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Daniela Milani Vianello
LAGUNANDO 2020 > selezionati 2020
Pubblicazioni: ESP in laguna (ed Paoline),Gente del Lido (ed Helvetia), Il pane a Venezia, El Felze, Gli scaletteri, Fondamenta dei vetrai (ed Centro Internazionale della Grafica)  Naufragio a Rost (ed Panorama), Alchimie (ed Granviale/Supernova).
Libri di fiabe e racconti per ragazzi per pubblicazioni scolastiche e riviste varie.
Tuttora sta pubblicando fiabe per il Centro Internazionale della Grafica.

ORTI DEI DOGI
RACCONTO
Venne la sera



L’ampia porta d’ingresso era già stata aperta e occhieggiava sul prato, come una grande pupilla curiosa. Erano le prime ora del mattino e un’aria giovane, rinnovata dal mistero notturno,  entrava, con spavalderia, nell’atrio.
L’anziana signora scese con cautela la breve scalinata, quindi si fermò e inspirò con vigore, imponendosi sui vecchi polmoni che avrebbero volentieri fatto a meno di quella sferzata di energia.
“Vieni anche tu?”
“ Verrei.. e la nonna?”
Le voci venivano dalla sala da pranzo, dove i ragazzi stavano facendo colazione. Poche battute che l’avevano punta sull’orgoglio. Orgoglio,  quello era stato il suo maggior  difetto, che  ora si riduceva al principio di non esser di peso a figli e nipoti.
Quando entrò nell’ampia sala, accanto alla cucina, il pensiero molesto era stato riposto in un apposito spazio e il solito sorriso sereno le rischiarava il volto minuto e grinzoso.
“Buon giorno, ragazzi, disse sedendosi a fatica, appoggiando accanto a sé il fedele attrezzo di sostegno. “Che fate oggi?” Era abituata ad affrontare le situazioni in modo diretto.
Dopo un attimo di esitazione Giovanni rispose:
“ Noi, nonna, si andrebbe a Castiglione.”
L’appropriato uso del modo verbale esprimeva una tacita condizione, se tu non ci fossi.
Dunque la sua presenza era d’impedimento al loro progetto. Ora bisognava farselo dire: “Perché non ci andate?”cinguettò, spalmando il burro sul pane, con tono che armonizzava con la luminosa giornata.
Ancora un momento d’ imbarazzo…
“Che farai tu, nonna?”
I ragazzi erano stati educati alla scuola della sincerità e non ci si poteva lamentare dei risultati.
“ Non mi va di oziare tutto il giorno a Castiglione, per rimediare qualche spesuccia” ebbe la spudoratezza di dire con aria imbronciata. “Io me ne stare tranquilla qui…al poggio.”
Lo chiamavano così da sempre, ma il poggio era per la signora molto di più di un’elevazione del terreno che si affacciava sul mare. Era il posto più evocativo del mondo, che operava in lei la magia di farla sognare, ricordare, rivivere.
“Sì, nonna, lo so che è il tuo posto preferito, ma oggi è sabato.”
Ecco l’agguato! La giornata di riposo di Linda.
“Cosa credete che mi faccia Linda, sempre occupata a stirare pile di braghe e shirts ? Pensate che mi faccia compagnia?”
“No, non intendevamo dire questo” la nipote appariva mortificata. “Però non ci va di lasciarti sola fino a sera.”
“ Sciocchezze. Linda, prima di andarsene mi porterà dei tramezzini e un termo di te, e, se dovesse cambiare il tempo, me ne tornerò in casa. Che diamine! Non sono mica invalide!” e, nel dire ciò, nel tono più autoritario possibile per tagliar corto su eventuali obiezioni, strinse con tale forza l’impugnatura del bastone da sbiancare le nocche della pallida mano.
Aveva infatti e , purtroppo tutti lo sapevano, una folle paura di affrontare da sola i terreni impervi e in pendenza che, dalla villa, conducevano ai suoi panoramici dintorni. Questo da quando il medico aveva pronunciato la parola osteoporosi, bruttissimo vocabolo e particolarmente per lei che ne era afflitta in modo severo. Era rimasta così spaventata alla vista delle sue radiografie che, a volte, nel rigirarsi nel letto, temeva di frantumarsi, tanto si sentiva vuota e fragile all’interno. Le sembrava che gli ossicini tutti scricchiolassero sussurrandole “Fa piano, per carità. Bada sempre a non cadere.”
.-.-.-.-
Ora eccola sola, comodamente seduta davanti al mare, mentre un senso di indipendenza la eccitava come una ragazzina alla prima uscita serale. Anche Linda se n’era andata, non prima di averle portato alcuni sandwich molto appetitosi, gonfi di formaggio e di lattuga.
Gli ossicini leggeri  ora non la preoccupavano, anzi l’euforia del momento le suggerì la curiosa riflessione che, andando avanti così, un giorno avrebbe potuto volare.
La giornata splendeva di sole, priva di problemi per il rientro, perché i nipoti sarebbero giunti con il treno da Castilione  delle 20 e 15.  Si appisolò.
Le ore brucianti, quelle centrali della giornata, trascorsero veloci, un po’ sfogliando sciocche riviste, molto più lavorando alacremente ad un inutile golfino.
Così, il pensiero, da solo, tornava sui suoi passi: quel sole deciso, signore dell’aria, prepotente eppure amato, le aveva ricordato gli anni più pieni della sua esistenza e il compagno, che proprio come quel sole, l’aveva sovrastata.
Carezze tiepide sulla pelle, qualche momento di oppressione per l’eccessiva padronanza… un’immensità di luce.
Scossasi dal sonnellino, osservò che il sole non era più fermo lì, al centro del cielo, s’era come reclinato, fattosi più gentile, come lui, un tempo, quando superata la piena maturità, con le sue tempeste, dalle quali emergeva vincitore, più forte e più sicuro, s’era appoggiato a lei, un po’ malfermo di salute, bisognoso della sua presenza, come raggi  obliqui che non scavano l’ombra, divorandola, ma le danno uno spazio, via, via crescente.
Sul momento aveva goduto di quella specie di  resa   ma ora, a ripensarci, non provava nostalgia di quegli anni, un po’ svogliati, come le ore pomeridiane. Il loro ricordo era come annebbiato: le sofferenze per i suoi piccoli tradimenti, gli affanni per i figli che crescevano avevano lasciato, al loro posto, dei buchi di memoria, dei vuoi d’ombra che ora tarlavano il suo  ricordo.
“La vita non è un porto tranquillo”  disse ad alta voce, cercando comprensione nel mare e alzandosi a fatica per raggiungere il cestino, nel quale aveva riposto alcune caramelle al lampone.
Ora si sentiva stanca: tutto quel fantasticare, quel rivivere l’avevano fiaccata e la presenza evocata del suo compagno, in quel giorno  di solitudine, era stata così intensa da farle  credere di averlo avuto veramente accanto, con le lunghe gambe nervose che non stavano mai ferme, che alla notte si intrecciavano alle sue, che al giorno manifestavano, in quel loro moto, piccole insofferenze, grandi inquietudini.
Fu nel ritornare al suo seggiolone di vimini che, voltando le spalle al mare, vide spuntare laggiù tra le colline degli enormi castelli di nuvole grigie, gravide di pioggia. Ne restò terrorizzata. I nuvoloni erano lievitati alle sue spalle come un tradimento. Guardò davanti a sé la breve discesa che portava alla casa e le sembrò un sentiero impervio, una di quelle piste sotto al monte percorse solo da provetti sherpa.
Se ne stette così, fuori dal tempo, in preda a una solitudine e a un terrore indicibili, proprio come il giorno in cui il suo compagno l’aveva lasciata e lei aveva capito che non ci sarebbe stato più per proteggerla e dominarla.
C’erano voluti anni per riprendersi da quello smarrimento assoluto, dalla grande paura di continuare a vive sola. Un po’ alla volta era stata presa dall’armonia che la circondava, insensibile alle sue pene: la grande famiglia le cresceva intorno, sana e forte come una quercia dalle radici sicure.
Mentre così ricordava, nel frattempo, l’uragano s’era allontanato senza danni, l’aria si era di nuovo stabilizzata dopo tante minacce. Era talmente tersa e ferma da dare l’impressione di non esistere.
Ma ormai era sera.
Dalla sua seggiola la signora sentiva rumoreggiare il mare.  Sembrava si lamentasse ancora delle intemperanze atmosferiche. Però piano piani si stava placando e lo sciabordio delle sue onde sulla battigia segnava un fluire del tempo sempre più lento. Tra poco sarebbe taciuto. Questo la signora lo capiva e mentre  una grande pace scendeva su di lei , tutto intorno si preparava alla grande festa finale di luci, profumi e suoni.
Era il momento della giornata che aveva amato di più, era la sintesi della giornata, il suo trionfo. I colori dei fiori erano esaltati dalla luce irreale del sole, il verde del prato non era mai stato di un verde così intenso, nemmeno all’alba quando l’aveva guardato dal portone spalancato dell’ingresso. Com’era lontano quel momento, lontano…  una vita.
In quel tripudio di colori e di effluvi, la natura sembrava compiere la sua ultima danza: gli insetti gridavano gli ultimi suoni, gli uccelli si lanciavano in voli frenetici e bassissimi, inseguendosi e sfuggendosi tutto intorno alla collinetta dove lei, priva di volontà, viveva le forze della natura . L’intensità di quel breve momento era l’esaltazione della vita, la capacità di riviverla tutta in un attimo, con quel mezzo penetrante e consapevole che è la memoria. Un palpitare di vita brevissimo ma assoluto. Al di là buio e silenzio, la notte.

Alle otto e venti, i nipoti la trovarono rannicchiata sulla sua sedia: l’ultima irreale luce del giorno le illuminava il volto sorridente. E fu quel sorriso a taglia corto sui loro rimorsi, a zittire la loro pena.
“Ha sempre temuto di cadere” disse il ragazzo raccogliendo, con dolcezza, quel mucchietto leggero, leggero che era la nonna.
“Vorrei anch’io vivere come lei” disse la sorella inghiottendo a fatica,  scendendo con lui la breve discesa che portava a casa.





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