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Bruno Trangoni
è nato a Venezia nel 1964.
Si è diplomato presso l’Istituto Tecnico per il Turismo Francesco Algarotti di Venezia e si è laureato in Storia presso l’Università di Venezia con una tesi di laurea intitolata Il gioco degli scacchi nella storia e nella società cecoslovacche.
Nell’ambito universitario e in collaborazione con l’Ufficio attività cinematografiche del Comune di Venezia ha realizzato due rassegne cinematografiche: Le due stagioni del cinema cecoslovacco e Il cinema del post-comunismo nell’Europa centro-orientale.
Dal 1998 lavora presso il Teatro Stabile del Veneto.
Dal 2016 scopre nella scrittura di romanzi una sua nuova inedita passione.

ROMANZO

Presentazione


Un libro   scritto in veneziano antico. Una serie di passati che non passano.

Un gruppo di   amici esploratori. Un ispettore di polizia. Un bibliotecario.

Una   ricercatrice di piccole storie veneziane.

Sono tutti   attori non protagonisti diretti dall’unico vero protagonista, la   città di Venezia, di questa storia.

 L’ISOLA



Ei disean che no l’era d’aver paura. La   isola de Popilia se fa stomego de la paura altrui. E in tel stomego   l’ha ingurgità tuti queli ch’havea paura. Li altri, pochi a dirla   tuta, quei che l’è deventà mati, i s’ha salvà. Ma quei ha dito che i   havea veduo cosse che niun humano havea poduo imaginà.

Tanto fea li mati, ché se no li era. L’era   par sconfiger la paura. Li mati veri e li mati falsi se confondea e   quei che li vedea no i era boni de far distinguo.

E come la trista historia de Bastian el   grego. L’era nato a Candia ma l’havea combatuo a fianco de la   Dominante. Finia la guera, l’havean recluso a Popilia, ché l’havea   la Morte nera. El scampò via, pien de paura disendo che l’havea   visto orrendi mostri. Portà de novo de dove l’era scampà, le tocò la   terrible sorte de esser bruzà vivo. Da hora el so spirto se vendica   co li profanatori.

Capitolo I

Anno bisesto 2012, novembre, tardo   pomeriggio, Campo San Giacomo da l’Orio

Nonostante la temperatura rigida e il buio   autunnale, ci sono ancora molti bambini sparpagliati su tutto lo   spazio corrispondente a uno dei campi più belli e vivaci di Venezia.   Non ci sono giostrine, altalene, ci sono muri che fungono da porte   da calcio, ci sono aiole, panchine, una fontana, ci sono persone che   si spostano poco, rimangono lì anche per ore o in piedi o sedute   sulle panchine, sono genitori, fratelli maggiori, baby-sitter,   badanti. C’è anche chi aspetta qualcuno che non arriverà.

Metà anni ’80, luglio, primo pomeriggio,   sopra il Ponte di Rialto

Alcune botteghe, poche per la verità, sono   chiuse per ferie. Il caldo di una classica estate afosa veneziana   non scoraggia i turisti neanche nelle ore più calde della giornata.   Seduto sul parapetto di marmo lato Ca’ d’oro, guardando sul lato   opposto, il ragazzo osserva il passaggio di parecchie persone al   minuto, alcune si fermano, ma non quella che sperava si fermasse.   Dopo quattro interminabili ore di vana attesa, dopo aver visto   passare migliaia di persone in entrambi i sensi, dopo averne viste   fermarsi alcune centinaia, il ragazzo capisce che la persona che   stava aspettando non arriverà.

Anno corrente, novembre, Biblioteca   Marciana, sala delle consultazioni, mattina

“Ecco. Questo è tutto quello che abbiamo   sull’acquedotto veneziano e sul sistema di approvvigionamento idrico   della città nei secoli precedenti la sua costruzione.”

“Grazie” disse Lucia rivolgendosi al   bibliotecario trovandosi davanti una bella pila di volumi che   superava in altezza il mezzo metro. Alcuni di questi erano vecchi e   consumati, per quanto ben conservati.

“Per i volumi dell’Ottocento deve richiedere   un’autorizzazione speciale, se deve fare delle fotocopie. Altro   materiale lo può trovare …”

“Grazie, per il momento mi basta questo”   interruppe Lucia. “Ah, senta” richiamò l’addetto mentre si stava   allontanando “ci dev’essere un errore: questo libro non l’ho   ordinato io.”

“In effetti … la mia collega è andata in   ferie e mi ha lasciato le consegne, fra cui la richiesta di questo   volume, ma non riusciamo a risalire al richiedente, così sto   tentando di capire chi potesse avercelo chiesto e ho tentato con   lei.”

“Al momento non posso essere interessata   anche a questo” disse Lucia posando lo sguardo sulla copertina   “credo poi che non potrei mai consultare un volume del genere, farei   una grandissima fatica a comprendere questo linguaggio” continuò   sfogliando le prime pagine.

“Ha provato a chiedere a quel signore? Da   qualche giorno lo vedo qui e so che si occupa delle isole della   Laguna.”

“Ho provato a consegnarlo anche a lui   ritenendolo il richiedente più accreditato, ma niente: questo   volume, oltre a non averlo richiesto, non gli ha destato alcuna   reazione, credo che fra tutte le isole che sta studiando, Poveglia   proprio non gli interessi.” Il bibliotecario si congedò da Lucia   ritirando il volume in esubero, non prima però di aggiungere che   “ormai è sempre più frequente vedere persone che vengono da fuori   fare ricerche su Venezia. I veneziani se ne occupano sempre meno, si   fanno poche domande su questo luogo straordinario in cui sono per   puro caso venuti ad abitare. Questi che tanto si pavoneggiano per   essere nella più bella città del mondo, pur essendone discendenti,   da un punto di vista della cultura in senso ampio, non hanno nulla   in comune con quelli che l’hanno costruita e mantenuta nei secoli.   Questi qua se li portassimo indietro di mille anni li vedremmo   seduti su una barena a guardare i gamberi rincorrersi. Scusi lo   sfogo, sono tuttavia contento di essere a disposizione di qualcuno   che invece ha voglia e curiosità e se viene da fuori ciò gli rende   ulteriore merito.”

Lucia aveva ascoltato con educazione ma   senza un particolare interesse. A lei premeva più che altro portare   avanti almeno uno dei suoi tanti progetti iniziati mai finiti. Non   aveva mai visto un libro dedicato alle fontanelle di Venezia; nella   sconfinata bibliografia su qualsiasi cosa potesse riguardare la   Città a forma di pesce non c’era ancora un libercolo dedicato a   quelle colonnine di ghisa distribuite su tutto il territorio del   centro storico. A lei piacevano un sacco quelle fontane, perché così   le chiamano a Venezia, non avendo diffusa coscienza di quello che   sono veramente le fontane, come quella di piazza di Spagna a   Barcellona, quella di Trevi nella Capitale, ma anche quella di   Piazza San Marco aperta con l’inaugurazione dell’acquedotto nel   1884.

A Lucia piaceva da morire lo scorrere   continuo dell’acqua quasi a far somigliare le fontanelle a un   torrente di montagna, certo, con la dovuta fantasia. Lucia non   sopportava che l’amministrazione cittadina avesse da tempo optato   per la chiusura di molte di esse e tollerava a fatica che in alcune   vi fosse applicato un pedale che aveva lo scopo di attivare il   flusso e interromperlo. Questo era stato fatto contro lo spreco   dell’acqua, aveva un senso, ne comprendeva l’utilità, anche se,   infischiandosi della ragione, lei voleva aperte tutte le fontanelle   della città, voleva sentire lo scroscio continuo dell’acqua come di   un ruscello. Forse per questo il suo appartamento si trovava in   Campo Santa Giustina, capolinea dell’unico segmento rettilineo   veneziano a non essere definito Calle, Salizada, Rio terà, ma   Barbarìa, nella fattispecie delle tole. La fontanella sistemata in   mezzo al campo dal getto tenue ma continuo era la sua compagnia   preferita.


Continua...
Nella presente antologia è stata riportata solo la parte introduttiva del romanzo.

Per l’Opera completa contattare l’Autore.

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