Martina Penzo
LAGUNANDO 2020 > selezionati 2020
Originaria di Mestre, ho frequentato le scuole inferiori in questa città, poi il liceo a Venezia e ho iniziato i miei studi universitari a Cà Foscari.
Per motivi familiari mi sono trasferita a Roma, dove ho avuto una splendida figlia e conseguito la laurea in scienze umanistiche.
Dopo tanti anni di nostalgia, a breve tornerò a risiedere nella mia città con la mia famiglia.
Da sempre ho due sogni nel cassetto: scrivere un romanzo e insegnare letteratura.
Nostalgia nella nebbia
Nell’alba assopita, velatadalla bianca polve bagnata,la mia cerea vallata tace.Si dischiudono gli occhi primache il tenero micio mi desti,che la cornacchia dalla cimaavvisti della cena i resti.Casa dorme, odo serenità…Mi avvicino, apro il mio sipario,il terso vetro filtra la realtà.Ecco: scopro il gotico scenario.Or vibra la pace nel mio cuore,brilla il ricordo, l’emozione,sulla laguna quel bagliorenel mio pensiero di finzione.Rammento quel bocciolo ardentee la fiaba del valoroso amante,nel roseto spinato morentee nel dì d’aprile trionfante.Scintillii il settimo mesein quel dì tutto veneziano,come quello in cui grazia scesemezzo il miracolo mariano.Gaie maschere passeggianolungo calli assai affollate,nere gondole galleggianoal canticchiar di serenate.Nella mia onirica illusionepasseggia fiero Casanova,in Cà Farsetti riflessionedel neo Fidia, ossia Canova.Ottenebrate quelle calliche vestono grigio colore,gotiche come queste valliche amplificano il dolore.Come ogni giorno sorge il solecosì la speranza si rinnova,come Madre Natura vuolela vita prosegue e sogni cova.Aspettami laguna d’oro,non mutare volto, io t’imploro,custodisci la tua unicità,essenza tua per l’eternità.
Breve elogio in tuo onore
Sfila sì maestoso il bucintorosolcando quelle acque di smeraldo,che custodi della città, tesorosono dei mari antichi caposaldo.Mille anni di dogi e dogaressecon impegni, poteri e privilegi,eletti senza brogli né promesse,han donato al Ducato grandi pregi.Fin al Nuovo Continente sono giuntele balote, vessillo d’onestà,scongiurando baratterie presunte,corruzione, inganni, falsità.La micia Morosini tanto amatasu tela col suo caro doge giace,nel Museo Naturale imbalsamatagode il suo bottino in santa pace.Orsù Marin Falier, confessa il vero!Contro la Repubblica hai peccato!Scomparirà il tuo volto menzogneroe condannato, sarai decapitato!Serenissima com’argiva cetrasuona la giustizia tua ancestrale:chi ha mai visto quella bianca pietra?L’equo potere sacro e temporale.Ma…or chi son quei quattro qui avanzando?Simon, Lunardo, Maurizio e Canciano,il cui litigio sempre esagerandotra loro e con le mogli quotidiano.Loro padre fu il signor Goldoni,legale, commediografo e scrittore.Fece a Venezia nostra grandi donie fu del teatro nuovo l’ideatore.Alla commedia d’arte era legato,ma or non più bastava il canovaccio.Creò quindi un copione rilegatoe il teatro avvolto fu da nuovo abbraccio.Come nel teatro, anche nei dipintivita vera, chiacchiericci e cortesia,per il Longhi con Goldoni insieme spintinell’arte a lor coeva in sintonia.Lettori cari vogliatemi seguir,andiamo alla scoperta di leggende,a Campo dei Mori insieme a udirdi una strega mascalzona le vicende.La dimora del Furioso ivi sorge,manierista e drammatico dell’arte:l’occhio attento certamente scorgeErcole con la clava da una parte.Una strega avvicinò la sua Marietta:promettendole angelica fattezza,l’indusse a rubar l’ostia benedettae a celarla in cortil con accortezza.In quel preciso luogo gli animalilodando iniziarono a prostrarsie giudicati questi gesti anormali,il Furioso volle chiaro sincerarsi.Invitò allor la strega in sua dimoraper rendere il motivo del tranello:fu astuto nell’arte derisoriae sferrò un fortuito colpo di randello.Tempestiva fu la sua trasformazionein un gatto, che con forza folgorantebucò il muro e fuggì alla percussione,scampando a quella furia devastante.Vediam così il maciste in tal facciatadel Tintoretto a protegger casacontro mali o nera peste adirata,la stessa che Venezia aveva invasa.Passeggia in Calle Zorzi la Giovanna,nel gran rischio d’incontrar la donna nera,ma la Madonna che salva da condannapromette protezione santa e vera.Sul sotoportego Zorzi la divinaMaria dipinger dovea la Corte Nova,con Sebastiano, Rocco e la Giustina:così la grazia avrebbe avuto prova.Senza timor il sacro portico entròl’arpia che la Corte smaniava divorar,la Vergine con armi sante la fermòe a terra cadde per morte ad ansimar.La pietra rossa della santa vittoriaivi si trova in memoria della grazia,ma “Cura a non calcarla!” dice la storia,se certo evitar volete la disgrazia!Ti canterei all’infinito città miatra gondole, baute e cortesia.Vetro sono le tue acque nella quiete,graziosi pizzi le tue isole segrete.Grandi le tue gesta, immense le memorie,ma illusorie le mie arti oratorie.Per te che imponente sembri galleggiarsulla storica laguna d’oltre mar,stonate son le rime per la tua amenità,da te stessa canti la tua immortalità.Nella storia tu reale, sei un leone,nel mio cuore, orgoglio ed emozione.