Nando Giorgio Pozzoni
LAGUNANDO 2020 > selezionati 2020
È laureato in lingue e letterature straniere presso l’Università Luigi Bocconi di Milano.
Ha soggiornato a lungo, per motivi professionali, in Germania e Spagna.
Collabora con l’ Instituto Cervantes di Milano, presso il quale ha pubblicato il saggio bilingue “Tras las huellas de la Milán española = Sulle tracce della Milano spagnola”. Scrive testi di narrativa alcuni dei quali sono stati premiati e pubblicati in antologie.
Sulle piste dei Feudi
Mare, non fuggire dai ricordi della mia fanciullezza,
mostrati dietro le ombre del bosco e i varchi delle forre rocciose.
Non scacciare col tuo soffio saligno il volo della rondine,
che mi guida dove la fiumara si perde nelle tue acque.
Ho bisogno di affacciarmi alla vastità dei tuoi orizzonti liberi.
(Dalle “Poesie Tirreniche” del Capitano Leandro Alberici)
Lasciate le isole Canarie, la navigazione si preannunciava favorevole: secondo il nostromo, il vento diceva calma per un bel pezzo, lungo la rotta. Girolamo Solla detto il Balarìn, lui che il mare l’ aveva sempre vissuto affacciandovisi dalla salda placenta terrestre, si inoltrava ora in un mondo fatto di lontane strisce di costa, miriadi di uccelli sconosciuti, convogli di galeoni come paesi galleggianti, ma soprattutto di immensità acquee, in una fuga di onde all’ infinito; il mare, unico interlocutore del vento oceanico in quelle limpide notti, pezzo di universo che palpitava di una luce misteriosa e annullava i confini fra il cielo e la terra. Era parso, a Girolamo, di navigare verso le stelle, di avere cambiato pianeta, o forse la crosta terrestre era scomparsa col suo bagaglio di pene e dolori, infima zavorra risucchiata dalle profondità del cosmo.
Eppure, un anno prima , mentre, al seguito di una carovana risaliva la pista che portava al Passo del Creudo , mai avrebbe immaginato di trovarsi un giorno a bordo di un galeone spagnolo in rotta verso le Americhe…
Dalle alture del Creudo non si riusciva più a scorgere la distesa azzurra del Mar Ligure. Lo avevano perso dietro le nebbie vaganti e le emergenze rocciose di un crinale interminabile.
Il comandante Andrea Caravostassi diede l’ ordine di arrestare la colonna. Di lì la strada si inoltrava per un tracciato di saliscendi che in due giorni di cammino li avrebbe condotti alle Pietre Nere, dove li attendeva un drappello di armati per scortarli fino alle rive del Po. Frattanto però, le tre guide lombarde che facevano loro da battistrada erano scomparse alla vista da alcune ore, senza più dare notizia di sé, mentre si avvicinavano il confine e le selvagge montagne dell’ Oltregiogo, territorio percorso dalla banda del Carrettiere, feroce predone, nonché dalle infide milizie dei feudatari locali. Il carico, dieci sacche suddivise su cinque robusti muli, conteneva , nascosti fra mercanzie varie , oltre duemila pezzi d’ argento destinati ai Duchi di Mantova . Prima di raggiungere il valico, sul costone opposto della valle, erano comparsi due cavalieri che si muovevano nella stessa direzione della carovana, mantenendo uguale andatura. Vedendoli scomparire nel bosco, Caravostassi si era ulteriormente innervosito. “Che diavolo sarà successo a quei tre scomunicati ? - sbottò infine, rivolgendosi al luogotenente Roldano Foschi - Fra quante miglia vedremo finalmente spuntare le loro laide facce ?”
“Non capisco...Forse abbiamo sbagliato ad anticipare loro metà della somma pattuita…Bisognerebbe mandare un paio dei nostri a cercarli.”
“Possiamo occuparcene io e i miei bresciani, – azzardò il Balarìn, affiancatosi ai due.
“ Non se ne parla, gli uomini ci servono tutti , dal primo all’ultimo - tagliò corto Andrea- Non commettiamo imprudenze.”
In quel momento, i cavalieri avvistati poco prima, sbucarono sulla radura che delimitava il passo. Vestivano l ‘uniforme delle guardie genovesi e avanzavano lentamente verso il gruppo in sosta. “Ehi, laggiù - gridò il primo dei due, alzando il braccio destro - vi abbiamo visti arrivare. Da Genova ci hanno informati del vostro passaggio. Intanto, potete abbassare le armi… Siamo di pattuglia per la scorta alle carovane, domani vi possiamo accompagnare fino alla Torretta. “
“ Scusate, amico, ma questi non si direbbero paraggi rassicuranti. Le nostre guide, tre lombardi delle terre di Grevola, si sono allontanati da un pezzo e ancora non danno segno di vita… Dove si trova , cotesta… Torretta ? “
“ E’ il nostro presidio, sulla strada per Ponte Organasco. Il Carrettiere, sapete, quel brigante, è un pezzo che non si fa vivo, la banda è a corto di muli e di cavalli e sta cercando di procurarseli a buon mercato. C’ è chi giura che sia comparso in bassa Val Borbera, non lontano da qui, e le precauzioni non sono mai troppe...Dove siete diretti? ”
Fu Roldano a rispondere “ Intanto, eccovi le nostre credenziali e il salvacondotto. Dobbiamo raggiungere il territorio milanese, passeremo attraverso i Feudi di Grevola e Corana . Un ufficiale côrso di nostra fiducia, Licinio Aviani, ci attende con un drappello al confine delle terre di Grevola. Scorta e guide ce le ha procurate il capitano Sigala, anche lui da Corana. Il capoccia dei tre battistrada, lo chiamano il Varzese; possedeva qualche capo di bestiame che la moria gli ha ucciso, così racconta. Dice di aver fatto anche il marinaio, poi il guardiacaccia e davvero ha una mira infallibile. Ieri ha colpito una lepre in piena corsa, da cavallo e a non so a quanti passi. “
“ Il Varzese? Il nome mi dice qualcosa...Viaggia forse assieme a un tipo dal naso lungo lungo, che chiamano lo Sgnepa (=il beccaccino)?”
“ Proprio loro -assentì Andrea, sorpreso - ma come li conoscete? ”
“Ogni tanto passano da noi, sono sempre di corsa...Scusate, è meglio che ci presentiamo. Sono Tognin Baducco, capo-presidio e questo è il mio compagno, Arturo Cionca.” I genovesi smontarono di sella e trassero dalle bisacce due otri di vino, gallette e una grossa toma di formaggio. “ Gradite un boccone con noi, signori?”
I due ufficiali accettarono l ‘ invito, offrendo a loro volta olive, pane e vinsanto. Erano confusi e imbarazzati per via del loro stesso camuffamento e si chiedevano se davvero avrebbero potuto fidarsi di quelle guardie, vere o false che fossero, anche se la presenza vigile di otto soldati scelti li rassicurava.
“ Dite, siete forse fiorentini, signori ? - chiese Baducco - Parlate molto bene il toscano, sicuramente meglio di noi...”
“ No, veniamo dalle Romagne...Dovremo anche ridiscendere il Po ...” Andrea e Roldano si erano ormai abituati a dare quel tipo di risposte che, in fondo, evitava loro di mentire, almeno nel senso stretto della parola. Mentivano però in loro vece i contrassegni della dotazione e l’ abbigliamento indossato, da mercanti forestieri , così diverso dalle divise militari del Ducato di Mantova, nella cui armata i due romagnoli prestavano servizio, da cinque anni ormai. Ma erano in missione segreta, un incarico speciale, così aveva ribadito loro la Duchessa Anna Isabella, nessun altro avrebbe dovuto sapere che, in quella fredda primavera del 1688, una delegazione mantovana aveva raggiunto Genova sotto mentite spoglie...
“Dieci cavalieri per un convoglio di cinque muli , più due cavalli e due asini di scorta. - osservò il Cionca- Dovete averci qualcosa di prezioso, là dentro...”
“ Carta, amico mio- replicò spiccio Caravostassi , estraendo un blocco di fogli da una delle sacche- serve per fare i libri. Il futuro è dentro questo materiale...Sapete leggere, voi? “
“ Io, sì, un po’ ci riesco - ammise il milite, senza troppa convinzione - il guaio è che i caratteri della stampa sono diversi da un foglio all’ altro.”
Scendeva il buio e un vento freddo prese a soffiare dai crinali vicini. Foschi dette ordine di portarsi al riparo di un dosso per trascorrere la notte. Quattro sentinelle furono poste attorno al bivacco. I genovesi, intenti al governo dei cavalli, non badarono a quei preparativi un po’ troppo militareschi. Quella notte, Andrea non riuscì a prendere sonno. Si domandava cosa mai stesse accadendo , in che razza di pasticcio lo avessero ficcato la sua fedeltà alla Duchessa e l’amore per la di lei cugina, la bella Clarice Gonzaga di Vergara, e se ne sarebbero usciti vivi, da quelle tane di lupi.
All’ alba, la colonna si rimise in marcia . Baducco si portò subito al fianco di Foschi, mentre Cionca precedeva il convoglio di qualche centinaio di passi . Per un pezzo costeggiarono un massiccio di cime tondeggianti ancora coperte di neve, poi la pista prese a scendere e a inoltrarsi verso il fondovalle. Fra non molto, anche quelle nevi si sarebbero sciolte, alimentando le piene di primavera, pensò Andrea. Ricordava un episodio della sua infanzia, una passeggiata nelle campagne intorno a Ravenna, in una giornata ventosa di marzo. Quella volta, lui e sua madre si erano fermati a osservare la corrente del fiume Montone, insolitamente impetuosa, gonfia di onde e mulinelli. “Vengono da lontano, queste acque, da quei monti laggiù…” – gli aveva detto la mamma, indicandogli la barriera montuosa dell’ Appennino che si stagliava a chiudere l’ orizzonte, verso mezzogiorno. E lui si era immaginato di salirci, un giorno, lungo quelle strade polverose che si perdevano, serpeggiando, sulle propaggini collinari.
Ma non era il momento di evocare la Romagna. Senza parlare, Tognin indicò a Roldano una spianata a mezza costa, sopra di loro, dove, di lì a qualche istante, comparve il Cionca a cavallo, segnalando di proseguire. “E’ un posto ideale per gli agguati - disse finalmente il graduato- Meglio controllare a fondo. Dopo quel punto, la strada è bene in vista, c’ è meno pericolo.”
(continua)
Nella presente antologia è stata riportata solo la presentazione del romanzo.
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