circonda.
Caro papà.
In una domenica pomeriggio, ti cerco.
Cerco un tuo abbraccio, un bacio sulla guancia, la forza che a volte non ho. Mi ricordo quanto tu dormivi ed io, bambino piccolo e felice, venivo a disturbarti e ti accorgevi della mia presenza e con la guancia grattavi la mia.
Una foto scattata recentemente a Venezia, su un ponte. Come sfondo, una nave.
Avevo la febbre, il vento scompigliava i miei capelli e le onde del mare accarezzavano la mia anima. Sono allergico all’assenzio, e questo può essere un deterrente. Ma voglio ubriacarmi, in modo da poter pensare con più lucidità, la musica gothic metal dentro di me.
Ora più che mai c’è bisogno di viaggiare, navigare con te.
Tu comandante della nave, io allievo marinaio. Non importa se sono vecchio, ho solo trentaquattro anni. Ho bisogno di sentire le tue parole, sono ossigeno per respirare. La sensazione che a volte provo è quella di un uomo che annega, ma che risale a galla in cerca di te. Ci manchi.
Porto l’acqua dalle mani al mio viso e purifico i pensieri, le lunghe attese, le meditazioni.
Ho bisogno di visualizzare mete da raggiungere, ho bisogno di regole, di comandamenti, di lasciarmi andare. Ricordo quei momenti di silenzio , bastava uno sguardo e quella giornata a Gardaland, così rumorosa e viva. La paura delle montagne russe, il bruco.
Fotografie che racchiudono la nostra felicità, il tuo sorriso ed il mio. Un aquilone e corriamo, giochiamo sulla spiaggia. Fotografie, queste sono rimaste.
Hai iniziato la tua carriera militare come fuochista. Come un vecchio saggio raccontavi le tue esperienze vissute in nave, i luoghi visitati come Tunisi, La Spezia e Genova. Questi ricordi sono dentro di me, offuscati dal tempo, ma ci sono.
Tu eri quello che non sono. Cerco una tua lettera, ma non la trovo. Non posso credere tu non abbia lasciato una lettera in casa, anche perché sapevi nell’ultimo anno o meglio l’avevi capito, anche se ti nascondevamo la verità, che ti stavi spegnendo. Sono trascorsi anni, precisamente ventuno.
Sembra ieri che te ne sei andato. Ed io ancora cerco la lettera.
Probabilmente anche tu avevi le tue fragilità, ma io ti vedevo un uomo forte e coraggioso.
Giocavamo in sala da pranzo, con i soldatini. Elaboravamo strategie militari, non importa se c’erano tedeschi, cowboys e altri alleati o nemici, ciò che importava era la tua presenza. Tu eri il castello, mi difendevi dai nemici. In cameretta giocavamo con la Lego e costruivamo il nostro futuro, insieme a mia mamma.
Ora siamo sulla nave, insieme. Il sole illumina il nostro percorso.
Mi guardi, scherzi con il tuo berretto da ufficiale marinaio. Ti chiedo se posso indossarlo e mi rispondi di si, accennandomi un sorriso. Ti ricordo sempre sorridente ma anche a volte severo, nel giusto. Tuo papà era pittore, anche suo fratello, anche tua sorella.
Le tue firme accanto ai voti dei miei quaderni delle elementari, l’orgoglio. Le tue camicie colorate e le sigarette, le frasi non dette e le insalatone.
Una tempesta si abbatte su di noi. Veniamo risucchiati nel mare fino all’oscurità. Sulle tue labbra sempre una sigaretta. Veniamo a conoscenza della tua malattia. Io tredici anni, piccolo, minuscolo.
Il mondo precipita.
Sulla nave, mi insegni a pitturare.
Eri bravissimo. Quante volte tu volevi insegnarmi e io rifiutavo, e ti dicevo che non avevo voglia? Ora pagherei per avere anche un minuto di quelle lezioni. Davanti a me ho pennelli, colori acrilici e matite varie, album da disegno della Winsor & Newton. Ho ritrovato i tuoi disegni. A sedici anni, già eri un campione e ti piaceva disegnare paesaggi anche se mia mamma mi racconta che eri un ritrattista più che un paesaggista. Ed effettivamente, sai, ho preso da te. Mi vengono meglio i volti delle persone e non gli alberi anche se sto cercando di imparare, e così conosco meglio l’ interiorità di uno sguardo.
Mi abbracci. Il sole ci illumina. Il flauto e le lezioni di musica. Il pianoforte e il pentagramma. L’emozione nei tuoi occhi. Chissà cosa hai provato guardandomi per la prima volta, gioia?
Chiudo gli occhi e la musica pervade la mia anima. Mi sono appassionato in questo periodo alle conquiste per un Trono, romanzato da George Martin e prodotto in una serie tv. Mi ha deluso il finale e auspico di leggere tutti i libri, e trovare una conclusione diversa.
Mi incitavi a non arrendermi e mi dicevi che anche se nella vita non viene raggiunto un risultato, è l’impegno che ci hai messo per raggiungerlo, ciò che veramente conta.
Fumo la tua sigaretta e tiro un pugno sul muro.
Alcuni mi hanno detto che, psicologicamente, si gioca tutto tra i tre e i cinque anni, è lì l’età in cui il bambino si forma. In ogni caso, ora sto cercando di essere quell’uomo che vorresti io fossi.
Ma sono sicuro, ce la farò. Perché sono tuo figlio, e siamo abituati anche alle tempeste, noi marinai.
Mi ricordo il puntino rosso sul tuo naso.
Fuori sta piovendo, io cerco la tua lettera, dentro la mia anima. Probabilmente non la troverò mai. Ciò che mi hai lasciato è dentro di me. “Forse maturerò l’esperienza” è una frase di Marco Castoldi. Devo imparare ancora tanto della vita. Hic et nunc.
Seduto su una panchina, mentre piove, come Siddharta, affronto i miei demoni. Cosa avresti voluto che diventassi da grande? E cosa avrei voluto diventare? Un chimico o un pittore? Un impiegato o un astronauta? Forse avresti voluto semplicemente la felicità del figlio.
Le lunghe passeggiate per Mestre e la spensieratezza di quei giorni.
Ora sono qui, ho la barba. Alterno periodi in cui ho la barba più lunga, altri in cui è più corta. Quando la taglio percepisco un senso di purificazione.
La lettera sono gli insegnamenti che per tredici anni mi hai lasciato e che sono continuati successivamente con mia madre. Provo piacere aiutando le persone, come fa Amelie nel suo “favoloso mondo”. Mi piace il cinema, l’arte, il disegno, l’amore, le piccole cose, la semplicità, i film, l’onestà, la correttezza, il Trono di Spade, la musica, la politica, lo spritz.
La lettera è percepire un tuo abbraccio, ritrovarlo nelle fotografie, e pubblicare nei social quelle in cui la tua mano mi avvolge, proteggendomi.
La lettera è sorridere, perché quello che conta è il sentimento, gli affetti, le persone che ti vogliono bene.
Voglio essere orgoglioso di te. Ti voglio bene.
Fabrizio