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Bruno Trangoni
LAGUNANDO 2020 > selezionati 2020
Diploma presso l’ITT F. Algarotti di Venezia, laurea in Storia presso l’università di Venezia, collabora con l’Ufficio Attività Cinematografiche del Comune di Venezia per la realizzazione di due rassegne cinematografiche.
Insegnante di scacchi nelle scuole elementari, partecipa al concorso letterario Lagunando 2019 ottenendo il terzo premio nella sezione “Orti dei Dogi”.
Attualmente lavora per il Teatro Stabile del Veneto.
ORTI DEI DOGI
ROMANZO
Il faro sulla scogliera


La bambina stava seduta sul suo piccolo scoglio preferito, quello a forma di cuore. La prima volta che la vide lì seduta il padre ebbe un po’ di apprensione, ma capì presto che quello era il suo scoglio e lì lei si sentiva sicura. Le piaceva guardare le onde infrangersi su quelli più grandi e sentire gli spruzzi d’acqua salata venirle addosso.
Di quel giorno lei ricordò solo il suo papà dirle che sarebbe tornato subito a prenderla per farla riportare a casa. Ricordò un motoscafo con un uomo a bordo che non era suo padre.
Di quest’uomo non ricordò mai il volto, ma di lui le rimase impresso qualcosa.
In un immenso vuoto di memoria e in un arco di tempo per lei difficile da definire, nel mezzo del quale avrebbe appreso via via sempre più consapevolmente di aver perso il padre, quel particolare rimase l’unica luce accesa, un lumicino di speranza quale flebile ma sempre presente guida alla scoperta della verità.


***

Sì, ho fatto bene a prendere il treno. Non ne potevo più di ascoltare il navigatore che già per farmi arrivare a Monza mi ha stressato non poco. Sì, lo ammetto, alla fine ho ceduto e mi sono scaricato l’App e tanti saluti ai 200 euro buttati nel cesso per quel coso comprato alla Sme che bisogna aggiornare in continuazione. Perché qui costruiscono rotonde su rotonde e le fanno sempre più complicate, almeno per me; faccio sempre troppa fatica a capire cosa s’intenda come prima uscita, leggermente a destra, in direzione sud verso via Vattelapesca, come se conoscessi i nomi delle vie e avessi una bussola al posto dell’ipotalamo. No, un bel trenino, venti minuti o anche meno senza rotture di scatole di strade, parcheggi e ztl.
Sì, so anche che questa mia iniziativa è un po’ insulsa, so che lei non verrà, mi verrebbe da leggere se mi ha risposto, ma a questo punto avrebbe poco senso e dico: a che serve farlo adesso che sono già qui? Scopro, o meglio, ho la conferma di ciò che penso, cioè che non verrà e me ne torno indietro? No, è giusto provare un po’ di adrenalina, venti minuti, non di più, non quattro ore come quella volta, anche se aspettavo una che aveva detto che sarebbe venuta. Venti minuti, mangio una porcata e torno a Monza. Anzi, torno a Monza e mangio lì una porcata.
Sì, comunque è giusto chiudere ‘sta storia, ma è giusto farlo così, almeno che ci si guardi in faccia, no? almeno che ci sia un volto dietro quelle centinaia di migliaia di caratteri che ci siamo reciprocamente scaraventati per un mese abbondante. Questo è quello che penso io, lei di sicuro non la pensa così. Ma come fanno due ad attrarsi reciprocamente senza essersi mai visti? Di lei ho visto solo un paio di foto, non dicono niente a dirla tutta e nemmeno quelle che lei avrà visto di me diranno di più, anche se sono stato più generoso di lei. Quello che io ho definito inedito assoluto ha provocato in noi reazioni simili all’inizio, ma poi divergenti. Io sono curioso, mi piace giocare col fuoco e ho la pretesa di non bruciarmi mai. Io le ho detto più volte di avere il culo coperto, che tanto anche se dovessi subire una delusione da lei saprei sempre rifugiarmi a casa mia, dove c’è appunto copertura. Lei invece no, non ce l’ha coperto il culo, perché a casa sua c’è solo sua figlia, che è molto, ma non c’è quello che può darle un uomo. Lei forse sì teme di bruciarsi, per questo vuole chiudere brutalmente.
Allora, come mi son detto, per tornare a Monza posso anche prendere il treno delle 21.31 o forse anche prima. Ho detto venti minuti, non di più, quindi dalle 20.50 in quaranta minuti riesco ad arrivare a Porta Garibaldi; vado lì, aspetto e poi vado alla stazione, non mi va di mangiare qui, o mi ci porta qualcuno o niente. Sicuramente mi farei fregare e mangerei anche da schifo. Quella volta da Joe Cipolla mi ci hanno portato, non ci sarei mai arrivato da solo. Ma parte di questo me lo ero già detto. In effetti mi sono preso in anticipo, sono già qui allo Strehler tre quarti d’ora prima dell’appuntamento. Non volevo rischiare. Quando prendo appuntamenti a pelo, già successo, finisce che arrivo tardi. Poi magari la lei di turno tira pacco e io rimango col dubbio che sia venuta e se ne sia andata per non avermi visto. Adesso no. Adesso sono arrivato al Piccolo Teatro Strehler con largo anticipo e se non viene non viene. Non potrà mai dire che è venuta, non mi ha visto e se n’è andata. Però mi rompe star qui tutto sto tempo ad aspettare, vado a farmi un giro verso il centro.
Ma dai! Sono capitato proprio qui! Non ci posso credere! L’unico posto di Milano che mi è rimasto impresso quella volta. Certo che è strano ricapitare ancora davanti al Patuscino per puro caso. Chissà, ci sarà qualcosa che mi porta e mi riporta qui.

L’uomo era arrivato puntuale alle 19.21 alla stazione di Porta Garibaldi. Aveva percorso velocemente a piedi la strada che lo conduceva al Piccolo Teatro Strehler, luogo dell’appuntamento con lei, previsto per le 20.30. Poiché era in anticipo, decise di fare due passi verso il centro. In Via della Madonnina riconobbe un locale che aveva visto in una sua precedente visita a Milano. In quella stretta via a un certo punto sentì qualcosa, un richiamo, non sembrava rivolto a lui, ma non c’era nessun altro nei paraggi. Si girò leggermente, sentì ancora una voce chiamare qualcuno; si girò ancora, questa volta anche con il corpo. Non percepì niente di visivo, furono attivi solo due dei cinque sensi. Udì due botti potenti. Sentì prima un forte dolore al petto. Poi tutto il resto.

Non riesco a muovermi. Sento il pavimento che preme sulla mia schiena. È curioso constatare che è questa la cosa che mi fa più male, non i due colpi da arma da fuoco che mi sono stati sparati da breve distanza con professionale precisione. Tra poco non sarò più così lucido da definire e ricordare quello che è successo. Comincio a non capire più niente. Vedo le luci del Patuscino. Accidenti, questo posto mi rimane impresso anche nel momento in cui sto morendo. D’ora in avanti potrò descrivere e ricordare sempre meno, soprattutto senza continuità. Non sarò in grado come fece Francesco Borromini di descrivere la ferita che si era procurato e che non l’aveva ucciso. Brutto segno se penso a queste cose. D’altra parte, che altri segni può avere uno cui hanno appena sparato due colpi al cuore? Non sono già più lucido da chiedermi chi e perché possa averlo fatto. Mi rimane un po’ di lucidità solo per pensare a quella cosa che ho fatto prima, ma non ricordo… era sicuramente un errore…
Se ora vedo dei neon significa che prima ho perso i sensi e forse ora sono in ospedale. Sì, ho detto bene. Ho percepito la realtà! Sono lucido! Forse mi salveranno. Forse non morirò. Prima ero come già morto, non è così orribile, dai. Non mi sono accorto di niente, sto peggio ora a dirla tutta, mi sembra di soffrire, non so ancora per che cosa. Sento delle voci, non le sento più, vedo i cieli rosa. Ahia! Brutto segno ancora. Scopro ora che i cieli rosa non erano un sogno, ma erano quello che vedevo prima di nascere e che sto rivedendo ora che sto per morire. Non vedo questo famoso tunnel che vedono quelli che sono in coma; chiaro, io non sono in coma, io sto passando di là, è diverso. Se ne sto parlando con serenità significa che sono più di là che di qua, altrimenti cercherei di ribellarmi. Peccato non poter raccontare questa cosa.
Perché sento freddo… tanto freddo… tantissimo freddo… sì.

***
Il dott. Massimo Sassani, chirurgo di guardia all’Ospedale Fate bene Fratelli, aveva un’espressione che per chi lo vedeva significava poco, ma da dentro esprimeva qualcosa che aveva già vissuto altre due volte, sempre quand’era di guardia notturna. Quella sera doveva iniziare il servizio alle 20.00, arrivò al lavoro 10 minuti prima.
“Dottore, c’è la polizia, vogliono farle delle domande.”
“Certo, ovvio.”
Non era la prima volta anche per questo rituale.
“Buonasera dottore. Ispettore Parlato, squadra omicidi.”
“Buonasera ispettore. Immagino mi vorrà fare le solite domande. Oh, mi scusi, quando non riesco a salvare una vita sono un po’ scosso, mi è successo altre volte, c’erano suoi colleghi. Allora, le dico subito che questo qui ce l’hanno portato quasi morto. Gli hanno sparato da pochi metri. Non ho idea di che tipo di proiettile fosse, quello lo dirà la Scientifica. So solo che gli ha devastato il cuore, prodotto emorragie interne irreversibili. Questo l’ha fatto il primo proiettile. Il secondo ha seguito quasi fedelmente la stessa traiettoria del primo. Chi ha sparato deve aver avuto una mano fermissima. Questo secondo proiettile è arrivato fino alla colonna vertebrale, fratturandogliela. Quindi, anche nella remota ipotesi fossimo riusciti a salvarlo, sarebbe rimasto in stato di paralisi permanente. Mi scusi, non so neanche come si chiama, si chiamava. Non era prioritario controllare le sue generalità.”
“Grazie, adesso provvediamo noi a tutto. C’è ancora qualcosa che ritiene utile dirmi?”
Il chirurgo rimase pensoso per qualche secondo.
“Poco prima del tentativo disperato era quasi cosciente, anzi no, era del tutto cosciente, ma non riusciva a parlare. Muoveva molto gli occhi, emetteva versi. Ecco, sì” continuò il chirurgo Sassani guardando sopra la testa dell’ispettore “aveva tutta l’aria di voler dirci qualcosa, qualcosa di molto importante, lo si percepiva dallo sguardo. Forse voleva dirci chi gli aveva sparato. Ma ormai non ha più importanza, credo. Ora non può dirci più niente. Ispettore, se non ha più bisogno di me, tornerei di là a sbrigare i soliti protocolli.”
“Certo dottore, grazie. Anche per noi ci saranno ora le solite procedure. E dobbiamo anche muoverci, le prossime ore o anche i prossimi minuti potrebbero essere decisivi per rintracciare l’assassino.”


(continua)

 Nella presente   antologia è stata riportata solo la presentazione del romanzo.

Per l’Opera   completa contattare l’Autore.

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