Vai ai contenuti
Francesco Brusò
Laureato in Economia e Commercio all’Università di Cà Foscari a Venezia, esercito la professione di amministratore di condomini, e scrivo come “condominio terapia”.
Ho pubblicato a febbraio 2018 il mio primo giallo “ConDELITTO Primavera” e ho vinto alcuni premi a concorsi letterari nel 2018 e 2019.

RACCONTO
  COLTIVARE UN SOGNO




Mio nonno mi diceva sempre: «Un uomo senza sogni è come un contadino che   ara il suo campo, ma non semina mai». Queste parole mi sono sempre   tornate alla mente ogni qual volta mi sono trovato di fronte ad una   scelta. Ho dedicato molto tempo della mia vita per decidere cosa avrei   voluto fare da grande. I miei genitori, che ringrazio sempre, mi hanno   dato la possibilità di studiare quello che ho sempre amato: la natura.

Mi sono laureato in Scienze Forestali e ho avuto la possibilità di   vedere le foreste di tanti paesi. Ho viaggiato alla ricerca dei posti   più isolati al mondo.

Ho cercato la pace, l’armonia con la natura perché ero convinto che così   avrei coltivato la felicità.

Del mio girovagare mi rimane il periodo passato in Ecuador a studiare la   foresta pluviale più grande del mondo. Anche l’Africa e i suoi infiniti   spazi hanno un grande posto nel mio cuore.

Se chiudo gli occhi vedo ancora davanti a me in modo nitidissimo alberi   enormi, grandi come cattedrali una vicina all’altra e una varietà di   specie infinita. Ancora adesso rivivo la sensazione che ho provato   allora, irrilevanza, piccolezza, nullità, ma anche piccolo elemento   indispensabile per il raggiungimento dell’equilibrio.

La vita è uguale per tutti. Ciò che mi stupisce è vedere come l’apparato   radicale di tutte le piante siano simile a un cervello umano. O   osservare come il nostro apparato respiratorio sia simile all’apparato   fogliare dei grandi alberi. Ho sempre saputo che noi uomini, le piante e   gli animali abbiamo bisogno dei quattro elementi fondamentali per la   vita: l’acqua, la terra, l’aria e il sole.

Studiare le scienze è sempre stata la mia passione. Ricordo come momenti   di gioia trabordante il tempo dedicato agli esperimenti in classe. Amavo   vedere come nasce una pianta. Rendersi conto, man mano, dello sbocciare   della vita.

Amavo quando mettevo un seme di fagiolo in un piattino con del cotone e   ogni tanto aggiungevo qualche goccia d’acqua. Attendevo che spuntassero   le prime radici ed ero sempre impaziente. Ho compreso allora quanto   importante sia aspettare. Era impressionante osservare come la prima   cosa che nascesse di una pianta fossero le radici. Quei infiniti   tubicini che con il passare del tempo si ancoreranno sempre più alla   terra e faranno crescere la pianta sana e rigogliosa.

Con il passare degli anni, mi sono reso conto che anch’io sono come quel   seme, ho bisogno di radici profonde perché solo grazie a quelle posso   dare frutto.

Così ho deciso di tornare alle mie radici, quelle di montanaro.

Ho ripreso i terreni aspri dei miei nonni e ho iniziato l’attività di   apicoltore.

Le api stanno scomparendo dal nostro mondo a causa dell’inquinamento ma   la mia fortuna è l’ambiente incontaminato in cui vivo. Ho già una   ventina di alveari e riesco a produrre un buon miele. E’ diverso   rispetto alle stagioni. Il mio preferito è il millefiori che riesco ad   ottenere in estate quando i prati sono coloratissimi dalle più svariate   qualità di fiori. Il bosco rimane una parte essenziale della mia vita.   Ogni tanto mi ci addentro per ascoltare gli scoiattoli indaffarati a far   provviste. Riesco,qualche volta a vedere caprioli e cervi sotto qualche   bel pino, in attesa che il sole cali d’intensità e così possano scendere   ad abbeverarsi al ruscello senza particolari rischi.

Per regalarmi un nuovo sogno, ho deciso di dedicare una parte dei   terreni alla produzione di un vino di nicchia. Ho impiantato diverse   piante di Riesling. Finalmente dopo alcuni anni ho ottenuto un vino   fruttato e aspro allo stesso tempo. I barili di legno sono diventati il   mio tesoro.

Finalmente ero riuscito a trasformare in realtà le parole di mio nonno.

Qualche mese fa, purtroppo a causa dei cambiamenti climatici qui abbiamo   avuto tre giorni d’inferno. Non era mai scesa tanta acqua come in quei   momenti terribili e gli alberi del mio bosco sono caduti come birilli.

Il problema più grave è che sono andati distrutti anche i vigneti e le   casette delle api.

La desolazione di vedere un bosco cancellato in così poco tempo si è   accompagnata alla sensazione di essere rimasto solo con il cuore in   frantumi.

Ho ripensato a mio nonno e ho ricominciato d’accapo.

Ho deciso di coltivare ancora di più la mia passione per la montagna e   ho iniziato a trasformare gli alberi caduti in sculture a forma di cuori   in legno e viste le mie attitudini con il computer ho iniziato a   venderli tramite internet.

Il successo è arrivato quasi immediato e ora ho già i soldi per   ricostruire e ripartire. La mia idea è quella, ora, di trasformare la   tenuta in una fattoria didattica di montagna per le nuove generazioni.

Ho già deciso di ospitare qui una famiglia proveniente dalla Nigeria che   mi aiuterà a gestire il tutto.

E’ un nuovo inizio, nuovi semi messi nella mia terra.

NATALE IN BICICLETTA



Due muscoli forti sulle gambe, un cuore che pompa senza problemi e tanta   voglia di lavorare all’aperto. E’ così che recitava il volantino che   avevo ricevuto un anno fa quando, senza lavoro, non sapevo cosa fare.   Correre in bicicletta era la mia passione e finalmente potevo coronare   il mio sogno. Ho iniziato a riscoprire la città, gli stretti vicoli e   impossibili da raggiungere con altri mezzi. Angoli nascosti che sembrano   paradisi. Spostarmi per consegnare pacchi da una parte all’altra,   correndo come una saetta, perchè più pacchi porto più guadagno, è uno   sforzo continuo ma mi piace. Non corro più forte di me stesso, come   quando stavo dietro ad una scrivania e l’unico pensiero che avevo era   che presto mi avrebbero licenziato e sostituito con una macchina. Andare   in bici mi permette di pensare, di vedere al di là del mio naso.

Siamo un gruppo di giovani rampanti e il capo, invece, è un uomo sulla   cinquantina che ha scoperto l’acqua calda più di vent’anni fa e ora ha   un impero ai suoi piedi anzi sulle due ruote.

A volte ho l’impressione che si sia dimenticato da dove viene, anche lui   era un giovane di belle speranze, con una semplice bicicletta con il   cestello davanti. Ha iniziato a fare consegne a breve distanze in   concorrenza ai pony express motorizzati.

Ora si veste da uomo in carriera, e si attornia sempre di belle donne.

Oggi è la vigilia di Natale e ha chiesto se qualcuno era disponibile per   un servizio extra. I soldi non bastano mai ed io e altri sette ragazzi   abbiamo accettato pur non sapendo di cosa si trattasse.

Ci ha soltanto detto di presentarci alle tre del pomeriggio in azienda.

Dopo i quindici chilometri della mattina, su e giù per la città, ero un   po’ stanco e prima di ritornare in azienda sono passato a casa a farmi   una doccia.

Chissà cosa intendeva il capo con “servizio extra”. Quasi sicuramente   vista la sua megalomania si vorrà travestire da babbo natale per fare   una sorpresa ai suoi nipoti. Noi vestiti da folletti a seguirlo come   servi.

Mi sono già pentito della mia scelta, ma d’altra parte, i soldi mi fanno   comodo.

Alle due e tre quarti sono già qui davanti; entro e vedo le biciclette   preparate. Sono tutte addobbate come delle renne, con grandi corna   davanti al posto dei manubri. Ecco, come avevo previsto, ci farà fare la   figura dei servi.

A trecento metri dall’uscita sulla destra c’è la sua casa e ormai sono   sicuro che andremo lì. In ufficio trovo dei vestiti pronti per me e per   gli altri. Sono tutto marrone con in testa delle belle corna da renna;   uno spettacolo. Sono arrivati anche gli altri e ci mettiamo a ridere   prendendoci in giro sul fatto che quelle corna potrebbero essere vere.

Di lì a poco il capo vestito da Babbo Natale fa il suo ingresso in   ufficio e con fare amichevole esclama «Mi raccomando, questa è una festa   speciale, alla fine ci sarà anche una sorpresa per tutti voi!».

Con quanto poco la gente riesce a comprare gli altri.

Ogni pony prende la sua bici e si allinea: davanti a noi ci sono due   moto della polizia municipale che ci fanno strada. Dietro alle otto   biciclette, su un carretto motorizzato a forma di slitta, ha preso posto   il gran capo.

Partiamo e con mia enorme sorpresa anziché girare a destra il corteo si   dirige verso sinistra. Dove stiamo andando?

Dopo dieci minuti di pedalata tra due ali di folla, con mia enorme   sorpresa, mi accorgo che ci stiamo dirigendo verso l’ospedale   pediatrico.

Una volta dentro il perimetro della casa di cura, percorriamo i vialetti   interni mentre alcuni genitori in compagnia dei loro figli salutano   Babbo Natale. La nostra corsa è ad andatura lenta ed io posso osservare   il viso provato di questi ragazzi che, al passaggio del nostro corteo, è   attraversato da un guizzo; i loro occhi s’illuminano come non pensavo   fosse possibile.

Il capo a quel punto ci ordina di fermarci. Con l’aiuto di altre persone   vestite da elfi entriamo in ospedale. Il reparto in cui siamo è quello   di oncologia infantile. Entrando nelle stanze vedo questi bambini   distesi sui letti con grandi occhi che ci sorridono. Sono senza denti e   le loro teste calve luccicano sotto la luce dei neon: risultato delle   chemioterapie. Ci fermiamo da ognuno e loro con uno sforzo immenso ci   abbracciano e il mio cuore si scioglie.

I selfie si sprecano ma per una volta sono proprio felice di farli.

Dopo tre ore il gran capo decide che è ora di tornare in ufficio.

Ci cambiamo e aspettiamo il gran capo, ma nessuno ha voglia di parlare.   Dentro abbiamo tutti un senso di gratificazione, il cuore è finalmente   ricco. I sentimenti sono però contrastanti con una grande tristezza per   quei piccoli.

Dopo cinque minuti il capo entra accompagnato da alcuni camerieri che   iniziano ad allestire un gran buffet. Poi si avvicina e consegna a   ognuno una busta e con un grande abbraccio ci ringrazia.

Nella busta vedo duemila euro. Non avevo mai guadagnato tanti soldi. La   faccia degli altri è la stessa. Ci guardiamo negli occhi e senza dire   nulla tutti riconsegniamo la busta al capo dicendo di far arrivare quei   soldi all’ospedale.

Il capo ci guarda e ci dice «Cari ragazzi, dovete sapere che tanti anni   fa un giovane come voi aveva deciso di iniziare un nuovo lavoro. Il   primo pacco da consegnare era per un bimbo in quell’ospedale. La nonna   non poteva portare il dono e si era affidata ad un giovane di belle   speranze. Purtroppo però il pacco arrivò tardi, il bimbo poche ore prima   era salito in cielo. Da quel giorno il giovane, ora ormai con i capelli   bianchi, ha sempre sperato di poter tornare e fare felici quei bambini e   ha destinato gran parte del suo guadagno a quell’opera meravigliosa. Ora   non vi preoccupate e usate questo per la vostra famiglia. Buon Natale a   tutti». Ci ha restituito le buste e tutti lo abbiamo abbracciato come si   fa con un padre.

Esco con il cuore pieno di gioia e il Natale non è più una festa così   distante da me.

Torna ai contenuti