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Luca Antonini
LAGUNANDO 2020 > selezionati 2020
Nato e cresciuto a Empoli in provincia di Firenze, mi sono laureato alla triennale di Filosofia a Pisa e attualmente sto finendo la Magistrale presso la stessa Università.
LEGGERE LAGUNE
POESIE
Prendi anche tu questo calice



rendi anche tu questo calice,
fonte di vita,
ristoro dall’affanno umano.
Con le tue mani affaticate
porta la coppa
alla tua bocca arida e secca.
Trova la tua pace, appagando
il desiderio
di rosse carni fresche e nuove,
adorne di erbe, salvia e timo,
di quel giardino
dove ha origine la vita.
Giungi ora al nostro sacro speco,
tra colli e boschi.
Monda le tue mani e rischiara
lo sguardo su terre inviolate.
Di limpide acque
sulla riva poggia la spada
e il bastone. Lo scudo affida
a mani esperte,
che di esitazioni del sangue
e di debolezza del corpo
ne han fatto scienza.
Scuoti le membra dai ricordi.
Abbandona i paramenti,
le fini vesti,
nobili drappi purpurei.
Su di rose e foglie di fico,
i nostri piedi
calcheranno la nuova strada.
E scenderà da nuove stelle
per te il nettare,
che sotto la luce lunare
io verserò nella tua bocca.
Marea mutante,
dentro la tua gola assetata,
onde calde ti avvolgeranno.
E sul giaciglio
prendi e mangia questo mio pane.
Di valli e monti che ti mostro
prendi possesso
e di nuove vesti scarlatte
adorniamo ora i nostri corpi.
Dalla mia fonte,
prendi ora tu questo calice.

 Cos’è l’idea del Bello ?


Cos’è l’idea del Bello,
se non acqua che scorre
sotto i ponti più grevi,
poggiati sulla terra rossa
del nostro sangue arterioso?

Bella è l’orma sulla terra
dei nostri piedi scalfiti
da rocce e radici profonde.

Bello è il candore
di fiumi di aromi,
che sotto letti
di piume ingiallite,
nutrono gli antichi
abitanti dei boschi.

Bella è la saetta
che avvampa il cielo:
il raggio che trafigge
chi guarda in alto.
Bello è lo sguardo
che perde sé stesso
e la memoria che salta
nella danza del tempo:
nelle aule di passati svaniti
sotto incaute piogge;
di presenti svelati
agli occhi dei mendicanti;
di futuri divelti
dai terreni dei nostri avi.

E io,
che sommo i passi
alterni, altaleno
tra una volta e un’altra,
giacendo di nuovo
sul tuo ventre caldo,
respirando ancora,
tra i tuoi capelli stanchi,
il profumo stillante
da mille occhi celesti.

 Rimani, Parola, nell’aria


Ecco! Rimani, Parola, nell’aria.

Dolce suono, or nel tempo perduto,
ora rinchiuso in vetusti ricordi.
E l’immagine tua è quel che ci resta,
Verbo, che il mondo alla mente donò,
Sacro, che all’uomo l’ordine impartì.

Non perdere, smembrata la chiarezza
dei cristalli che nelle Aule tue appendi.
Ancora rimani con noi mortali,
rimani al mondo, che vita ti dette:
come Anima: divina, immortale.

Non persa nell’oblio della memoria,
al silenzio non lasciare alcun luogo.
Echeggia imperitura nelle vaste
distese del mondo che a te appartiene.

Lascia che l’uomo si nutra di te,
Santa Madre di quel che lui detiene.

Storia, come di Damocle la spada,
pende su di te, che il tempo conservi.
Non fare di te già un mero ricordo:
resta nell’aria che vita ci dà.


Non tra le foglie



Non hai tra le foglie
pizzi e ricami,
ma letti di fiori e radici.
Non tra la luce interrotta
il rombo di città in perpetuo moto,
tra fiumi amari di macchine urlanti,
ma dolce riposo
nel sussurro di acque aulenti.
Non passi veloci
e scalpitii disordinati,
ma il tenue passo
di fate e creature boschive,
sotto raggi adagiati
su letti di foglie dorati,
tra tronchi di alberi antichi.
Non hai tra le foglie
fregi e intagli,
ma fiori addobbati
di colori e profumi.
Hai tra i servi di Diana
non teschi d’asfalto e acciaio,
che gridano da torri superbe,
ma gli sguardi vivi
di chi gli occhi volge alla terra.


Solo vento sottratto al divenire


Ragioni rivolte a radi ricordi
restano, rapaci, su nude rupi
di restii pensieri mareggianti nel futuro.
Il sogno che rincasa alla luna,
languido, s’adagia sul giaciglio
e si spegne di fronte ai volti altrui.
Nessun verso vaneggiante vendica
la vita versata al vento,
di chi vagava vetusti futurismi.
Solo suoni che sanno di casa.
Solo voci vagliate alla mente.
Solo tempo sottratto al divenire
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