Giacomo Giannecchini 2021
LAGUNANDO 2021 > selezionati 2021
Nato a Massa, scrivo e racconto da sempre, ma arrivo da una formazione cinematografica.
ORTI DEI DOGI
RACCONTO
La vita salva
Ti prego sentilo. Lo senti? Senti com’è forte!
Era un odore davvero forte quello che Angela metteva sotto il naso di Mario, in una tazza. L’odore del mosto. Quel profumo tanto intenso si dice che sia capace di ubriacare.
Mario non è che avesse molta voglia di assecondare gli entusiasmi tipici di Angela ma non poteva certo essere scorbutico. Come si fa all’alba ad essere scontrosi con una donna tanto bella e sorridente? Nella sua testa c’era già tutta la giornata lavorativa che lo aspettava, nelle ossa invece sentiva il mancato riposo della notte appena trascorsa passata a cercare di calmare il piccolo Bruno. Non era facile portare avanti una famiglia, con tre figli, in quei tempi così magri. Ma questo Angela sembrava non percepirlo. Lei lo baciò, bisbigliando parole dolci e rientrò in casa senza fare rumore.
Mario invece finì di allacciarsi gli scarponi, seduto a terra nell’aia davanti casa. Poi, facendosi coraggio, si alzò e si diresse verso mare.
Le pinete si susseguivano una dietro l’altra e le fronde degli alberi si stagliavano su un cielo ancora scuro. In quel silenzio profondo ed incantato gli parve di sentire il rumore del mare, nonostante fosse ancora molto distante. Tastando con la mano si assicurò di avere nella saccoccia della giubba quell’uovo sodo che gli aveva preparato Angela. C’era.
Quello era uno dei momenti della giornata che Mario preferiva: la sua camminata mattutina per andare a lavoro. Era un momento per rimanere con sé stesso, per non avere pressioni, per non dovere accontentare nessuno. Doveva solo camminare e godersi l’aria che lo circondava. Fino al mattino dopo non avrebbe avuto la possibilità di assaporare momenti di tale leggerezza. Più o meno ogni giorno cambiava posto di lavoro ma una passeggiata c’era sempre, fosse stato anche soltanto per raggiungere il magazzino del Genio Militare. Mario era uno sminatore e in quel periodo, a pochi mesi dalla fine della guerra, era considerato da tutti i contadini che affollavano i dintorni come un santo.
Aveva imparato il mestiere quando era stato spedito in Bosnia, con l’esercito. Da quelle parti i campi minati erano ovunque e se volevi sopravvivere era bene imparare alcune nozioni di base, anche se non facevi parte dell’unità di sminatori. Quelle poche nozioni lo interessarono e visto che il caporale maggiore siciliano che si occupava dell’addestramento di base ai campi minati lo aveva preso in simpatia, si decise a specializzarsi.
I campi minati sunnu comu i femmine
Diceva spesso, il caporale maggiore. Andavano trattati con delicatezza, riservandogli tutta l’attenzione di cui si è capaci, e bisognava capirli, ascoltarli. Alla fine, se si era stati bravi, si otteneva il premio finale: la vita salva.
Questo campo da sminare era un pezzo di terra buona proprio davanti ad una pineta, di proprietà di un fabbricante di tessuti. Il mare distava pochissimo, al massimo cento metri: eppure quella terra era buona anche da coltivare. Non era sabbiosa come quella della pineta di fronte. Il lavoro lo aveva già iniziato il giorno prima e non mancava poi molto.
Aveva picchettato bene, con bandiere bianche e bandiere rosse, tutta la zona e per il momento aveva trovato soltanto una 4531 tedesca. Non erano mine particolarmente difficili da trovare ma bisognava stare attenti con i trabocchetti per impedire il disinnesco. L’aveva scoperta lentamente e con molta delicatezza ed aveva anche trovato i fili che la collegavano al manico. Sarebbe bastato tentare di estrarla normalmente per saltare in aria. Non c’era mai da fidarsi dei tedeschi.
A mezzogiorno passava il camioncino della squadra a raccogliere tutte le mine trovate per disinnescarle o farle saltare. Le mine peggiori erano quelle di legno, dette antimagnetiche, perché erano più difficili da rilevare.
Rimaneva da verificare soltanto la zona a ridosso della recinzione, e non poteva essere che c’era solo una mina in tutto quel terreno. Lo schema con cui avevano minato il campo non avrebbe avuto senso. Probabilmente il circuito di mine proseguiva nel terreno a fianco: doveva riferire la cosa a Giovanni, il capo squadra.
Per sondare il terreno Mario utilizzava un vecchio fioretto da scherma che aveva trovato in una cantina vicino al porto. Era perfetto per sondare gli oggetti sotterrati senza fare troppa pressione. Ogni tanto, con gli altri della squadra, facevano delle tirate di scherma tutte da ridere.
Mentre in ginocchio aveva già ripreso a sondare il terreno con il suo fioretto, stava pensando che quel mese aveva già scoperto oltre 35 mine, seppure fossimo solo all’undici. Voleva dire trecentocinquanta lire in più oltre ai mille e cinquantanove mensili. Forse poteva comprare le scarpe a Renzo e Lina, i due figli più grandi.
Con la punta del fioretto trovò qualcosa di duro, poteva essere anche un sasso. Sfilò la punta e indagò il terreno da un altro punto e con un’altra angolazione: l’ostacolo c’era ed era piuttosto grande.
Si alzò in piedi, accese una sigaretta e valutò la posizione dell’oggetto misterioso rispetto all’altra mina che aveva trovato il giorno prima. Bisognava entrare nella testa del tedesco che aveva minato il campo: c’era sempre uno schema preciso, soprattutto perché serviva a chi le sotterrava per uscire dalla propria trappola velocemente. Si dice che ogni innescatore di mine abbia un suo schema che ripete preciso preciso in ogni campo minato.
Il giorno in cui saltò in aria Ivan, Mario era lì. A dieci metri da Ivan. Aveva sentito quel sordo clic. Un suono vuoto, metallico e prepotente. Tuttavia indifferente. Non c’era più tempo per nulla, non c’era spazio per discussioni. Clic e basta. L’intera squadra si mise a raccogliere i pezzi più grandi di Ivan e li misero insieme su un carretto. Portarono quel triste carico alla vedova che ancora non sapeva di esserlo.
Da quel giorno Mario divenne più concentrato, più attento, meno ragazzo e più uomo. Voleva bene ad Ivan e sentiva di assomigliargli. Soprattutto non sopportava l’idea di essere raccolto su uno schifoso carretto di legno.
La mina c’era. Bastava scoprirla un po’ e aspettare la squadra. Altre dieci lire. Erano solo le nove e mezza ed il lavoro della mattinata era già stabilito: scoprire la mina quanto possibile, aspettare la squadra con il furgone, portare via la mina e poi aspettare che il padrone del terreno portasse il pranzo.
Ora poteva sentire distintamente il mare. Ne riusciva a sentire il rumore e anche l’odore. Mario era cresciuto con i piedi nel bagnasciuga lanciando sassi tra le onde. Suo padre era un pescatore e seppure lui non abbia mai avuto nessuna passione per la pesca, il mare in qualche modo gli era entrato dentro. Era per lui tutto l’infinito. Quando si sentiva stanco, frustrato o semplicemente nervoso, se poteva, andava in spiaggia e tirava qualche sasso cercando di farli rimbalzare sulla superficie dell’acqua. Poi si accovacciava sulla rena e in meno di un’ora il nervoso spariva. Il mare lo guariva. Era come una sorta di fratello maggiore sempre pronto ad accoglierlo.
Anche Angela aveva lo stesso effetto. Il suo sorriso lo calmava, gli ridava energia e sicurezze. Era come il vento fresco e asciutto che a volte scorre nelle calde nottate estive: quel vento che ti rinfranca di tutta la giornata. Angela era un essere delicato, dolce e infantile. Secondo alcuni non era una donna da sposare perché non sapeva cucinare e a fare i lavori di casa non è mai stata capace. E’ distratta e le piace tanto dormire. A Mario non interessavano quelle cose. Angela era come il mare: che altro serviva?
Erano già le 11.45 e la bomba era quasi del tutto scoperta. Era una Schuh. Molto pericolosa perché rivestita di legno e bastavano tre chili per attivare il percussore. Poteva risultare piuttosto strano anche il fatto che ci fossero, nello stesso circuito, diversi tipi di bombe. Era un atteggiamento tipico degli ultimi giorni di guerra: mettere tutte le bombe di cui si disponeva a casaccio, in modo da far più danni possibili.
Due domeniche prima Mario, Angela, Renzo, Lina ed il piccolo Bruno erano andati proprio al mare, vicino alla foce del fiume. Era una mattinata di sole che nulla aveva da invidiare all’Estate da poco trascorsa. Renzo e Lina avevano giocato sugli scogli tutto il tempo con i granchi ed appena il piccolo Bruno si addormentò all’ombra di un cespuglio, Angela saltò addosso a Mario e prese a baciarlo con passione.
Se vai avanti così finisce che facciamo il quarto figlio.
Angela non lo ascoltò nemmeno e continuò a mordergli le labbra e a stringerlo forte a sé. Questo suo impeto lo faceva sentire amato e desiderato e per lui tutto il resto non contava. Sì è vero, con lei spesso si mangiavano piatti salati, bruciati, scotti… la casa, seppur piccola, raramente era in ordine. Ma quando lo abbracciava tutto il resto del mondo spariva. Quando lo guardava in una certa maniera… c’era poco da resisterle.
Mario si alzò, si appoggiò alla recinzione e si arrotolò un’altra sigaretta. Pensò forte ad Angela e sorrise. Da dove le veniva tutta quella energia positiva? Era come se per lei i giorni brutti non esistessero. Poteva fare la fame e tuttavia sorrideva, poteva essere vestita di uno straccio e sentirsi comunque felice, poteva non avere prospettive e continuava a voler fare l’amore. Anche la guerra sembrava non averla turbata affatto. Tutto ciò che non era passione e sentimento le scivolava addosso come fosse vento. Per questo l’amava.
La bomba oramai era piuttosto scoperta e non aveva senso andare avanti. Poteva mettersi tranquillo ad aspettare Giovanni e gli altri con il furgone e godersi quell’aria fresca e ricca di profumi. Ora sentiva forte il rumore del mare e all’improvviso sotto le narici sentì chiaramente l’odore del mosto.
Spostò un piede.