Désiréé Rigamonti
LAGUNANDO 2020 > selezionati 2020
Nata il Lombardia, a soli sette anni si trasferisce con la madre, separatasi dal marito, nel Lazio.
Nonostante la precoce passione per la scrittura,si dedica a studi tecnologici, divenendo e lavorando per anni come Ingegnere.
Oggi, nonostante per anni abbia professato diverse intenzioni, è insegnante. Moglie e madre felice.
IL TRADITORE
Il mio nome è Gino Ruci, ho 19 anni, sono alto 1 metro e 96 centimetri, peso 88 chili e sono un traditore della Patria.
Sono da poco passate le 9 del mattino del 14 Marzo ed in questo momento cammino per gli stessi boschi di quando ero bambino, riconosco ogni albero e ogni nodo di corteccia, anche se la neve ricopre ogni cosa, anche se le lacrime mi appannano gli occhi, anche se la fatica mi piega, quelle foglie sono le mie foglie, questi odori non sono cambiati, tutto sembra immobile, tutto è come 15 anni fa.
Sono nato il 17 Novembre del 1925, in un paesino vicino Bergamo, mia madre, casalinga, aveva già 4 figli, Severo, Maria, Alessia, Bianca, ma mi amò dal primo giorno in modo speciale, forse perché ero il secondo maschio, ed il primo non era un bambino di cui vantarsi, indisciplinato e sempre sporco di terra, o forse perché ero un neonato diverso dagli altri, silenzioso, tranquillo e molto più grande di tutti quelli che lei o chiunque lei conoscesse avesse mai visto.
Mio padre era un operaio per una grossa azienda di costruzioni edili, come quasi tutti nel nostro paese, ed anche nei paesi vicini, qualche migliaio di anime concentrate in una manciata di casette di mattoni, affacciate quasi tutte sulla strada principale che collega i diversi centri abitati.
Noi bambini venivamo accuditi dalla mamma, dalle nonne, dalle sorelle più grandi e dalle altre signore del cortile dove vivevamo, mio padre non c’era quasi mai, come tutti gli altri uomini, partiva la mattina prima che ci svegliassimo e tornava dal cantiere o dal circolo che era già sera, qualche volta passavo in cucina mentre cenava, in quei casi bofonchiava qualche parola senza nemmeno alzare la testa dal piatto, verso i dieci anni mi sono anche chiesto cosa avrebbe risposto se gli avessi chiesto il mio nome, o la mia data di nascita, o anche quanti figli avesse.
Non era affar suo, non era affare da uomini - i bambini sono delle madri, che li crescono e li rendono uomini e donne pronti alla vita, i padri devono lavorare, mantenere la famiglia, non far mancare nulla per quanto possibile e servire la patria, quando serve, non sono fatti per accudire… o amare -.
Almeno questo è ciò che mi hanno insegnato. Anzi, è quello che ho imparato dai comportamenti degli adulti che ho avuto intorno, perché mio padre non perdeva tempo ad insegnarci le cose, lui viveva la sua vita e per nessuna ragione al mondo avrebbe messo in dubbio la perfezione delle sue scelte, e vivendola secondo le regole dello Stato e della Chiesa credeva di indicarci la via per fare altrettanto. Mai un dubbio, un tentennamento, mai un giorno in cui avesse detto “non ho voglia di andare al lavoro”, mai nemmeno una carezza per distrazione a me, ad una delle mie sorella, a mia madre…
In questo momento, alle 9 e mezza circa di un Mercoledì mattina qualunque, però, sembro tutto tranne l’uomo che avrebbe voluto che diventassi, mi sento debole e ferito, cammino senza sosta senza guardarmi indietro, con i muscoli delle gambe che fanno quello che devono senza chiedersi perché, ma vorrei qui mio padre, già proprio lui… che è morto 2 anni fa sotto un autoarticolato in un cantiere del cavolo per una villa schifosa di un ricco che forse non ha nemmeno saputo che il suo bel giardino nasce sul sangue di un operaio stanco e sfortunato.
Magari ora mi direbbe che ho fatto bene, mi darebbe una pacca sulla spalla.
Invece no, mi accuserebbe, come tutti faranno, di non essere un uomo, come fece quando avevo 15 anni, in una sera come tante, che però ricordo come fosse una frustata.
Mia madre aveva l’influenza, si teneva a stento sulle gambe e stava preparando la cena per noi e per lui, mio fratello ed io eravamo tornati prima dal cantiere dove lavoravamo perché aveva iniziato a piovere, le mie 2 sorelle non sposate (una di 17 anni e la piccola che all’epoca ne aveva 12) aiutavano con le faccende domestiche, mi alzai dal tavolo e proposi a mia madre di aiutarla, prima che potesse rifiutarsi le tolsi il mestolo dalle mani e la spostai di peso, era una donnina che non arrivava al metro e sessanta ed io all’epoca superavo già abbondantemente il metro e ottanta, iniziai a girare il riso e scherzai “magari un giorno diventerò un cuoco!”
Mio padre entrò proprio in quell’istante, non gli servirono spiegazioni né altro per andare su tutte le furie, come se l’idea di un figlio cuoco fosse un’onta inaccettabile, come se la mia frase nascondesse il disprezzo nei confronti del mio lavoro, che era anche il suo, che era un vero lavoro da uomo, in cui ti sporchi le mani di fango, in cui se sbagli ti fai male o si fa male un tuo compagno, in cui a fine giornata puoi guardare quello che hai costruito, creato, fatto.
“La cucina è posto da donne, sei ridicolo con quel cucchiaio in mano, vatti a mettere seduto, o tanto vale che ti fai cucire una veste da camera da tua madre, femminuccia”
Non mi toccò, non lo aveva mai fatto, al contrario di molti padri di molti miei amici, che li consideravano uno sfogo serale delle onte ricevute in cantiere, ma mi guardò con un disprezzo, che non penso avrei meritato nemmeno se fossi stato un assassino.
Si mise seduto accanto a mio fratello che ridacchiava, poi se la prese con mia madre
“Te l’avevo detto che lo facevi crescere storto, con tutte quelle attenzioni, quei baci, quelle smancerie da femmina, lo hai rovinato, non sarà mai un vero uomo”
Forse aveva ragione, mentre mi sedevo su un masso sporgente mi chiesi se la colpa non fosse di mia madre, di quel bacio morbido che mi dava ogni sera quando mi mettevo a letto, di quel suo modo di parlarmi dolcemente, sottovoce, e di dirmi “riposa, ora, amore mio, domani sarà una bellissima giornata..”
No, mamma, oggi non è una bellissima giornata, è un giorno di merda, freddo come il polo e bianco come un orso pronto a sbranarmi, ho freddo e fame, perché queste razioni forse le fanno per le persone alte giuste, non come me, e ho sonno… lo sai che a volte anche se dormi non ti riposi? Qui in trincea è così.
Sono al fronte da pochi mesi, all’inizio non ero stato chiamato, forse perché ero utile ai cantieri o forse perché qualcuno, come mio papà, pensava che raggiungendo quasi i 2 metri di altezza non potessi nascondermi bene…
Un generale una volta mi chiese se, essendo così alto, mi arrivasse abbastanza sangue al cervello per pensare, gli risposi che probabilmente tutto è proporzionato… capii che mi stava prendendo in giro troppo tardi e feci la figura dello sciocco, però ne fui contento, se sembravi troppo sveglio ti mandavano a fare missioni lontane e pericolose.
Quando mi arruolarono invece scoprirono che conoscevo molto bene una zona alpina che l’esercito doveva presidiare, ogni anno ero stato lì con la mamma e le nonne, camminavo per intere giornate nei boschi, andavo a caccia, cercavo funghi, non c’era nascondiglio che non conoscessi o sentiero che non avessi battuto più volte, perciò mi piazzarono lì, insieme ad altri venti soldati, il nostro scopo era controllare, non far passare, nel caso uccidere i soldati nemici.
L’inverno sulle Alpi è freddo e lungo e ognuno di noi ogni sera si stendeva sulla sua brandina e pensava a casa, all’inizio ognuno per conto suo, poi iniziammo a raccontarci le nostre storie, c’era chi aveva moglie e figli, chi una fidanzata, chi fratelli e amici ad aspettarli..
“E tu Gino?”
Io un po’ mi vergognavo, anche se per i miei compagni la mia altezza era una cosa di cui vantarsi, in realtà nel mio paese ero visto come quello strano, e quindi stavo molto per conto mio, poi la mia famiglia era povera, non potevo certo permettermi una fidanzata…
Però.. però c’era una ragazza, Piera aveva 16 anni, aveva da poco iniziato a lavorare come tessitrice in una fabbrica vicino al cantiere dove stavo io.
La mattina passava con altre ragazze a piedi e quando mi superavano sentivo dei gridolini e risatine, forse avevano capito che lei mi piaceva.
Sapevo che aveva già un corteggiatore, il figlio del proprietario della ditta, e… beh? Che speranze potevo avere io con lei? Nessuna, lo sapevo, lui aveva anche un’auto.
Però mi piaceva guardarla passare, portava sempre una gonna beige, su cui aveva attaccato un paio di toppe quadrate più scure, doveva essere molto brava nel suo lavoro perché quelle toppe erano proprio attaccate bene e anche se era la più bassa del gruppetto, per qualche ragione era sempre in evidenza, si capiva che era più sveglia delle altre, più intelligente, teneva la testa così alta, con fierezza, che le altre la seguivano più che starle accanto.
Una volta le sorrisi e lei mi guardò per un istante, il capo un po’ piegato verso destra, poi mi disse “guarda che ti si è staccato un mattone”
Mi voltai ed in effetti l’ultimo lo avevo attaccato proprio male, mi sentii un po’ scemo, avrebbe pensato che non ero buono nemmeno per tirare su un muro, poi pensai che però era stata gentile, avrei voluto dirle grazie, ma era già lontana.
Secondo i miei compagni facevo prima a dimenticarla
“Quando tornerai avranno già almeno un figlio”
“Quelli là non ci vengono mica in guerra, stanno nelle nostre case, sposano le nostre fidanzate e continuano a fare i soldi”
“Già, smidollati…”
Questa mattina sono uscito per la ronda, dovevo andare con Luigi, ma aveva mal di pancia e gli ho detto di non preoccuparsi, negli ultimi 2 mesi abbiamo visto solo cervi e daini, del nemico neanche l’ombra, ma chi ci vuole passare da queste parti con questa neve?
Poi abbiamo saputo che forse qualcosa sta cambiando, nelle alte sfere, dicono che il 1945 sarà l’anno della svolta per la guerra, e noi aspettiamo, aspettiamo di sapere se vinciamo e se possiamo tornare a casa, al nostro lavoro, alla nostra vita, almeno per chi ne ha una.
Camminavo già da quasi un’ora, ormai avevo le gambe zuppe e ghiacciate perché gli scarponi sono mezzi consumati e la neve entra comunque, mi sono fermato perché ho sentito un rumore, chissà che ci fosse un bel cervo a cercare qualche foglia un po’ più verde, invece a meno di 10 passi da me un soldato nemico.
Mi sono accorto che stavo trattenendo il respiro perché non vedevo più l’alone di fiato davanti alla faccia, mentre il rumore del mio cuore mi pareva poter scatenare una valanga, stavo ancora decidendo come comportarmi quando ho visto che mi puntava il fucile.
Mi sono alzato e ho puntato il fucile anche io, chissà se da dove stava lui poteva vedere quanto mi tremasse il braccio.
“Fermo!” mi sono scoperto ad urlare, non parlava la mia lingua, ma quello lo ha capito, si è bloccato.
Aveva la mia età, forse qualche anno in meno, un ragazzo parecchio più basso di me, infreddolito e con le occhiaie viola.
Sembrava che tenere il fucile sollevato gli richiedesse uno sforzo immane.
“Nebupà” mi ha detto, o almeno è quello che ho capito… nel dubbio anche io sono rimasto immobile.
Mi stava squadrando, mentre io lo squadravo.
Di lì a poco avremmo sparato e, se le esercitazioni avevano avuto un qualche senso, saremmo morti entrambi..
Nel migliore dei casi, nel peggiore saremmo stati feriti e catturati…
Nella mente mi è apparsa Piera, i suoi capelli castani e quelle due toppe così ben cucite… ho pensato che avremmo potuto avere dei figli, almeno 2 o 3, e che io avrei trovato tempo per dar loro la buona notte e anche per cucinare un risotto, magari la domenica, e poi ho pensato che l’avrei portata da qualche parte a fare le ferie, magari al mare, magari a Genova, e che avrei voluto costruire una casa per noi, una grande, a 3 piani, con il giardino, per far giocare i bambini, solida, fatta per bene, l’avrei potuta costruire da solo, dopo il lavoro, e saremmo stati felici.
Ho pensato che avrei dovuto dirle qualcosa prima di partire, per esempio di lasciar perdere quello scemo del Guido, che tanto non è serio e la farebbe solo soffrire, e che una macchina magari tra qualche anno l’avremmo potuta comprare anche noi, anche se io la patente non ce l’ho, ma magari potrei anche prenderla..
Ho pensato che faceva un freddo cane e che finire morto nella neve in fondo non era male, magari avrei sentito meno dolore.. e con la primavera la pioggia avrebbe lavato via il sangue.. e comunque il mio sangue si sarebbe mischiato alla mia terra e sarei diventato parte di quei prati e di quei boschi.
Un movimento nella direzione del tizio col fucile, ero pronto, ho guardato il mio nemico e mi è parso appena più piccolo, così ho socchiuso gli occhi e notato che si spostava impercettibilmente indietro, mentre il suo fucile sembrava abbassarsi, mi ha fissato dritto negli occhi e credo abbia fatto un cenno del capo, il mio piede sinistro si stava già spostando di 5 millimetri indietro, il destro lo avrebbe seguito immediatamente.
La mano che reggeva la canna era diventata ancora più molla e vedevo la punta del fucile puntare prima sulla sua cintura, poi sulle ginocchia, poi finalmente verso un punto imprecisato davanti a lui, che continuava ad arretrare.
Prima che scomparisse dietro un albero sono certo di avergli sorriso e che quel sorriso è stato ricambiato.
Ora è passata più di un’ora.
Ho pensato di aver tradito la mia patria.
Avevo un nemico nel mirino e non ho sparato.
Ma davvero quel ragazzino era un mio nemico?
O era un qualsiasi operaio di un qualsiasi paesino d’oltralpe costretto al freddo con una ventina di compagni a cui ieri sera ha raccontato della sua fidanzata?
Magari ha una Maria che lo aspetta a casa, magari sua mamma prega ogni notte perché torni sano e salvo, magari non gliene frega niente di chi vince o chi perde, ma vuole solo ricominciare a vivere la sua vita, come me.
E allora siamo cattivi soldati?
Probabilmente si, e se un giorno mi dovesse giudicare una corte… sarò dichiarato colpevole e fucilato..
ma non ho chiesto di essere un soldato, non mi interessava imparare a marciare e difendere una linea che non è nemmeno disegnata da nessuna parte…
mi hanno obbligato.
Invece sono un ottimo muratore e, se quando torno Piera molla quel cretino, sarò un ottimo marito, ne sono certo, e un buon padre, il migliore che mi riuscirà di essere…
Tutto grazie al fatto che oggi io sono un traditore della patria.