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Alessia Finco
LAGUNANDO 2020 > selezionati 2020
Nasce il 13 Gennaio del 1979 a Este in provincia di Padova.
In tenera età scopre la passione per la lettura ed incontra il romanzo che le cambierà per sempre l’esistenza: “Piccole Donne” di Louisa May Alcott.

ISOLE DELLA LAGUNA
RACCONTO
Il taccuino nero



Piove, dal finestrino del treno scruto il cielo in cerca di uno spiraglio di sole, ma niente, all’orizzonte nuvole nere cariche d’odio.
Il convoglio è completamente vuoto, figuriamoci, tutti saranno rintanati al calduccio sotto le coperte. Eppure, fino a due giorni fa, Venezia, la regina dell’Adriatico era invasa da masse di turisti provenienti da tutto il mondo,
Ci chiamano gli angeli dei libri, ma non mi sento affatto un angelo, casomai un povero diavolo che ama la lettura sopra ogni cosa.
Un profondo senso di sgomento mi ha pervaso l’anima quando ho appreso dai telegiornali la notizia che centinaia di preziosissimi volumi storici erano stati travolti dalla furia dell’acqua.
Sono l’unica pazza che ha deciso di sacrificare il proprio giorno libero, per salvare quelli che da molti vengono miseramente definiti dei “pezzi di carta”.
All’altezza di Mestre una signora attempata si appresta a salire con passo incerto nel mio vagone. Con gli innumerevoli posti liberi ecco la rompiscatole di turno che viene a sedersi proprio davanti a me. Mi pento immediatamente di averle rivolto un pensiero così cattivo, probabilmente ama viaggiare in compagnia.
Spero abbia il buon gusto di evitarmi le chiacchiere inutili, non voglio essere stordita dal suo passato. Non voglio nemmeno sentir parlare del sugo di pomodoro o dei suoi adorati nipotini.     
Osservandola meglio, noto che è più giovane di come avevo supposto, avrà all’incirca sessant’anni, tuttavia s’impegna poco ad apparire giovanile.
Porta i capelli brizzolati raccolti in una crocchia, alcuni ciuffi ribelli che le sfuggono da dietro le orecchie la rendono sciatta. Nessuna traccia di trucco sulla pelle rugosa.
Indossa un vecchio e lungo pastrano nero rammendato maldestramente qua e là e a completare lo stile bizzarro c’è una tracolla di cuoio imbrunita dall’usura.
Magari lavora in teatro, oppure potrebbe trattarsi di un antico travestimento carnevalesco.
La donna mi punta gli occhi addosso mostrando un viso nobile e fiero, ho l’impressione che sia riuscita a leggermi nel pensiero. Un brivido mi percorre lungo la schiena, forse restare con addosso la cerata zuppa di pioggia è stata una pessima idea.
Chino la testa verso il cellulare tentando di liberarmi da quello sguardo scuro. C’è qualcosa in lei che mi turba, possiede un viso angelico e delicato ma sono sicura che all’occorrenza saprebbe farsi feroce e spietata.
Consulto svogliatamente l’applicazione meteo, pioverà ancora per alcuni giorni in tutta l’Italia settentrionale.
Il treno riparte, un lampo squarcia il cielo seguito da un tuono devastante che fa vibrare le lamiere del convoglio.
Istintivamente mi allontano dal finestrino, viceversa, la sconosciuta pare godere di tale frastuono avvicinandosi pericolosamente al vetro. Estrae dalla borsetta un libretto dalla copertina nera che adagia delicatamente sulle ginocchia.
Stranamente ne sono attratta e sotto l’effetto di una sorta d’ipnosi le rivolgo la parola.
«E’ in pelle la copertina di quel libro?» mi esce spontaneamente dalla bocca.
«Cuoio per l’esattezza, e poi non è un libro, si tratta di un taccuino» risponde seccata.
Le parole mi si spengono in bocca, però lei riprende le fila del discorso con grande maestria.
«E’ un cimelio di famiglia che ci tramandiamo da generazioni, contiene delle antiche preghiere rumene» confessa a voce bassa, quasi si trattasse di un terribile segreto.
La sua voce è roca e sgraziata un timbro gutturale che si scontra con l’aspetto rassicurante di dolce nonnina della porta accanto.
«Deve possedere un grande valore affettivo» rispondo ingenuamente.
«Le dico che sarei disposta a uccidere pur di non perderlo» dice scoppiando in una risata sguaiata che accentua un sinistro luccichio dentro ai suoi occhi.
«Dove è diretta?»
«Al Lazzaretto Nuovo.»
«Assurdo! L’ha vista la televisione? I traghetti sono fermi in balìa del mare mosso, alcuni sono stati addirittura scaraventi sul molo dalla furia del vento.»
«Cara, non si preoccupi sono veneziana da secoli e l’acqua alta è nel mio DNA.»
«E lei?» mi chiede con falso interesse.
«Tenterò di raggiungere la Libreria Acqua Alta» le spiego fiera.
«Pensa di farlo in scarpe da ginnastica?»
Il suo sarcasmo comincia a darmi sui nervi.
«No di certo!» e le indico lo zaino posto sul porta bagagli in cima alle nostre teste. Dentro vi ho riposto gli stivaloni di plastica verde, alcuni panini e un cambio.
«Lei invece?»
«Al momento mi bastano i mocassini, grazie al cielo l’acqua non ha ancora raggiunto il mio portone.»
«Quindi lei ci vive a Venezia?»
«Non propriamente, ho ereditato un antico palazzo che di tanto in tanto passo a controllare, poi sa che le dico? Raggiungerò il Lazzaretto a bordo di un vecchio natante.»
«Signora, davvero, la trovo una pessima idea, la capitaneria di porto le impedirà di commettere una simile sciocchezza» sentenzio esterrefatta.
«Ma chi vuole che mi fermi? Nessuno prenderà in considerazione una povera vecchia a bordo di una vasca da bagno.»
Lo afferma con tale convinzione che anch’io inizio a crederci. Faccia pure ciò che vuole, è una persona qualunque, incontrata in un giorno qualunque, una conoscenza priva d’importanza.
Il treno improvvisamente rallenta sino a fermarsi e una voce metallica dall’altoparlante annuncia un ritardo di dieci minuti.
«Ci mancava questa!» sbuffa spazientita «Le dà fastidio se inganno l’attesa pregando a bassa voce?» mi chiede con tono garbato.
«Prego, si figuri» le rispondo giocherellando con il cellulare.
La donna comincia a ripetere sommessamente alcune parole incomprensibili, e io sprofondo misteriosamente in sonno pesante costellato da incubi oscuri.
È notte, i raggi della luna piena illuminano interamente la laguna, all’orizzonte intravedo chiaramente una barca governata da una figura femminile. Incredibile! E’ la donna del treno!
Affronta le onde impavida, il pastrano le svolazza dietro le spalle. Il suo viso è diventato di un pallore spettrale e in mezzo al bianco spiccano le labbra color sangue.
Il vagone si rimette in moto svegliandomi di soprassalto.
«Ha finito la pennichella?»
«Sì, mi scusi se mi sono appisolata, ho russato?» rispondo stiracchiandomi nel sedile.
«Comunque, né il Mose e nessun’altra opera ingegneristica salveranno la terra dei Dogi, Venezia colerà a picco insieme a i suoi segreti.»
Vorrei risponderle a tono ma non ci riesco, il suo posto è vuoto, resta solo il segno delle natiche che va sparendo piano, pare si sia smaterializzata e per giunta è scesa dal treno senza neppure salutare.
La stazione è piena di giornalisti che intervistano chiunque gli capiti a tiro, io ho fretta e voglio arrivare il prima possibile a destinazione.
Cammino spedita, l’aria puzza di pesce, fogna, salmastro e frittelle, è l’effetto dello scirocco vento caldo e sabbioso, carico di note speziate d’Africa.
Nel piazzale antistante la ferrovia mi fermo a calzare le galosce di plastica. La pioggia battente mi sferza il viso rendendo l’operazione estremamente complicata.
Venezia nonostante il diluvio è meravigliosa, il cielo plumbeo le dona un’aria altera carica di mistica bellezza.
Dal parapetto del Ponte di Rialto ammiro il paesaggio lagunare, regna una calma surreale, nessuno nei paraggi. Una pantegana impaurita mi sguscia accanto andando a nascondersi tra i muri di una piccola calle.
Proseguo spedita e pian piano gli arti inferiori vengono sommersi dall’acqua torbida, camminare diventa faticoso e lì tra gli antichi campielli incontro i primi veneziani disperati.
Il loro è un dolore composto e dignitoso, piangono lacrime asciutte, primo comandamento: sopravvivere.
Negozi allagati, merce da buttare, impianti elettrici fuori uso, è morta pure una persona. La gente tenta con ogni mezzo di scacciare lontano il liquido malevolo.
Alcuni turisti in preda all’euforia di poter assistere al famoso fenomeno acquatico improvvisano un tuffo nella melma.
Giunta in libreria incontro gli altri volontari alle prese con una vera e propria catastrofe.
Cataste di libri completamente zuppe d’acqua e centinaia di opere di inestimabile valore che galleggiano come boe abbandonate in mezzo al mare.
Munita di guanti e sacchi neri dell’immondizia inizio a recuperare il salvabile, ogni volta è un colpo al cuore, ciò che raccolgo è totalmente illeggibile.
L’inchiostro è colato via e le pagine mi si sciolgono tra le dita. Carta da macero, secoli di cultura da gettare nel pattume. Bisogna fare in fretta!
«Caffè caldo per tutti!» strilla un ragazzo che stringe tra le mani un vassoio colmo di tazzine fumanti.
Sento i piedi madidi di sudore e le mani intirizzite dal freddo, è dura restare a mollo per ore nell’ acqua sporca, le mie povere ossa risentono dell’umidità e avrei voglia di un bel bagno caldo.
«Grazie» dico allo sconosciuto mescolando con una palettina in plastica lo zucchero di canna.
La miscela arabica mi infonde nuove energie e con maggior motivazione annaspo sul fondale cercando di capire se altri volumi siano bloccati sul pavimento.
Con lo stivale urto qualcosa, di sicuro è un libro incastrato nella fanghiglia, con dei piccoli calci verifico se sia possibile disincagliarlo con facilità.
Lo trascino verso di me e poi piegandomi in avanti sino a sfiorare con il viso la superficie dell’acqua tuffo dentro le braccia tirando con forza. La pressione mi impedisce il recupero, allora aumento la tensione sino a quando riesco a riportarlo in superficie.
Lo apro e inizio a sentirmi male.
Le gambe tremano, la fronte mi si imperla di sudore, non riesco a crederci dentro vi è il ritratto della signora del treno, che sorride beffarda! Il libro è talmente deteriorato che mi risulta impossibile risalire al titolo, un’unica pagina curiosamente è rimasta intonsa riportando alla luce un disegno di straordinaria beltà.
«Signora, si sente bene? La vedo pallida» mi chiede preoccupato il ragazzo dei caffè.
«Un lieve malessere» e mi appoggio a uno scaffale.
«Conosci questo libro?»
«Ah eccolo!!!Narra della leggenda di Carmilla l’ultima donna vampiro ritrovata nel Lazzaretto Nuovo.»
«Una donna vampiro…nel Lazzaretto Nuovo…» ripeto a pappagallo.
«Le faccio presente che la peste bubbonica è comparsa nella laguna veneziana in concomitanza all’arrivo di una ricca famiglia aristocratica proveniente dalla Transilvania.»
Ascolto rapita il suo racconto cercando di mettere in ordine i pensieri.
«La sa una cosa?»
«No…»
«Il vampirismo e la peste hanno numerosi tratti in comune…»
«Davvero?»
«Senso di soffocamento notturno, lividi al collo, la popolazione terrorizzata si era lasciata andare alla follia collettiva e alla superstizione.»
«Poveretti.»
«Perivano in migliaia, mentre chissà perché quei nobili dalle origine rumene godevano di ottima salute.»
«Scusami se interrompo il tuo lavoro» dico avvicinandomi a lui che nel frattempo si è messo a spostare delle pensanti casse di legno.
«Mi dica signora.»
«Com’è finita la storia?»
«Con il ritrovamento di un cadavere deturpato dalla presenza di un mattone conficcato tre le fauci.»
«Inquietante…»
«Lei evidentemente non paura dell’acqua alta vero?»
«Certo che ne ho! Soprattutto se mette a repentaglio arte, storia e cultura» sospiro guardandomi attorno.
«L’acqua alta si manifesta se i pali di legno che sorreggono la città percepiscono l’avvicinarsi dei vampiri. Sono le vibrazioni negative a far salire il livello dell’acqua e non lo scirocco. Un incantesimo creato appositamente per salvare l’umanità, meglio che la Serenissima affondi piuttosto che si risvegli dall’oltre tomba la stirpe di quegli orribili succhia sangue.»
«Per un vampiro sarà ancor più facile uccidere un uomo incolpando il mare grosso» gli sparo in faccia.
«Che perspicacia!» esclama con volto sorpreso.
Mi stupisce che il giovane non paia minimamente turbato nell’apprendere che dell’intero libro sia rimasta intonsa un’unica pagina.
Tutto si fa chiaro, una matassa ingarbugliata che lentamente si dipana, la dama del treno stanotte proverà a far tonare in vita i demoni che da secoli giacciono addormentati nel Lazzaretto e sono stata scelta io per fermare l’ecatombe.
Non è stato un caso il nostro incontro sul treno, non è stata una coincidenza il ritrovamento del libro, era scontato che vedessi io il ritratto.
Chiamo mio marito comunicandogli che passerò la notte in una pensioncina trovata all’ultimo minuto grazie a Booking.it, c’è parecchio lavoro da sbrigare, ed è inutile tornare a casa.
Duecento euro sono bastati a corrompere un pescatore e visto che potrei persino morire ho evitato di pagare la tratta del ritorno. Se muoio, spero che il mare porti al largo il mio cadavere in modo da depistare eventuali indagini. Una tragedia, così vorrei fosse chiusa la questione.
Aspetterò la discendente dei vampiri nascosta dietro a degli alberi, sono allo stremo delle forze, è l’adrenalina a governare la mia volontà.
Controllo l’orologio, manca poco al nostro appuntamento, alzo gli occhi al cielo, la luna illumina a giorno il grande cimitero e come previsto nel sogno premonitore vedo spuntare in lontananza la sagoma della donna a bordo del suo barchino.
Si guarda attorno circospetta, ha fiutato l’odore del mio sangue e con un balzo da creatura sovrannaturale salta il cancello lasciandomi fuori.
Uno scalone arrugginito arriva provvidenziale trascinato dalla furia del mare, sbatte violentemente contro il molo provocando un fastidioso rumore metallico.
Lo recupero a fatica, mi manca il respiro, sono in affanno e il vampiro ha già dato inizio al rituale del risveglio. Con la forza della disperazione cerco di risalire le mura, i gradini della scala sono limacciosi e pieni di alghe ma riesco lo stesso ad arrivare in cima.
Ciò che vedo da lassù è a dir poco orripilante. Il vorace predatore notturno si trova ai piedi di una enorme tomba di marmo bianca e dondolando ritmicamente il corpo recita le preghiere contenute nel taccuino. Un ultimo raggio lunare arriva a colpire direttamente la croce posta sopra al tumulo.
La bestia si accascia a terra cominciando a grattare il terreno con le unghie, al ricerca di ossa putrefatte.
Un olezzo di cadavere si alza sull’intero camposanto, urla di cadaveri riecheggiano tra le lapidi. Mi lancio giù dal muro, sperando di essere ancora in tempo e mi avvento su di lei.
Rotoliamo a terra avvinghiate l’una all’altra, una lotta estenuate combattuta copro a corpo, il vampiro mi graffia violentemente emettendo gorgoglii animaleschi, è giunta l’ora di uccidere e le conficco un paletto di frassino in mezzo al petto.
Il suo viso si paralizza con la bocca totalmente spalancata, un alito grigio ne fuoriesce salendo verso l’alto. La salma riacquista un incarnato rosa, i canini sporgenti rientrano nelle gengive, le labbra acquistano un colore naturale.
Cerco disperatamente il taccuino, nella colluttazione è finito tra i sassi, a carponi mi trascino esanime nella sua direzione. Lo afferrò e lo incuneo senza pietà tra le mandibole del vampiro.
Avvolto da una coltre di fumo nero il corpo si scioglie fino a scomparire, la pioggia si ferma e il vento si placa, Venezia è nuovamente salva.



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