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Dante Carraro 2021
LAGUNANDO 2021 > selezionati 2021
Già presente edizione:
2020
2019



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RACCONTO
Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana dal 1982.
Accademico della Pontificia Accademia Tiberina delle Arti e delle Scienze dal 1992.
Medaglia d’oro nel 2010 per i servigi resi alla Comunità di Quarto d’Altino.
Medaglia d’oro per le opere pittorico-poetiche “Il Sile tra Natura e Arte” (2011) e “ALTINUM – La Ricerca” (2014), ricevute dal Presidente della Repubblica On. Giorgio Napolitano.
Sue liriche sono state tradotte in lingua giapponese e spagnola.
Bibliografia: 50 antologie nazionali, 8 sillogi, 37 premi nazionali, 7 premi internazionali, 7 premi per il vernacolo veneziano.
Premio speciale alla carriera ottenuto dalla Provincia Autonoma di Trento (2019).

LEGGERE LAGUNE
POESIE
Eccolo! il giorno nasce...


Eccolo! Il giorno
nasce / l’acqua
rimargina i confini della noia,
il riso del cielo
le carezze dell’aria
parole che non arrivano alle labbra
solo un alfabeto di silenzi
parlato con le dita
con gli occhi
con il corpo.

Qui, è il luogo chiaro. Non è più l’alba,
è già la giornata dei desideri inesprimibili.
Qui, e fino a sera. La rosa di ombre
si girerà sopra le acque. La rosa di ore
sfiorirà senza rumore.
Qui m’è caro tacere tuttalpiù riferire che io
quasi non mi sono mai allontanato da lei
e ogni giorno m’è nuova
ogni giorno mi sembra di non conoscerla,
di non amarla abbastanza.
Oh, la melodia!


Oh, la melodia! Leggeri fruscii
fra secche canne di giunco
e striduli richiami di garzette
di trampolieri e brevi tuffi di alzavole
risvegliano
la silente barena.
Mi piace quella sorpresa di vita
che mi coglie nel tragitto:
il volto allora muta.
Fenicotteri rosa e bianchi aironi
s’avventurano in volo,timidi aironi,
sottoriva, a planare vanno dolcemente.

Solitario, silenzioso,
dal “cason”, nel “ghebo”
la sua “batea” un pescator sospinge
per affondar le reti:
primi accenni, incantevoli tocchi
d’un risveglio nuovo
e pur così consueto,
antico.

Specchio - cielo...


Specchio - cielo
specchio - silenzio - Laguna.

Strega la Laguna,
strega la luce e lo spazio.

Soffi lievi
hanno le anfore sepolte,
rituali dell’antica Altinum,
adagiati sul fondo.
Dagli anfratti infule d’alga
si spandono ondeggiando.
I sensi ammaliati
captano antenne di seta.

Diafane luci
le corrono sul volto,
l’idea del Tempo immutabile.
Aperta sul tramonto


Aperta sul tramonto
ad infiniti simboli: le nubi,
il rifluire lento della luce
verso il disco del sole all’orizzonte,
il tramutarsi d’ogni cosa nota
in ignote presenze;
vi entra
lieve
il cielo a riposarsi
mentre s’adagia mollemente il Tempo
sull’ombra che risale dalla terra.

Ogni giorno a baciarla:
sonorità dell’acqua,
clangore delle vene e brivido
che corre sottopelle.
Qui sempre ritorno. Qui non servono illusioni.
Questa è la favola.
Questa è la veste acquamarina
dentro cui mi ravvolgo.
Nell’alveo della notte


Nell’alveo della notte
sto
come un’anfora baciata dall’onda.
M’inchioda
stanato
lo schianto
della mia nullità.

Da quella che pare solo acqua
più spesso che altri non pensi
ad incantare
voci ritornano.
ORTI DEI DOGI
RACCONTO
Voglia di raccontare





I

L’aria del mattino è tersa e pungente. Nella solitudine di Lio Piccolo si fa più penetrante il silenzio della laguna. Remi in acqua, il pescatore lascia la riva e s’avvia verso lo slargo lagunare.
Ed io sono qui, chi sono. Che faccio. Qual’è la mia verità. La tensione di poco fa è sparita, lasciando il posto alla vaga indefinibile ansia che mi coglie nel percepire fisicamente l’”Eternità”.
Che pace quaggiù. E’ uno sforzo agire, reagire, si è tentati di lasciarsi vivere, di lasciarsi andare. Questa natura intorno, così bella! E sentirsi un filo d’erba, un ciotolo della laguna, un brivido, un respiro, un nulla-all’unisono col Tutto, sparente nel ritmo della vita universale, senza confini tra l’una e l’altra forma, che s’alimentano a vicenda l’una nella morte dell’altra.
La morte. No, non esiste. Non esiste se l’individuo spezza i confini della propria prigione, travalicando se stesso. O se, coincidendo col proprio essere più profondo, coincide col Tutto.
Ecco, il capogiro!
L’indicibile è questo ritrovarsi, questo trasferirsi e riconoscersi in ogni cosa vivente, questo vertiginoso atto d’amore ch’è il rifondersi nella natura-uomini e sterpi e nuvole e stelle- nell’Uno-Tutto che è Dio.
Se è la mia morte che serve alla loro vita- se è il solo compito che mi si chiede di assolvere, ora... Figli, figli miei.
E sia.
Socchiudo gli occhi. Quanto tempo sono rimasto lì sulla riva, non ricordo più.
Il sole piega verso ocidente, ma non avverto più neanche il freddo. Forse sto sognando, è come se qualcuno mi staccasse da terra e mi portasse via... E qualcuno forse c’è veramente...
Lascio il pensiero scorrere come sulla superficie di uno specchio irreale- o di una laguna ghiacciata. E una marea di emozioni l’inonda, l’avvolge, la riempie, la scioglie, la persuade: emozioni visive stattili cenestetiche. Il sapore che circola vivo nelle vene.
Tutto è troppo bello, troppo confortevole, troppo perfetto.
Fra pochi giorni crederò d’aver sognato.
“La nota azzurra dell’anima” sta sospesa in una luminosità irreale, spazia a tutto campo, perchè la cattura delle sensazioni è quasi un gioco d’armonia e l’armonia si propaga nel clima puro della laguna, accendendo una carica dinamica e melodica che si libra nel cielo, come un pugno senza fine, trasferisce le nostre anime quelle gioiose note di vita che già hanno foderato la sua d’azzurro.

II

Se, raggiunto l’ultimo sentiero, dove la siepe ferma il mio cammino (di là interminati spazi), in fretta mi portassero quaggiù, in questo piccolo borgo, di muri assetati, fra i tamerigi, un poco timidi, uno spirito desolato non sarei.
A Lio Piccolo i muri si tengono per mano e scuotono i ciuffi d’erba nelle brecce, così fra solicello e ombrìa, goccia un po’ di festa sulle rughe grigiastre e sulle muffe.
E poi, in questa terra solitaria e nuda- ma non dischiusa, sembra, a quell’ignoto che temi e che respingi- si sentono, si cercano tra loro(come scolora ogni nostra memoria) quei volti, lontani i gesti ormai. Lontani quei volti quasi toccano un rivolo di luce che la brezza lagunare sospinge o il volto del meriggio ancora assorto dietro ai giuggioli, mentre il vento si leva e straccia i veli delle cose attorno.
E la terra è sabbiosa, vigorosa e quasi profumata, non pesa, né si sbornia d’acquerugiola e sempre dona un’ora inebriata di salso, di polline e di sole che intenerisce questa solitudine.
Certo le case abitate sono poche; ma c’è l’Aster, la Salicornia, il Limonium, lo Juncus.
Pur se la stagione è tutta nebbia e pioggia e l’ora frana dentro il vuoto muta, fra le fessure di quel sonno sbirciano gli spiriti la loro primavera: sulle isole e sino a Treporti lontano alita il sereno e le nuvole si sperdono in un frullo di aironi.

III

Io so che un giorno conoscerai quel vento che soffia sulla laguna e che si placa ai ghebi, in conche d’ombra, pullulanti paesi d’animali.
Nel grande flusso di quei suoni, o negli indugi, udrai forse un respiro, a volte un urlo, uno schianto di spazi. Ma tornerà la quiete a poco a poco per la delizia dei vicini passeri che rincorrono un sentiero tutto rovi e pozze salmastre in cerca di un rifugio tra le macchie. E finalmente il falco di palude scoprirai volare:dispare dietro i canneti, trascinando senza fatica in quel groviglio un mio inutile filosofare
Ti ingannerà la garzetta mattacchiona che un dì sorprese il mio meditare fra le braccia dell’erba maggiolina, e ti stordirà l’ansia dei pistilli o la rovente follia dei calabroni: quasi toccherai il segreto dei confini che fermano la corsa davanti alle acque.
Ed ecco: sarai stelo anche tu, il filo d’erba nella trama dell’arbusto che in penombra stormisce, come l’insetto nel suo viaggio incerto, la bacca amara pendula al meriggio o quella folaga in un regno d’insidie e di trastulli, come il frammento d’altri mondi che ardendo naufraga quaggiù.
E sarai luce, ti riassorbirà la luce e nel suo palpito che impercettibile declina, il suo pensiero si turberà, s’incrinerà l’esile ordito delle vene nude e conoscerai del battito il lento logorio.
Come il colchico a sera, stringerai i petali intorno alla tua pena: quasi dimenticando la temuta ombra.
Qui, sparpagliato per bizzarre vallette, ogni vivere muove in giorni lievitati d’eterno.
E ancora t’innamorerai di Lio Piccolo: la mia gemma rubina, bugno di pace dove stilla il miele delle ore più rare e la fame del sogno ritrova il suo piccolo paniere: reliquia di genti tutti raccolti in noi in questo cenacolo disadorno.
E se improvviso un vento che non sai squarcerà ed aprirà solchi e vuoto intorno, se travolgere ti sentirai risospinto da una oscura violenza sulla riva ormai deserta, dal profondo tu griderai, griderai se puoi giungere con ricomposta fiducia oltre le finite acque terrene, alla foce protesa di un immenso mare, termine lucente di una verità che non muta, là dove nasce l’evento, dove potrai riprendere la vita ch’era perduta.











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