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Guido Vianello 2021
LAGUNANDO 2021 > selezionati 2021
Nato a Venezia nel 1953, abita a Mestre con la famiglia.
Oggi in pensione, ha lavorato come dirigente in una grande azienda di telecomunicazioni.
È laureato in giurisprudenza e nel 2015 è stato nominato Maestro del Lavoro della Repubblica Italiana.
Autore già presente edizione:
2020
2018
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RACCONTO
ORTI DEI DOGI
RACCONTO
Il tragitto







“Ha la borsa per trasportarla?” chiede l’impiegata.
La scatola bianca davanti a lei è alta una trentina di centimetri. Vi ha inserito l’urna sigillata e l’ha poi chiusa con mano sicura, applicando sul coperchio un’etichetta a fiori rosa e neri. Adesso, è in paziente attesa della risposta.
Ma l’uomo di mezza età, ritto oltre il bancone, sembra non aver colto il senso del quesito. Sta fissando la confezione, come fosse in stato di ipnosi. Si è rigirato tutta la notte paventando questo momento e adesso sembra incapace di accettarne l’evidenza: quel contenitore davanti a lui racchiude quanto resta di sua madre.
Con un sospiro, si impone di guardare altrove; l’ufficio “Cremazioni” è ospitato in un piccolo stabile, proprio accanto alle mura che circondano il cimitero di San Michele. Oltre la finestra, si scorgono mazzi variopinti sopra il banco del fioraio e lui lascia che la vividezza di quei colori mitighi la sua inquietudine.
Da vent’anni era inumata nel campo funebre; poi, gli avevano spiegato che la cremazione era la strada più semplice per trasferirla dal cimitero di Venezia a quello di Mestre, dove, nel frattempo, era stato sepolto papà.
Superando datate fissazioni classiche su Eroi, riti di seppellimento ed ingresso nell’Ade, alla fine si era deciso: “Per una questione di praticità” - aveva spiegato in famiglia - “sono il loro unico figlio e ci tengo a ricongiungerli, nel luogo più vicino a casa nostra”.
L’ufficio competente lo aveva avvisato che, dissotterrata la bara, sarebbe stato convocato nell’Isola dei Defunti, il giorno della cremazione. Vale a dire questa mattina.
“Sarà per dare l’ok alla traslazione delle ceneri” si era detto durante la nottata, ma la domanda che la donna ha ripetuto, gli è arrivata stavolta con chiarezza e sembra aprire uno scenario del tutto diverso.
“In che senso?” domanda infine, con aria preoccupata.
Lei gli posa davanti il certificato che ha estratto dal cassetto: “Non capiterà” spiega in tono rassicurante, “tuttavia, se, durante il tragitto, la Forza Pubblica le chiede informazioni, faccia vedere questo documento. Tenga… e non dimentichi, all’arrivo, di consegnarlo al nostro ufficio di destinazione” conclude.
Il frontespizio del foglio è inequivocabile: “Autorizzazione comunale al trasporto di urna cineraria”; negli spazi liberi, una penna ha riportato i suoi dati identificativi.
Percependo il suo sconcerto, la donna sente di dover argomentare: “E’ da tempo che seguiamo questa prassi” – aggiunge - “la legge lo consente e lo spostamento del defunto risulta in questo modo veloce ed economico”.
“Perderemo l’anima sull’altare della velocità e dell’economia” è tentato di commentare, ma invece annuisce, accennando un movimento del capo.
Piegatasi sotto il bancone, l’impiegata è ora riemersa con una borsa termica, di quelle che si usano per acquistare i prodotti surgelati; vi depone la scatola insieme al documento e, dopo aver chiuso i bottoncini di plastica, la porge al suo interlocutore, che la ritira con mosse esitanti.
“Inutile dirle di trattarla con cura durante il viaggio” continua lei; poi “mi raccomando, faccia attenzione soprattutto quando dal pontile salirà sul motoscafo!”.
Sono parole di congedo.
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Il mezzo pubblico sta filando verso l’approdo delle Fondamente Nove: la linea di navigazione “Cimitero” non è ad alta intensità turistica e a metà mattina, di giorno feriale, non ci trovi troppi passeggeri.
Ha potuto così salire a bordo con calma, tenendo ben saldo il manico del prezioso bagaglio. Sedutosi all’interno, ha deposto la borsa davanti a sé e ora la trattiene con i polpacci, proteggendola con delicata fermezza dalle oscillazioni del natante.
La Laguna scorre oltre il finestrino, le onde riflettono il grigiore del cielo e quel panorama familiare non gli è mai sembrato tanto tetro. Si rende conto che i suoi pensieri stanno cercando una qualunque via di fuga, continuano ad evitare di accostarsi alla situazione. Una silenziosa tristezza è l’unica reazione che riesce a produrre.
Una signora anziana siede accanto ad un bambino, il quale tiene lo sguardo incollato al suo gioco elettronico; non profferiscono parola: è verosimile che si tratti di nonna e nipote.
L’uomo guarda l’ora sul cellulare: ci vorrà una trentina di minuti per arrivare a Piazzale Roma e altrettanti perché il tram raggiunga il cimitero di Terraferma. Tempi che gli sembrano eterni.
Mentre l’imbarcazione si avvicina alla fermata, continua a pensare ad altro; cerca con gli occhi il punto sulla riva dove sorge la casa di Tiziano, le finestre dalle quali l’Artista, quando l’orizzonte era nitido, poteva osservare il profilo delle amate montagne cadorine.
È un subitaneo clamore di voci ad interrompere le sue divagazioni: una scolaresca, appena salita a bordo, si sta lanciando sui sedili ancora vuoti, saturando rapidamente, di corpi e rumore, la cabina dei passeggeri.
Quell’improvviso frastuono produce in lui un effetto inatteso: offre alla sua mente l’occasione per evadere decisamente nel ricordo, la trascina in un passato solo in apparenza rimosso.
Di colpo, non sta più su quel motoscafo, viaggia invece, in un luglio di tanti anni prima, sulla motonave diretta alle spiagge del Lido, confuso tra gente gioiosa e colorata.
Il bambino del giochetto elettronico indossa adesso pantaloni corti e maglietta a righe e tiene in mano un oggetto piatto e tondeggiante, nel quale infila un piccolo vinile, a quarantacinque giri.
Gira il mondo gira nello spazio senza fine, con gli amori appena nati, con gli amori già finiti…
Le note anni-Sessanta escono a tutto volume dal mangiadischi del ragazzino e invadono lo spazio intorno, mischiandosi alle chiacchiere spensierate dei passeggeri.
La rottura repentina della pesante monotonia sembra aver dato la stura alla sua immaginazione, quasi fosse dentro una sceneggiatura felliniana, dove la dimensione onirica prende il sopravvento, le persone diventano tipizzazioni curiose e la realtà viene trasfigurata in una sorprendente finzione circense.
In quella che è diventata una splendida giornata estiva, al posto dei rii occidentali di Cannaregio, il suo sguardo sta costeggiando la pineta dell’isola di Sant’Elena, propaggine estrema del Grande Pesce, allungato verso il mare.
Quando volge gli occhi, accanto c’è lei che gli sorride. Serra d’istinto le ginocchia per ancorarsi a quella sacca per surgelati, rimasta l’unico aggancio alla vita reale.
La vede reggere una borsa da mare, con i viveri e gli asciugamani: nei suoi occhi scorge una dolcezza perfino inconsueta.
La camicetta color carta da zucchero fa risaltare il castano scuro della capigliatura e insieme alla gonna, bianca a pallini blu, ne delinea il profilo, minuto e aggraziato, di madre quarantenne.
…con la gioia e col dolore della gente come me...
L’esecuzione dei violini è interrotta da una voce maschile, che proviene perentoria dall’area esterna del motoscafo: “Attenti al passo!”.
Il monito rituale, urlato dal marinaio, lo scuote; il sedile del bambino è vuoto, come quello della nonna, e il gruppo di ragazzini caotici si sta ora addossando alla scaletta d’uscita. La gente ha iniziato a scendere a terra.
“Anche noi siamo arrivati, dobbiamo andare, mamma!”. Si alza in fretta, reggendo forte la sua borsa.
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Il recinto numero otto sta di fianco alla chiesetta; è stato ricavato di recente e presenta larghi spazi da utilizzare. L’addetto alle sepolture sta finendo di intonacare la chiusura della nicchia e il silenzio del Camposanto rende più petulante lo strusciare della spatola sulla paretina di pietra. Tra qualche tempo sarà riaperta, per introdurre l’altra urna cineraria.
Nello scatolone-dei-ricordi, ha scelto una foto di vacanza: ritrae i suoi genitori che sorridono tra cime svettanti e la farà applicare al più presto sulla piastra del loro loculo.
Per il momento l’operazione è conclusa e il lavorante raccoglie i suoi attrezzi; lui può ora sistemare nel vaso le roselline gialle che ha appena acquistato. E finalmente pregare.
Avverte una grande spossatezza. Il tratto fino a Mestre è andato bene; durante la corsa del tram si è sentito di nuovo vitale, di umore buono. Era come se fosse di nuovo insieme a lei; le aveva molto parlato, raccontato della sua vita, pur rimanendo in silenzio, come quando ci capita di conversare con noi stessi. Adesso però gli sta uscendo la tensione della mattinata, desidera solo far ritorno a casa. Domani tornerà a visitarla.
Oltre il cancello del cimitero, di nuovo quel brano della sua infanzia gli torna in mente, carico di ricordi e nostalgia:
“Il mondo non si è fermato mai un momento, la notte insegue sempre il giorno ed il giorno verrà…”.
La melodia lo accompagna mentre raggiunge l’auto, nel parcheggio semideserto.
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