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Irene Conticelli
Ho appena compiuto 13 anni, sono figlia unica e vivo a Venezia.
Frequento la II/B della scuola secondaria del Convitto Marco Foscarini.
Ho frequentato per anni corsi di danza classica, adoro leggere e mi piace la montagna.

POESIA
 CATERINA OCCHI DI TIGRE

Caterina coi tuoi occhi blu,

mi rapisci sempre più.

Sembrano due gocce di mare,

due specchi verso un altro mondo,

e questa voglia di partire per tornare,

che mi arriva dal profondo,

guardando i tuoi occhi scompare

facendomi desiderare di restare.

Son due pezzi di ghiaccio,

due perle della Siberia,

ipnotico miraggio,

che scioglie ogni cattiveria.

  IL FANTASMA DELLA VIA


Dal paese sulla collina,

parte una stradina,

che inoltrandosi nel bosco,

porta in un lugubre posto,

porta al cimitero, la stradina,

dove il sole non sorge nemmeno di mattina,

ma nelle notti senza luna, quelle nere,

per la stradina una ragazza cammina lieve,

è una paesana, morta anni fa,

ma ora nelle notti nere al cimitero se ne va.

Con la veste e i capelli bianchi al vento,

lei cammina volentieri tra le tombe di cemento,

tra alberi secchi e nebbia spettrale,

la giovane fantasma si siede e coi morti inizia a parlare.

 UN MONDO DI FANTASIA


Il mondo,

per tutti è rotondo,

ma per me non ha forma, che sia brutta o che sia bella,

perché è la mia fantasia che lo modella,

custodisce posti bellissimi,

misteriosi, giganti e piccolissimi,

da visitare con allegria,

anche soltanto con la fantasia.

NARRATIVA

INSIEME, IL MARE NON FA PIÙ PAURA!



L’ARRIVO


Le onde erano alte e la barchetta di legno oscillava pericolosamente.   Sembrava un ramo spoglio mosso dalla tempesta.

Faceva freddo ed era buio ma almeno eravamo stretti gli uni con gli   altri. Avevamo fame, sete e paura.

Un’onda enorme si riversò su di noi.

Era un’acqua gelida e pesante piena di terrore e di brutti   presentimenti. La barca si ruppe e si perse in mille schegge. Mi parve   di intravedere una costa ma forse era solo un miraggio, ma quel miraggio   mi aiutò, mi diede una strana carica che mi fece imparare a nuotare in   meno di un secondo.

Dopo un tempo indefinito, ma per me eterno, giunsi ad uno scoglio non   poco lontano dalla costa che avevo intravisto.

Ero stremata, fradicia e mi appisolai su quello scoglio duro, ruvido al   tatto “spinoso” mentre l’acqua mi bagnava ancora i piedi.

Non ebbi il tempo di pensare, la testa pesava e mi trascinava nel mondo   dei sogni, un mondo mio, segreto e impenetrabile pieno di buoni   propositi e desideri per il futuro.

La mattina dopo venni svegliata dal morso di un granchio, lo allontanai   con un gesto di stizza gridandogli una serie di parole poco gentili. Il   sole era già alto e caldo e il mare era calmo.

Con sollievo rividi la costa e individuai che aveva una spiaggia di   sabbia bianca e un paesino colorato, mi tuffai e nuotai in quella   direzione.

Arrivai stremata e mi distesi sulla sabbia ancora umida e fresca.

Piansi di felicità poiché da un cartello stradale lessi che ero arrivata   a “Sole d’oro” un paesino in provincia di “Acqua dolce” in Sicilia, la   mia meta.

Mi girava la testa e credevo di svenire quando un ragazzo dal ciuffo   biondo e gli occhi verdi mi prese una mano e mi aiutò ad alzarmi.

Mi avvolse in un pareo azzurro decorato con dei pesciolini colorati e mi   sorresse fino a un punto della spiaggia, isolato e tranquillo, dove   c’erano delle rocce levigate dalla forza del tempo.

Mi fece accomodare su una di quelle rocce e mi diede dell’acqua da bere   e una succosa pesca noce, così mi sentii meglio e trovai la forza di   presentarmi.

“Sono Alida” dissi.

“Io sono Salvatore” si presentò lui e mi tese la mano da stringere.

Gli strinsi la mano ringraziandolo di tutto e in quel momento mi chiese:   “Che ci facevi stremata sulla spiaggia?”

Gli raccontai l’avventura vissuta nella notte e in quel momento lui fece   la domanda che più temevo:

“Perché hai sfidato il mare per venire fino a qua?”

Sospirai e gli raccontai la mia storia: “Io sono belga ma mi sono   trasferita in Albania perché lì abita l’uomo della mia vita, quello che   ho sposato. Quell’uomo si chiama Fred e con lui ho avuto le mie due   gemme: mia figlia Ardiana e mio figlio Mike. Il capo di mio marito non   aveva più soldi per pagarlo e noi avanzavamo a fatica, tra spese, debiti   e problemi vari.

Un mattino, non saprei dire quando, mi svegliai su una fragile barchetta   di legno in mezzo al mare con tante altre persone. Trovai anche un   biglietto di mio marito che diceva: “Scusa amore ma l’ho fatto per il   bene dei nostri figli. Spero che te la caverai. Ti amerò per sempre, tuo   Fred.”

Fortunatamente sono sopravvissuta.”

Mi alzai a fatica e mi avviai verso la spiaggia mentre lui mi seguiva.

Così aggiunsi: “Vorrei tornare dai miei figli ma non ho intenzione di   sfidare di nuovo il mare. Ho troppa paura!”

In quel momento un’onda mi raggiunse e io lanciai un grido.

Salvatore mi prese e mi portò in braccio verso il paese dicendo: “Io   sono un medico e ti farò una visita per controllare che sia tutto a   posto.”

“Potrei farmi anche una doccia?” chiesi.

“Certo, dopo ti mostrerò dove potrai lavarti!”

“Grazie” conclusi io ma ero distratta.

Il mio sguardo era rivolto verso il mare, quando le onde tornavano   indietro mi sembrava che i bagnanti potessero esserne risucchiati.

Mi distolse da questi pensieri il colorato paesino inondato di   chiacchiere, musica e gente in bicicletta, di macchine ne passavano   poche e nel paesino si respirava ovunque felicità e gioia.

Dopo circa un’oretta bussai alla porta dello studio medico.

Salvatore andò ad aprire e rimase senza parole: i capelli biondi mi   ricadevano morbidi sulle spalle e mettevano in risalto i miei occhi blu.   Indossavo una maglia viola senza spalline e con le maniche a sbuffo e   una gonna lunga quasi fino ai piedi arancione, con dei fiori disegnati.

“Il bagno di casa tua è enorme!” esclamai pensando al piccolo pertugio   della mia vecchia casa.

Poi continuai: “Prima di me si stava facendo la doccia una ragazza di   nome Elisia che mi ha regalato questi vestiti”.

“E’ proprio gentile mia sorella!” esclamò orgoglioso Salvatore.

“Come te!” conclusi io arrossendo.

Anche Salvatore arrossì poi mi invitò ad entrare.

Si sedette alla sua postazione e io mi accomodai sulla sedia davanti   alla scrivania, allora lui mi chiese:

“Come mai sai parlare così bene l’italiano?”

“Mi ha sempre attratta questa lingua e prendevo qualche lezione poi   sulla barchetta c’era una ragazza di nome Natasha che aveva origini   italiane, mi ha insegnato anche lei.” risposi.

Le lacrime iniziarono a correre veloci sulle mie guance e allora   Salvatore diede inizio alla visita per distrarmi.

Fece una visita di controllo e poi mi fece fare della cyclette per   controllare le articolazioni. Fortunatamente stavo benissimo.

Per tutto il tempo io e Salvatore parlammo e ridemmo come se fossimo   amici di vecchia data.

Quella sera cenammo insieme poi mi fece dormire a casa sua nella stanza   degli ospiti dove c’era un materasso morbidissimo.


L’INVITO


Il giorno seguente mi dedicai a esplorare il paese mentre Salvatore   faceva su e giù dall’ambulatorio alla piccola e profumata farmacia del   paese.

La sera andai a passeggiare sulla diga, mentre seduta in riva al mare   c’era Elisia che faceva “trotta-trotta cavallino” a sua figlia Caterina   di quasi otto mesi.

Salvatore la raggiunse e si sedette accanto a lei.

Dopo un po’ le disse: “Qual è il luogo più adatto per dire a una persona   che vuoi essere per sempre suo amico?”

“Portala in spiaggia al tramonto o ancora meglio in barca al tramonto!”   rispose Elisia.

“Peccato che odi il mare!” continuò Salvatore.

“Devi parlare alla ragazza a cui ho dato i vestiti, vero?” indagò lei.

“Sì, è Alida!” ammise il ragazzo.

“Allora portala in un ambiente totalmente diverso: portala in montagna!”   suggerì lei.

In quel momento Caterina si sporse per cercare di toccare l’acqua e   Elisia disse: “Mi sembra impossibile che qualcuno odi il mare, però!”

“Ognuno ha i suoi gusti e le sue paure!” disse difendendomi Salvatore,   poi aggiunse: “Grazie del consiglio sorellina!”

Le scoccò un bacio sulla guancia, baciò sulla fronte Caterina e venne a   passeggiare con me.

I giorni seguenti aiutai Salvatore andando a prendere io i farmaci nella   piccola farmacia e portandoli all’ambulatorio.

Al terzo giorno, prima di andare a cena, Salvatore mi portò su una   collinetta chiamata Montagnola con la scusa di dovermi parlare.

Capii subito che si trattava di una cosa importante e accettai   all’istante.

In cima alla Montagnola soffiava una brezza fresca ma il mare, che   vedevo dalla collina, era calmo così dissi: “Il mare è uno spettacolo   stasera, sembra uno specchio verso un altro mondo!”

“Non è l’unico spettacolo a cui sto assistendo…” mi disse arrossendo,   anch’io divenni tutta rossa.

“Sai”, gli sussurrai, “finché ero su quell’orribile barca ho pensato che   un mio obbiettivo in Italia sarebbe stato quello di trovare una o più   persone con cui trascorrere il resto della mia vita e io credo di averti   finalmente trovato!”

Ci abbracciammo e io mi sentii di nuova a casa perché avevo al mio   fianco un vero amico.

Ma in quel momento un rumore forte e autoritario ci fece sobbalzare!

Salvatore mi prese una mano e io dissi con voce tremante:

“Quello noi in albanese lo chiamiamo: “Dallge Gjigande” ma non so come   lo chiamiate in Italia!”

“Tsunami, lo chiamiamo tsunami!!!” rispose Salvatore tutto di un fiato,   poi mi prese in braccio e iniziò a correre giù dalla montagna sperando   forse di battere l’acqua e il tempo.

Iniziammo a correre sulla mulattiera che ci avrebbe riportato al paese   inerpicato sulla roccia.

In quel momento l’acqua ci raggiunse e noi ci stringemmo forte   aspettando il momento fatale che non tardò ad arrivare!

Ancora una volta l’acqua rovinava la mia vita!


UN'ALTRA SFIDA


Mi risvegliai su un grande e largo tronco abbastanza piatto e ruvido,   sul fondo c’era un abbondante strato di resina che impediva che   diventasse marcio.

La testa pesava e gli occhi volevano chiudersi ma io opponevo   resistenza, volevo mettermi seduta ma sapevo di non avere la forza per   alzarmi.

Gli occhi si stavano chiudendo ma vidi una cosa luminosa galleggiare, la   curiosità mi fece quasi svegliare da quell’agonia e mi diede la forza di   allungare il braccio per afferrare l’oggetto.

Il mare era calmo e l’acqua era ancora fresca, tirai l’oggetto a me e   vidi che era un fischietto con il cinturino tricolore e dietro era   inciso il nome Salvatore.

In quel momento ricordai: Salvatore portava sempre quel fischietto   perché era un regalo di suo nonno che si chiamava anch’esso Salvatore,   quel fischietto emanava un fischio strano simile ad un ultrasuono.

Il pensiero che il mio migliore amico potesse essere lì mi diede la   forza di mettermi a sedere e di soffiare con tantissima energia nel   fischietto.

Poi ricaddi sfinita sul tronco e credetti di morire proprio in   quell’istante.

Con fatica tentai di alzare le gambe quando intravidi Salvatore nuotare   a fatica verso di me.

Salì con scarsa agilità sul legno dove mi aiutò a tenere alte le gambe e   mi rinfrescò il viso con l’acqua.

Così mi riebbi, gli infilai il fischietto al collo e iniziai a   disinfettargli le ferite con l’acqua di mare e a tamponarle con delle   alghe di passaggio. Le ferite erano tante e alcune abbastanza profonde.

Quando anche lui si sentì meglio, ci abbracciammo tra le lacrime.

In quel momento un urlo, unito al pianto di un bambino, sciolse   quell’abbraccio e ci mise sull’attenti, vedemmo Elisia galleggiare a   morto mentre sulla sua pancia c’era la piccola Caterina che era indecisa   se buttarsi in acqua o rimanere dov’era. Salvatore si lanciò, prese   Caterina e me la portò.

Io controllai che la piccola stesse bene, non aveva ferite ma era piena   di ematomi.

Cercai di diminuirne il dolore tamponandola con acqua di mare poi   iniziai a cullarla per farla smettere di piangere.

Salvatore intanto aveva trascinato Elisia sul pezzo di legno e stava   iniziando una respirazione bocca a bocca che le fece aprire gli occhi.

Salvatore le alzò le gambe, le sciacquò il viso, le pulì e tamponò le   ferite usando il mio stesso metodo, a quel punto Elisia si riebbe ma era   pallida e le girava la testa.

Intanto Caterina si era addormentata ed era tranquilla.


UNA SITUAZIONE CRITICA


Quella sera cenammo con un pesce pescato a mani nude e sfilettato con   estrema pazienza, poi ci augurammo la buona notte e sprofondammo nel   mondo dei sogni.

Di notte sognai i miei figli che morivano in un bombardamento e mi   svegliai di soprassalto rischiando quasi di cadere in acqua.

Svegliai Salvatore e gli dissi: “Scusami se ti ho svegliato ma devo   dirti una cosa importante: mio marito si è sacrificato per me e io,   purtroppo, non posso aiutarlo, però posso provare ad aiutare i miei   figli, non capisco come ho potuto dirti che avevo troppa paura per   andare a prenderli, nessun mare può dividerci, nessun muro. Andrò a   cercarli che le onde siano alte un metro o dieci metri ma io li troverò.   Volevo solo dirti questo, però sappi che non ti dimenticherò mai.”

“No” disse lui prendendomi le mani “ci andremmo insieme, un vero amico   c’è sempre!”

Mi avvicinai per abbracciarlo ma eravamo esausti e ci addormentammo   l’uno nelle braccia dell’altro.

Quando la mattina seguente ci svegliammo Elisia aveva già pescato il   pesce per colazione e Caterina stava giocando con delle colorate chiavi   di plastica che fortunatamente si erano incastrate nel body durante il   disastro.

Finché mangiavamo le raccontai della conversazione notturna fatta con   Salvatore e fortunatamente anche Elisia volle aiutarmi.

In quel momento passò accanto o noi un ramo molto lungo, lo presi   rapidamente e con difficoltà lo ruppi a metà.

“Il mare è calmo” dissi “e noi abbiamo dei remi quindi possiamo vogare   fino all’Albania” aggiunsi brandendo il ramo.

“Servirebbe un GPS ma nessuno ha il cellulare!” fece notare Elisia.

“Comunque non ci sarebbe nessun segnale telefonico!” sottolineai io   “Quello che dobbiamo fare è raggiungere la terra ferma e chiedere a   qualcuno.”

Detto questo presi il pezzo di legno da usare come remo e iniziai a   vogare imitata da Salvatore mentre Elisia prendeva in braccio Caterina   per assicurarsi che non cadesse in acqua.

Ma Elisia era ancora debole e pallida e durante il tragitto ebbe un   colpo di sonno, lei e Caterina caddero in acqua silenziose e io e   Salvatore proseguimmo senza accorgercene.


ALLA RICERCA DI ELISIA E CATERINA


A un certo punto mi voltai di scatto poiché c’era troppo silenzio e vidi   che dietro di noi c’erano solo le chiavi di plastica.

In quel momento un’onda più alta delle altre salì sul tronco portando   con sé un piccolo pesce sega.

Salvatore si lanciò per prenderlo quando un'altra onda piuttosto alta se   lo prese e se lo portò via.

Salvatore, così, cadde in acqua.

La marea evidentemente si stava alzando e un'altra onda alta mi   allontanò dal mio migliore amico.

Presi entrambi i remi e iniziai a vogare con veemenza mentre Salvatore   nuotava controcorrente.

Mi lasciai andare ad un sospiro di sollievo quando risalì sulla   “barchetta.”

Allora dissi: “Se un onda ci ha portato un pesce sega e ti ha portato   lontano dal legno, vuol dire che solo lasciandoci trasportare dalla   marea riusciremo a trovare Elisia e la piccola.”

“Sì” approvò Salvatore “sperando solo che non siano state sbalzate da   qualche parte per qualche motivo o che si siano mosse.”

“Sì, questo è l’unico rischio!” approvai io

“Sì, unico ma molto probabile! Non funzionerà mai!” disse lui disperato.

“Hai altre idee?” chiesi io guardandolo seria.

“No, hai ragione… forza allora si va!” Disse prendendo il remo e   ritrovando il sorriso.

Cercammo di tornare dalla direzione da cui eravamo venuti sperando di   non esserci persi in mezzo a quel deserto d’acqua.

Dopo un tempo eterno vedemmo con infinito sollievo Caterina che tentava   di stare attaccata a un tronco cavo all’interno.

La sua faccia rispecchiava la paura.

Mi sporsi e la presi poi presi anche il tronco cavo pensando che magari   ci sarebbe potuto tornare utile come piatto su cui rompere il pesce.

Caterina scoppiò a piangere disperata e io mi misi a giocare con lei   servendomi delle chiavi finte. Salvatore intanto chiamava a gran voce il   nome della sorella.

Quel nome però si perdeva nell’infinito e silenzioso blu che ci   circondava.

Ci affidammo al mare e ci lasciammo trasportare dalla corrente.

Arrivammo a un isoletta disabitata chiamata dai paesani Ostiletta per   via del suo suolo ostile.

Infatti l’isola era rocciosa e molto intricata.

Portammo il legno sulla spiaggia e andai a cercare delle bacche tenendo   in braccio Caterina che nel frattempo si era addormentata.

Salvatore usò invece delle foglie grandi per raccogliere della resina e   aggiungerla sotto il legno.

Avevo preso una bella scorta di bacche commestibili tanto che non mi   stavano più nelle mani e allora feci un dietro-front per tornare alla   “barchetta” quando vidi tra gli alberi un chioma castana e una bionda.

Osservai meglio e vidi che la chioma castana apparteneva a Elisia e la   chioma bionda apparteneva a una ragazza, apparentemente timida, dagli   occhi azzurri.

Vidi gli occhi marroni di Elisia osservarmi e in quel momento ognuna   esclamò il nome dell’altra!

Ci corremmo incontro mentre la ragazza bionda restava in disparte   incredula.

Elisia, che aveva ritrovato il suo solito colorito, prese Caterina in   braccio e la strinse forte a sé.

La ragazza dagli occhi azzurri ci raggiunse, mi tese la mano e si   presentò: il suo nome era Elena.

Mentre ricambiavo la sua stretta Elisia spiegò: “Devo aver avuto un   colpo di sonno, non so, so solo che mi sono risvegliata su questa   isoletta e qui ho trovato Elena che si era risvegliata qua dopo il   disastro. L’ho fasciata con il tuo stesso metodo e le ho fatto   riprendere vigore con dei miscugli di varie bacche e lo stesso ha fatto   lei per me!”

“Abbiamo finito di pescare e stavamo cercando un posto dove passare la   notte!” spiegò Elena.

“Andiamo da Salvatore, sul nostro pezzo di legno c’è posto per tutti!”   esclamai io.

Feci strada e poco dopo arrivammo sulla spiaggetta dove Salvatore,   finito il lavoro della resina, aveva preso dei tronchi per ingrandire la   “barca”.

Andammo ad aiutarlo mentre io raccontavo dell’incontro fatto con Elisia   e Elena e di quello che era successo alle due ragazze sull’isola prima   del ritrovamento.

Dopo poco la “barchetta” era quasi il doppio di prima. Caricammo il   pesce pescato e le bacche che avevo colto poi salimmo tutti a bordo.

“Elisia mi ha detto che state cercando la strada per l’Albania” disse   Elena appena Salvatore iniziò a remare.

“È esatto” risposi io.

“E sapete come raggiungerla?” chiese ancora.

“Mm… no” risposi io un po’ imbarazzata.

“Allora fermo non partire!” gridò Elena a Salvatore, lui si fermò “nella   parte alta dell’isola, dove non è arrivata l’acqua, c’è un antenna.   Posso collegarmi a Google maps con il mio telefono e trovare un   percorso.”

“È un’idea fantastica” esclamai io entusiasta prendendo i remi e facendo   immediatamente dietro-front.


LA STRADA DEL BENE


Ci arrampicammo fino all’antenna e lì Elena cercò di connettersi, dopo   vari tentativi ci riuscì. L’Albania, naturalmente, era molto distante ma   io volevo a ogni costo intraprendere quel viaggio.

Mentre ribadii il mio desiderio Elena notò che si dirigeva verso l’isola   un barcone carico di migranti.

“Accogliamoli come possiamo” dissi io “non potete neanche immaginare   come possa essere quel viaggio”.

Salvatore mi abbracciò per confortarmi e aggiunse: “Noi aiutiamoli poi   magari loro aiuteranno noi!”

Elisia e Elena annuirono e anche Caterina sorrise. Poi corremmo tutti   verso la spiaggia ad attenderli.

Seduta a gambe incrociate in riva al mare dissi ai miei amici. “Anche   noi ora siamo migranti. Insomma lo sono io come tutti.”

Salvatore annuì come per confermare le mie parole. Poi vidi una barca   che si avvicinava alla riva di Ostiletta e mi buttai in mare con Elena e   Salvatore per riuscire a salvare quei poveri migranti che senza saper   nuotare sarebbero morti in mare.

Mentre ero a pochi metri dalla barca sentii gridare: “Mamma”.

Sicura di avere le allucinazioni mi immersi sott’acqua ma quello che   vidi mi lasciò senza fiato: mia figlia Ardiana si era impigliata un   lembo del vestito tra gli scogli. Era priva di sensi. La liberai   immediatamente e poi riemersi con lei salda in braccio.

In quel momento pensai che non poteva essere stata lei a chiamarmi   poiché era svenuta e in più la voce che avevo sentito era maschile.

In quel momento sentii di nuovo: “Mamma”, mi voltai e vidi mio figlio   Mike annaspare.

Con le lacrime agli occhi lo trascinai a me e poi nuotai verso riva   tenendo i miei figli. Quando arrivai ero esausta ma, disteso Mike sulla   sabbia, iniziai una respirazione bocca a bocca che fece risvegliare   Ardiana.

Intanto vidi che Salvatore aveva salvato un ragazzo castano dagli occhi   blu di nome Robert e Elena aveva salvato un ragazzo dalla carnagione   scura con occhi e capelli marroni di nome Vincent.

Vincent e Robert si addormentarono sulla spiaggia mentre mia figlia, dai   lunghi capelli neri e dagli occhi blu, e mio figlio, da capelli marroni   ricci e gli occhi azzurri, si appisolarono tra le mie braccia.


IL RACCONTO DI MIKE E ARDIANA


Quando tutti si furono risvegliati chiesi ai mie figli come mai si erano   imbarcati e Ardiana rispose: “Papà non aveva più soldi per mantenerci   allora ci ha detto che se saremmo arrivati oltre il mare avremo avuto   una vita migliore.”

“È vero!” aggiunse Mike “ma durante il viaggio Robert, che è un esperto   delle correnti marine, ci ha detto che qui c’era stato uno tsunami!”

Abbracciai i miei figli per confortarli poi Salvatore ci visitò tutti   (io, Elisia, Elena e Caterina poiché eravamo sopravvissute allo tsunami   e Robert, Vincent, Mike e Ardiana poiché erano sopravvissuti alla   traversata come me e infine visitò anche se stesso).

Fortunatamente stavamo tutti bene allora cenammo insieme e poi ci   coricammo sulla spiaggia.


UN NUOVO INIZIO


Il giorno seguente facemmo una specie di riunione nella quale decretammo   che, visto che non serviva più andare in Albania, dovevamo ricominciare   a vivere magari dando una nuova vita anche a Ostiletta.

Così ci dividemmo dei compiti: Ardiana, che era una grande amante dei   bambini, aveva il compito di far giocare e tutelare Caterina.

Mike, che desiderava diventare un architetto, aveva il compito di   aiutare Salvatore, Robert e Vincent a costruire delle “capanne” mentre   io, Elena e Elisia dovevamo estirpare delle erbacce invadenti in modo da   rendere più abitabile Ostiletta.

Dopo circa tre settimane abbondanti Ostiletta era una bellissima isola   soprannominata Ostrichetta perché era come un’ostrica che al suo interno   ospitava una squadra di amici che valeva più di una perla.

La sera del “nuovo inizio” ci fu una grandissima festa nella quale tutti   si sentirono membri della stessa famiglia.

Vincent ballò con Elena, Robert ballò con Elisia, Ardiana ballò con   Mike, Salvatore ballò con me e Caterina quella sera compì un anno.

Grazie a questa avventura ora ho una nuova vita, una nuova famiglia e   una nuova bellissima isola dove abitare!

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