta fantasia. Lucia non sopportava che l’amministrazione cittadina avesse da tempo optato per la chiusura di molte di esse e tollerava a fatica che in alcune vi fosse applicato un pedale che aveva lo scopo di attivare il flusso e interromperlo. Questo era stato fatto contro lo spreco dell’acqua, aveva un senso, ne comprendeva l’utilità, anche se, infischiandosi della ragione, lei voleva aperte tutte le fontanelle della città, voleva sentire lo scroscio continuo dell’acqua come di un ruscello. Forse per questo il suo appartamento si trovava in Campo Santa Giustina, capolinea dell’unico segmento rettilineo veneziano a non essere definito Calle, Salizada, Rio terà, ma Barbarìa, nella fattispecie delle tole. La fontanella sistemata in mezzo al campo dal getto tenue ma continuo era la sua compagnia preferita.
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