Stefano Pasqual
LAGUNANDO 2020 > selezionati 2020
Nato a San Donà di Piave nel 1967, dove attualmente risiede, laureato in Giurisprudenza, svolge la professione di funzionario della Regione Veneto.
È volontario della Croce Rossa.
DESTINI SULLE RIVE DELLA LAGUNA
Il locale era vicino alla bocca di porto. Tavolini sparsi qua e là sotto gli ombrelloni, con una bella vista sul mare da una parte e sulla laguna dall’altra.
A quell’ora del pomeriggio c’era poca gente e soprattutto non c’era nessuno che andasse di fretta. Sandro si sedette e ordinò qualcosa al cameriere cortese.
Dal quel posto il panorama spaziava dalle isole fino alle montagne che si stagliavano sullo sfondo di un cielo limpido e terso.
Era un pomeriggio bellissimo. L’acqua brillava per i riflessi del sole. Una barca scivolava via lenta, con due pescatori a bordo. Distolse lo sguardo e ricominciò a pensare all’ultimo periodo della sua vita come gli capitava ormai sempre più spesso. Era più forte di lui, non riusciva a concentrarsi su qualcosa che fosse al di fuori delle sue vicende personali: altre persone, altre storie, in una parola il mondo. Il peso di quello che gli era capitato era troppo forte. Il suo matrimonio era finito dopo una lenta agonia, sbriciolato poco per volta.
Com’era cominciata?
Non se lo ricordava di preciso e questo era pazzesco perchè si trattava della vicenda più importante della sua vita. Non c’erano stati eventi memorabili, un prima e un dopo. Le cose erano scivolate giù in maniera impercettibile, ma inarrestabile. Semplicemente avevano scoperto di non avere più niente da dirsi a parte le solite banalità. Parlavano, ma non comunicavano. Alla fine le solite parole erano diventate un rito pesante e avevano preferito il silenzio.
Col tempo, per sfuggire a quella condizione imbarazzante in maniera insopportabile, ognuno si era costruito il proprio mondo, due mondi separati dentro a quattro pareti. Non erano riusciti a evitarlo e, forse, non ci avevano neppure provato veramente, come se fosse mancata la volontà, come se la noia e il senso di estraneità li avessero svuotati di energia. Era successo, punto e questo era un fatto. Alla fine era stata lei a voler chiudere, senza drammaticità, come se fosse stata una pratica da archiviare. Non avevano neppure litigato. Il modo perfetto per suggellare la fine di qualcosa che si era estinto senza scossoni, senza passioni.
Questi, da un po’, erano i suoi pensieri. In quel momento si sedette vicino un tizio di mezza età, brizzolato, con abbigliamento sportivo. Aveva un bel portamento, alto e longilineo, ma quando si tolse gli occhiali da sole comparve un viso triste con i lineamenti tirati. “Come va Alvise?” lo salutò il cameriere. Evidentemente si conoscevano. L’altro borbottò qualcosa tipo “Al solito” e cominciarono a chiacchierare.
Quando rimase solo Sandro lo osservò meglio. Lo incuriosì l’espressione fissa dei suoi occhi. Era chiaro che non prestava attenzione a quello che gli capitava intorno, la sua mente stava vagando dietro a qualcosa e a Sandro venne voglia di sapere cosa. Gli sarebbe piaciuto entrare nella mente delle persone, sapere cosa pensi il prossimo andando oltre le apparenze di tutti i giorni. Era sicuro che in tutti avrebbe trovato uno schermo di convenzioni a nascondere i reali intenti della gente, uno schermo impenetrabile anche agli amici, ai familiari e perfino agli affetti.
Pensò, però, a come sarebbe il mondo se si sapesse tutto degli altri in partenza, senza disvelamento, soprattutto nei rapporti affettivi. Rifletté e pensò che senza il senso del mistero, di quello che si nasconde dietro il volto di chi ti sta davanti, alla vita mancherebbe qualcosa. E poi, una conoscenza simile ci renderebbe veramente migliori? Certo, con la sua ex un potere del genere gli avrebbe fatto molto comodo, in particolare nelle situazioni in cui non riusciva a capire cosa diavolo volesse da lui. A mandarlo letteralmente in bestia era il suo rifiuto di dirgli chiaramente cosa si aspettasse. Quando le chiedeva di aiutarlo era il suo commento stizzito era sempre “Dovresti saperlo!”. L’avrebbe strozzata.
Il cameriere ritornò con l’ordinazione e si sedette al tavolino. “Alvise, vedrai che un lavoro lo trovi”. “Quale lavoro??” si riscosse l’altro. “Sono mesi che cerco, la risposta è sempre la stessa!”. L’amico lo soccorse “Ma tu hai esperienza, competenza, capacità e questo conta”. “Non conta nulla, invece. Mi frega l’età! L’età! A quarantacinque anni sei già fuori capisci? Fuori!”.
Si accese una sigaretta mentre l’altro rimaneva zitto “Prima di Natale ci hanno riuniti per farci gli auguri, i bastardi. Poi, durante le feste è girata la voce che non avrebbero riaperto e infatti dopo la Befana: sorpresa! Cancelli chiusi e saluti a tutti. Fuori, così, da un giorno all’altro e lo sapevano, lo sapevano quando ci hanno fatto gli auguri che eravamo fottuti, lo sapevano, ma come si fa Dio Santo, come si fa??....”. Seguì una bestemmia in falsetto. Riprese, avvilito “Dopo vent’anni di lavoro, gli ho dato il sangue a quei cancheri!” L’amico gli mise la mano sulla spalla.
Alvise sorseggiò il caffè, poi riprese “In giro chiedono gente molto giovane o extracomunitari, così li pagano poco e quando non occorrono più li mandano via con due pedate sui cojoni”. “E i sindacati?” “Ma quali sindacati, lì dentro nessuno aveva la tessera, era meglio per te”. Il cameriere sospirò “Dai mi informo, conosco gente, qui passano in tanti, metto in giro la voce e vedrai che qualcosa salta fuori”. “Grazie Gianni, ma non serve, non prendono uno dopo i quaranta e poi, adesso c’è anche la malattia” “Quando hai la prossima chemio?”.
Alla parola chemio Sandro rimase senza fiato. Avevano più o meno la stessa età e lui aveva sempre dato per scontata la buona salute. Finì la sua bibita e rimase a pensare: lui, un lavoro sicuro ce l’aveva e stava bene. Certo, la sua vita di coppia era finita, ma in giro c’era chi stava peggio. Questa considerazione se l’era sentita dire tante volte dai suoi amici quando si sfogava con loro e, onestamente, non gli sembrava un granchè: cosa c’è veramente dietro questo sollievo? La gioia inconfessabile nel trovare qualcuno più sfigato? Nobile consolazione. Meglio dire, allora, “potrebbe andarmi peggio”. E poi, cosa significa pensa a chi sta peggio di te? Che bisogna vergognarsi del proprio disagio perchè c’è sempre chi soffre di più? Si girò verso la laguna e immerse gli occhi in quello sfondo di acqua e di cielo.
La barca di prima passò di nuovo, lenta e silenziosa. Si stiracchiò. Una cosa gli sembrava indiscutibile: ad alcuni va tutto bene, altri, invece, sono bersagliati dalla malasorte e nessuno capisce il motivo, neppure i preti. Si concentrò su due signore ad un tavolino non lontano, ingioiellate e abbronzate che stavano parlando rumorosamente del loro prossimo viaggio in Kenya. Ecco: un altro mondo rispetto a quello di Alvise. Dove sta la giustizia?
Si guardò intorno: due ragazze stavano parlando di lavoro: una aveva problemi con il titolare, l’altra con il capufficio. Niente di nuovo sotto il sole. Poco più in là due studenti stavano discutendo di calcio chattando con il cellulare. Solite cose, alla loro età poi! Ordinò un’altra bibita.
Osservò due giovani che si erano seduti al tavolino di fianco. Due palestrati, coperti di tatuaggi e con il taglio dei capelli alla moda. Da quando avevano preso posto non avevano proferito parola riservando ogni attenzione al cellulare. Il futuro dei rapporti umani, pensò Sandro. A dire il vero, negli ultimi tempi con la sua ex non si scambiavano neppure il buongiorno buonasera.
A quel ricordo si rimangiò il pensiero. “Allora, come va il primo periodo da solo?” attaccò uno dopo aver appoggiato lo smartphone sul tavolino. “Non ci credo ancora che sia finita, adesso sono anch’io tra i separati”. Sandro aguzzò di colpo le orecchie. “Si, stavo male, si litigava sempre, però non sto bene neanche adesso. Sette anni sono tanti”. L’altro non si fece impressionare “Non sei ancora abituato, ti passerà. Volevi continuare così? Era insopportabile, l’ho sempre pensato ma non te l’ho mai detto perchè ti vedevo convinto”.
L’amico si agitò sulla sedia: “Negli ultimi tempi non ne potevo più, ma adesso ci sono momenti, quando torno in quel buco che ho trovato, alla sera, che mi viene un vuoto qui allo stomaco e per poco non piango”. “Dai, dai, dai! Quanto pensavi di andare avanti ancora?” si sentì incalzare impietosamente. “Lo so, ma adesso è tutto stravolto, non posso frequentare gli amici come prima, i familiari di lei neanche mi guardano più, anche i miei non hanno approvato, li ho delusi”. “Senti, non puoi stare con una persona solo perchè hai paura dei suoi o dei tuoi.
Che matrimonio sarebbe stato? Come quelli di una volta, cioè finchè morte non vi separi e poi non si parlavano per tutta una vita?”. “Hai ragione, hai ragione, la testa pensa così ma il resto va da un’altra parte”. L’altro non si lasciò scoraggiare” Senti, era solo questione di tempo, non c’era futuro. E’ inutile portare avanti una cosa che non funziona, si può tirare avanti ma, appunto, è un tirare avanti e a che prezzo? Se ci fosse scappato un figlio cosa avresti fatto, eh?
Prima o poi i nodi vengono al pettine ed è meglio fare chiarezza prima piuttosto che poi. Se aspetti diventa tutto più difficile”. A Sandro il neo separato sembrava Ralph Malph della serie TV Happy Days, con in più i tatuaggi e i capelli a piramide. Il “confessore”, invece, assomigliava a Chandler, della serie televisiva Friends, sempre con in più i tatuaggi e i capelli a piramide. Ralph domandò: “Quando è toccato a te come hai fatto?”.
Chandler partì senza incertezze: “La prima cosa che ho provato è stato uno strappo, dopo, però, mi sono sentito sollevato e questo mi ha convinto che stavo facendo la cosa giusta. Ho provato una specie di esaltazione, potevo scegliere, ero libero, capisci? Invece di marcire in una relazione che non portava da nessuna parte avevo di nuovo tutta la vita davanti. Ho avuto momenti brutti, mi sono venuti in mente i bei ricordi.
E’ stato un fallimento, è chiaro, mi sono chiesto dove avessi sbagliato, mi sono sentito una schifezza, ma la sensazione di poter ricominciare tutto daccapo è stata impagabile, una nuova ripartenza, capisci? E’ andata male, tutti prima o poi falliscono in qualcosa. Ho sofferto, ma ho vissuto e ho visto davanti un nuovo inizio, prospettive nuove!”. Sandro respirò a fondo. Le parole di Chandler lo avevano colpito. Rivisse il periodo successivo alla sua separazione: l’ansia di fronte all’irreparabile, i sensi di colpa, la considerazione di sè a pezzi, la vita da riorganizzare. Era entrato in un tunnel e lo aveva attraversato imbambolato, incapace di reagire. Ne era uscito solo in parte e comunque piegato, privo di slanci verso il futuro. Aveva preso la fine del suo matrimonio come qualcosa che avrebbe segnato in peggio il resto della sua vita. Era continuamente preso dal pensiero di quel fallimento, con la testa sempre rivolta all’indietro.
Quelle parole gli avevano dato una sferzata di energia, gli avevano fatto vedere le cose in un altro modo: rimuginare non sarebbe servito a cambiare il passato ma avrebbe avuto il potere di rovinargli il presente e soprattutto il futuro. Qualche pensiero simile gli era già venuto, per la verità, ma sentirlo dire da un altro aveva avuto un effetto completamente diverso. Doveva smettere di pensare come Ralph. Se ce l’aveva fatta il ragazzone con i tatuaggi poteva farcela anche lui.
Si rilassò, provando una sensazione di sollievo. Guardò il mare e poi la laguna, lì da secoli, placida e sonnacchiosa. Gli venne in mente, chissà perchè, il titolo di un libro di uno scrittore inglese, Archibald Cronin, letto tantissimo tempo prima “E le stelle stanno a guardare”.
Ritornò con la mente alla sua vicenda. Una cosa aveva cominciato a pesargli: non avere avuto un figlio. Lo consolava il pensiero che forse era meglio così, considerando il finale. Dato che per lungo tempo la cosa non lo aveva angustiato si interrogava spesso sulla vera natura di questo rimpianto.
A dire il vero il desiderio si era fatto strada da quando aveva preso coscienza della sua vulnerabilità. Passata la quarantina si era “accorto” che malattie e disgrazie colpivano anche gente non anziana. Una vicina di casa si era ammalata e non era più autosufficiente, per sua fortuna aveva due figli che abitavano vicini e si prendevano cura di lei. Ecco, chi si sarebbe preso cura di lui da vecchio? O se avesse avuto una malattia grave prima di diventarlo? Bevve un sorso. No, messa così non sarebbe stata una paternità disinteressata. Ma quante lo sono veramente?
C’è chi vede nel figlio un surrogato di immortalità. Oppure un mezzo per conseguire traguardi che non era riuscito a raggiungere, col risultato di caricare il figlio di aspettative e guai a deluderle. Sì, dietro le parole amore paterno o materno possono nascondersi tante cose e non tutte c’entrano con l’amore. Forse un figlio avrebbe dato un senso alla sua vita che ora sentiva così vuota. Chissà.
Una cosa era certa: probabilmente si sarebbe trovato solo nel periodo più brutto della vita. In quel momento si avvicinò una signora, piuttosto in là con gli anni. Si guardò intorno per cercare un posto perchè il locale si era riempito, poi si rivolse a Sandro e gli chiese timidamente se potesse sedersi. Il modo dimesso di presentarsi e gli occhi sfuggenti davano l’impressione di una persona che la vita l’aveva subita a bastonate. Sandro la invitò ad accomodarsi e lei lo ringraziò. “Sa, ogni volta che posso vengo qui, ad ammirare il mare e la laguna”. “Capisco, in effetti è un bel posto, soprattutto con giornate come questa”. “Lei è di qui?”. No, vengo da fuori provincia, oggi avevo un pomeriggio libero e così ne ho approffittato”. “Ha fatto bene, qui è possibile trovare un poco di tranquillità. E’così importante avere un poco di tranquillità, altrimenti si scoppia”, la voce si incrinò, abbassò la testa e per poco non si mise a piangere.
Sandro fu preso in contropiede:” Signora....” “Mi scusi, mi scusi, sono così imbarazzata, mi scusi ancora”. Prese il fazzoletto dalla borsa e si soffiò il naso “Sta bene? Le ordino qualcosa?” “Grazie, lei è così gentile”. Sandro chiamo il cameriere e ordinò un cappuccino. “Ha figli?”, riprese lei. “No, nessun figlio”. La Signora si mise a fissare la laguna e parlò di nuovo “Io due, uno è disabile mentale e vive con me. E’ violento, a volte ha scoppi di rabbia che non controlla e alza le mani. Poi beve e quando si ubriaca diventa molto cattivo. Ogni giorno che torno a casa ho paura perchè non so mai come si comporterà”. “E suo marito?” “Sono vedova da molti anni e i parenti sono lontani”.
Sandro si sporse verso di lei: “E l’altro figlio?” “Ha problemi di salute, oltre che di lavoro. E’ stato operato da poco e ho dovuto occuparmi di lui durante la convalescenza”. Arrivò il cappuccino. Ci fu una pausa. La Signora lo bevve molto lentamente, come se in quella lentezza cercasse una tregua da tutte le pene che la tormentavano.
Poi riprese “A volte non ce la faccio più. Se non ci fosse il figlio sarebbe tutta un’altra vita”. Sandro era commosso. Gli venne istintivo prenderle la mano. “E i servizi sociali?”. Lei sorrise debolmente “Ho insistito tanto, ma ho l’impressione che ormai mi considerino una rompiscatole. Non ho un buon rapporto con l’assistente”. Sandro respirò a fondo “Signora, se può esserle utile le posso dare l’indirizzo di un mio caro amico, uno psicologo veramente in gamba.
Ha lo studio proprio qui vicino. E’una brava persona, è vicino alla pensione, gli interessa solo aiutare la gente. Non le chiederà nulla”. Gli occhi di lei si illuminarono “Grazie, grazie!” gli disse infervorata stringendogli la mano “Grazie! Non so davvero come ringraziarla! Quando sono venuta qui ero così demoralizzata, è per questo che vengo qui, guardare il paesaggio mi calma un poco.
E’ stata una fortuna incontrarla. A volte, quando cammino per la strada con il magone e tra la gente che incontro non c’è nessuno che conosca la mia situazione mi sento veramente sola. E’ brutto, sa, sentirsi così soli”. Sandro stava per lacrimare. “Le ordino qualcosa altro, magari da mangiare?” le chiese per mettersi in salvo. “No, grazie, adesso devo andare, le ho rubato troppo tempo. Lei è così gentile”. Si alzò e si alzò pure lui per salutarla. Le passò un biglietto da visita. “Vada da quel mio amico, ci vada presto. Vedrà, le farà bene”. “Ci andrò senz’altro. Lei è una bella persona, che Dio la benedica”. “Grazie, spero di incontrarla e di avere buone notizie”.
La fissò mentre si allontanava e si sedette di nuovo. Elettroni, pensò, siamo elettroni che seguono la loro traiettoria. Sfioriamo gli altri senza intuire i loro drammi di cui, forse, non ci importa nulla distratti dai nostri obiettivi a volte così futili. “Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”. Era quasi il tramonto. Il grande disco si abbassava, splendido e maestoso. Cosa aveva fatto quella signora per meritarsi una vita così disgraziata? Nulla, probabilmente. Allora perchè? Gli vennero in mente quelle parole così dure e sincere “ Se non ci fosse il figlio sarebbe tutta un’altra vita”.
Comparve di nuovo la barca con i due pescatori a bordo e sfilò davanti al locale, elegante e discreta. Si rilassò, svuotò la mente e lasciò che il paesaggio affondasse nei suoi occhi. Rimase così per molto tempo, senza pensare, registrando solo le sue sensazioni.
Ormai era sera. C’era poca gente ai tavolini. Si alzò, pagò e lentamente si diresse verso la macchina. Respirò l’aria a pieni polmoni. Era disteso. L’incontro con la signora lo aveva rasserenato.
Aiutare una persona in difficoltà lo aveva cambiato d’animo.
I soliti pensieri erano spariti. Non aveva una famiglia, un figlio, ma poteva sempre fare qualcosa per qualcuno. Il pensiero lo rinvigorì. Una nuova ripartenza, un nuovo inizio.
Salì in macchina, si guardò nello specchietto retrovisore, dentro gli occhi, dentro le pupille. Gli scappò un sorriso, per la prima volta da tanto tempo. Ingranò la marcia e accelerò.
Un nuovo inizio.
Una nuova ripartenza.