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Lorenzo Ratisti 2021
LAGUNANDO 2021 > selezionati 2021
Laureato in Scienze Politiche, lavora per l’ortopedia pratese, gestendone il negozio più interno della Don Gnocchi di Firenze.
Ho sempre amato scrivere, ma ho iniziato ad approfondire questa mia passione da pochi anni. È infatti del 2013 il mio primo racconto “Il fiume in casa”.
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RACCONTO
ORTI DEI DOGI
RACCONTO
STUPIDO RICCIO DI MARE




1  

Sono un vecchio lupo di mare, ormai prossimo agli ottanta. A dire la verità, sono probabilmente vicino alla fine dei miei giorni. Persino il ragno accasato nelle pieghe del tempo, ha ormai smesso di tessere la tela di rughe sul mio viso. Ma non me ne rammarico, perché vedete, ho vissuto veramente appieno ogni attimo di questa vita e adesso, dal letto di un piccolo ospedale di periferia, posso tranquillamente dire di essere un po’ stanco. Posso ritirarmi dalla scena senza rimpianti, sperando di non dover per forza aspettare che la malattia mi faccia soffrire più del necessario.  
Mio figlio è lontano, ancora non sa del mio ricovero.
Non abbiamo mai avuto un brutto rapporto, anche se difficilmente mi ricorderà come un padre modello. Per lui sono sempre stato come un simpatico amico con cui farsi quattro risate quando siamo insieme, ma di cui poi ci si dimentica per qualche mese (o anno).
Una telefonata ogni tanto per sapere le ultime novità.
“Papà, lo sai che tra un mese mi sposo?”.
“Che bello, sono contento Giacomo, e chi è la fortunata?”.
“Si chiama Eileen, è mezza cinese e mezza colombiana”.
“Oh santo cielo, sono convinto che sia uno schianto”.
“Se ce la fai a passare mi farebbe piacere, io abito sempre di là dal ponte di Brooklyn”.
“Hai detto fra un mese?”.
“Si, il 18 maggio”.  
“Farò il possibile”.
Poi ci andai davvero al suo matrimonio.  Nessuno se lo sarebbe aspettato, io per primo. Eileen era bella per davvero, e per poco non finii a letto con una delle sue zie. Che padre incorreggibile.
Lo rividi dopo circa un anno e mezzo in una prestigiosa galleria d’arte. Ancora New York, la mostra era la sua. Giacomo, “The Italian Tunick”, era finalmente riuscito ad esporre la propria collezione di enormi tele raffiguranti le installazioni fatte nel corso degli anni. Gruppi sconfinati di uomini e donne in pose audaci, incastonati alla perfezione all’interno di paesaggi estremi. Finalmente la mia sensibilità paterna, come il famoso cacciatorpediniere americano dell’esperimento Filadelfia, fu teletrasportata dal porto dell’ indifferenza, a quello dell’infinito orgoglio. Tutto mi apparve sorprendente e maledissi me stesso per non aver mai dato troppo credito alla sua passione. Caddi in preda alla sindrome di Stendhal, ondeggiando come un pezzo di legno su un mare agitato, di fronte alla foto scattata nel deserto della Namibia, che ritraeva centinaia di levigati maschi indigeni vestiti soltanto dei loro possenti muscoli e con in testa enormi parrucche di riccioli biondi. Erano così belli che per la prima ed unica volta in vita mia, cercai di immaginare come sarebbe stato fare sesso con un uomo. In realtà, avevo la risposta a portata di mano. Bastava infatti chiederlo a Jonathan, il giovane assistente di mio figlio, il ragazzo dall’abbigliamento stravagante e dall’incandescente ciuffo rosso, simile ad una tempesta solare, che di lì ad un anno l’ avrebbe rubato ad Eileen.
Ho viaggiato in ogni angolo del pianeta, incontrando artisti di ogni calibro e giacendo con donne di ogni etnia.
Molte delle esperienze che ho vissuto sono state stupefacenti, e le ricordo ancora oggi con ardore e nostalgia, avendone i particolari ben impressi nella memoria.
Per gli amici sono sempre stato come un libro aperto. Parole svolazzanti in aria, come foglie sospinte dalle folate di una passione mai doma.
Solo una storia me la sono sempre tenuta per me. Non l’ho mai condivisa con nessuno perché sarei passato per folle. Adesso però, prima che sia troppo tardi, ho deciso di raccontarla.
Naturalmente, non crederete ad una sola parola, ma vi posso assicurare che è la semplice verità.
Ho preso questa decisione ieri sera, dopo aver visto un servizio sportivo alla televisione. Ho ascoltato le parole del giornalista in apnea, dopodiché sono stato travolto da un’ondata di brividi che mi ha attraversato dalla nuca alla punta dei piedi, come uno sciame di vespe in fuga dall’incendio del proprio nido.
Nuria, l’astro nascente della pallavolo italiana, dopo la vittoria del campionato europeo contro la favorita Russia, ha dedicato l’impresa a Rolando, un vecchio pescatore ormai in pensione, e mostrato orgogliosa alle telecamere il tatuaggio raffigurante un pesciolino miope. Lei, unica sopravvissuta al naufragio di dieci anni prima, è per tutti la dimostrazione vivente di come anche il più infelice degli esseri umani, oppresso fin dalla nascita da un tragico destino creduto ineluttabile, possa emergere dalle macerie di un’esistenza fatta di pene infinite. La giovane ragazza, arrivata col padre da un paese dilaniato dalla guerra civile, nel quale alla sola età di dodici anni aveva già assistito a buona parte delle atrocità che l’uomo è in grado di perpetrare contro se stesso, è diventata un simbolo di integrazione fra i popoli. Un’ambasciatrice di pace sempre in giro per il mondo durante le poche pause che l’intensa attività sportiva le consente.
Per me è stata una rivelazione, il chiudersi di un cerchio. Col cuore incendiato e con  gli occhi azzurri di Nuria che dallo schermo del televisore sembravano guardare proprio me, ho iniziato a rincorrere a perdifiato i miei anni passati.
I ricordi dell’estate del Riccio mi hanno assalito scomposti, come falene impazzite per lo scoppio del lampione intorno al quale, notte dopo notte, volteggiavano instancabili. Finalmente ho dato un volto alla ragazza e al pescatore.
Al tempo non volli farlo perché ero troppo vigliacco, e sapevo che la scoperta della verità mi avrebbe costretto ad intervenire.
Ma non me la sentivo. Ero finalmente riuscito a rifugiarmi  in un placido e rassicurante mondo interiore, alla ricerca di una qualche forma di spiritualità.
Così lasciai perdere e cercai di dimenticare.
Quanto sono stato egoista, non riesco a farmene una ragione.
Adesso il tarlo del rimorso non mi fa dormire la notte, e a volte mi trovo costretto a combattere con tutte le forze, per sciogliere un nodo alla gola così stretto, da rendermi difficile persino parlare o deglutire.
Ma partiamo dall’inizio.

2

Prima di fare conoscenza con la mia malattia, quando ero ancora in grado di sparare qualche cartuccia, e a ragione mi ritenevo uno splendido settantenne, ho abitato per circa un anno e mezzo nella casa di un cacciatore sulla sommità di un’alta scogliera, formata da rocce stratificate venate di un tenue giallo ocra, da cui godevo di una magnifica vista su tutta la costa.
Scendendo una stretta e ripida rampa di scalini, arrivavo alla Reggia, la spiaggia più bella della zona. Una lunga distesa di finissima sabbia bianca perfetta per accogliere le schiene adagiate dei ragazzi in cerca di tintarella, adatta ai bambini per le loro costruzioni,  e capace di donare all’acqua quelle incantevoli tonalità di azzurro a cui Nettuno dona la vita suonando il suo magico pianoforte, in un tripudio caleidoscopico di rara bellezza.
Delimitata alle spalle da una corta ma fitta pineta, al cui interno, quando il sole è padrone del cielo, sembra di veder penetrare tante spade d’oro fra le fessure dei rami e delle foglie, la Reggia, non appena il tempo lo consente, è letteralmente presa d’assalto, ed ogni suo metro quadro diventa terreno di conquista.
Un vortice di corpi accaldati e scottati dal sole, di creme spalmate a piene mani, di costumi succinti, di braccia stiracchiate sugli asciugamani come code d’ iguane assonnate, di urla, di schizzi. Un caos assordante a cui non mi sono mai accostato, ma che spesso ho osservato dalla mia oasi di pace.
Un magma ribollente di varia umanità, luogo ideale per la vendetta del Riccio di mare.

3

Sul versante che guarda ad Est, quello dove abitavo io, la sabbia lascia controvoglia spazio ad una grande città sottomarina, le cui abitazioni sono costituite da scuri e taglienti scogli ricoperti da svariate specie di molluschi e ciuffi di alghe. Lì ci abitavano centinaia di ricci, appartenenti ad una Comunità molto coesa, da tempo ormai estinta. Per loro non era facile sopravvivere durante il periodo di pesca consentito, cioè fra Novembre e Maggio. Tutto ciò che potevano fare era rifugiarsi negli anfratti più nascosti ed irraggiungibili, e sperare che la buona sorte fosse dalla loro parte.
Durante il breve periodo trascorso nella casa del cacciatore, ho imparato su di essi cose che non troverete mai nei libri di biologia marina.
La mia presenza, fatta di discrete e poco invadenti immersioni, è stata da loro molto temuta i primi tempi. Poi, quando hanno capito che non avevo cattive intenzioni, mi hanno tollerato e considerato come un semplice osservatore delle loro abitudini, stranamente innocuo, a differenza dei miei simili.
A turno i Ricci Sentinella si allontanavano dagli scogli, spingendosi in luoghi pericolosi dove speravano di avvistare per tempo l’arrivo dei “mostri”. Se ciò accadeva, si stringevano fra loro incastrando come meglio potevano gli aculei. In tal modo segnalavano il pericolo a quelli che erano rimasti più indietro, i quali, a loro volta, replicavano il gesto, in una sorta di ben collaudata catena a distanza. Gli ultimi della fila, cercavano di tornare il più velocemente possibile alla Colonia per lanciare l’allarme.
Riccio Anziano era l’unico a conoscere la verità sulle creature provenienti dal “mondo di sole”. Era arrivato per miracolo alla veneranda età di otto anni, un privilegio davvero per pochi. Un giorno, da piccolo, era stato catturato e rigettato in acqua. Un trauma difficile da superare, ma niente in confronto a ciò a cui, inerme, era stato costretto ad assistere un anno più tardi, cioè Il brutale assassinio dei suoi genitori, schiacciati senza pietà con un sasso da un “giovane mostro”, il quale si era poi divertito a vedere i pesci accorrere frenetici per mangiarne la polpa. Da allora aveva insistito con tutte le forze per diventare una sentinella prima di averne l’età. Ci era riuscito, rivelandosi fra i più bravi.
A differenza di tutti gli altri, non si era però mai rassegnato a considerare quei feroci predatori dagli enormi occhi inespressivi, ineluttabili come le catastrofi naturali, ma aveva cercato di capire chi erano, da dove venivano, e perché traboccavano di un odio così profondo nei loro confronti.
Così si spinse sempre più avanti, ai margini del proprio mondo, danzando pericolosamente sulla linea di confine tracciata da un Dio Creatore fra specie e livelli di coscienza diversi, e riuscendo ad ottenere risposta ad alcune delle domande che da sempre lo avevano assillato.
Adesso sapeva che fine facevano i ricci catturati. Gli “uomini”, così si chiamavano, semplicemente, se li mangiavano.
E ne apprezzavano in particolar modo le gonadi, ossia il loro apparato riproduttore. Quanto più queste erano mature, voluminose, e di un bel colore aranciato, tanto più provavano soddisfazione a sminuzzarle, scaldarle sul fuoco, e mescolarle con dei vermicelli di cui si nutrivano in abbondanza. E’ per questo che da piccolo era stato risparmiato e rigettato in acqua. La sua fortuna era stata quella di non aver ancora raggiunto i 50 mm (aculei esclusi, naturalmente…).
Tutto questo avveniva per sfizio, non per necessità. E qui stava il nocciolo della questione, la cui comprensione, per quanto lacunosa, aveva fatto di Riccio Anziano l’unico Riccio Filosofo mai apparso sulla faccia della terra.
Nessuna specie marina ne uccideva e mangiava altre se non per sopravvivere.
E lo stesso comportamento regolava anche le relazioni fra gli esseri che abitavano in superficie. Solo gli “uomini” facevano eccezione. Un’eccezione mortale.
E quanto sarebbe rimasto sconvolto se fosse vissuto abbastanza per scoprire che le efferatezze da loro perpetrate nei confronti degli altri animali, non erano niente in confronto a ciò che erano capaci di fare ai loro stessi simili.
Riccio Anziano aveva riflettuto per mesi interi, ed infine aveva dismesso le vesti di Riccio Filosofo per indossare quelle di Riccio Vendicatore.
Visioni violente e sanguinarie proliferavano costantemente nel già fertile terreno della sua disperazione, come funghi velenosi cresciuti dopo una pioggia acida. Aveva architettato ogni tipo di piano, ma alla fine non era riuscito a metterne in pratica neppure uno.
Giunto ormai vecchio e sfinito a contare i giorni che lo separavano dal triste addio, aveva deciso di arrendersi. Ma proprio allora, del tutto casualmente, si era imbattuto in uno strano abitante delle profondità marine il quale, pur contro la propria volontà, sarebbe stato in grado di aiutarlo a mettere finalmente in pratica la sua terribile vendetta.


4

Si trattava di uno scheletro giunto nei pressi della Reggia verso la fine di Ottobre.
Non essendo il mare il suo ambiente naturale, si muoveva con lentezza surreale, come una mosca imprigionata nella melassa. Sulla parte inferiore del femore sinistro, e poco al di sopra di entrambi i gomiti, erano ben visibili delle profonde ammaccature, lugubri e mute testimonianze di una vita ormai lontana, che non lasciavano alcun dubbio su quanto questa fosse stata difficile.
Scheletro aveva piena coscienza di se stesso come (ex) essere umano, ma non ricordava chi era stato, dove aveva abitato, come era giunto fin lì.
E soprattutto, ignorava quella strana alchimia che gli permetteva di respirare sott’acqua senza polmoni, di vedere nitidamente da due orbite vuote, di pensare senza l’aiuto di un cervello.  Era anche in grado di provare, seppur attenuate, sensazioni fisiche come il dolore, il prurito, il freddo. Quest’ultimo, in particolare, non lo abbandonava mai, e l’aveva costretto a portare sempre con sé, uno sfilacciato maglioncino fatto di gusci di conchiglie ed alghe avvizzite, che dalle ossa si dipanavano come pigri serpenti marini.
Non dormiva mai e non ne sentiva il bisogno, ma all’incirca ogni tre o quattro giorni, rimaneva vittima dello strano fenomeno per cui, del tutto inavvertitamente, perdeva il controllo del proprio corpo e della propria mente. Durante questa sorta di improvviso blackout, fluttuava per ore trasportato dalla corrente, ed al suo risveglio, perduto qualsiasi punto di riferimento, si ritrovava ogni volta a muovere i primi passi con l’incertezza di un animale appena nato.  
Aveva dunque iniziato a mantenersi il più possibile su fondali rocciosi, ed a portare sempre con sé un pezzo di corda ricavato da una vecchia rete da pesca, con la quale si legava agli scogli non appena avvertiva i primi sintomi della perdita di conoscenza.
Il passaggio dallo stato di veglia a quello di catalessi era molto breve, non più di due minuti, ma sempre preceduto da un particolare sintomo. Ad ogni battito del cuore, il campo visivo si riempiva con l’immagine di due cerchi d’oro. All’inizio sfocati e  indefiniti, poi sempre più nitidi, ed infine accecanti come il fuoco. Era come se un proiettore difettoso venisse collegato col suo cranio, ed iniziasse a sparare fotogrammi sul fantasma del nervo ottico. Poi, all’improvviso, da qualche parte, scattava un interruttore e tutto si spengeva, tutta la fatica, tutta la tristezza, avevano finalmente fine. Ma solo fino al prossimo risveglio.
Durante queste ore di vuoto assoluto, dal pozzo profondo della memoria, dove regnava il buio più fitto, riaffioravano talvolta impercettibili frammenti di ricordi, simili a luminosi granelli di polvere intenti a fondersi fra loro per dar vita a sculture di luce raffiguranti oggetti e persone legate al suo passato. Una danza colorata che durava pochi secondi e poi si dissolveva nel vento dell’oblio.
Il giorno in cui Riccio Anziano lo aveva visto per la prima volta era stato molto faticoso. La Comunità si stava riorganizzando da un attacco improvviso sferrato nelle prime ore del mattino. Per fortuna si trattava di un sub non molto esperto, e le perdite erano state contenute. Ma la stagione di pesca era appena iniziata, e i prossimi mesi sarebbero stati durissimi. Dopo aver elogiato come sempre l’eroicità dei Ricci Sentinella, senza i quali in pochi anni, se non addirittura mesi, avrebbero rischiato l’estinzione, Riccio Anziano si era allontanato per rimanere un po’ da solo e, proprio mentre stava vagando triste e senza meta, perso nella voragine dei propri pensieri, si era imbattuto nella parodistica raffigurazione post-mortem di un uomo.
Da una cavità fra gli scogli spuntava una corda, alla cui estremità era legato per la caviglia uno scheletro.
La prima, istintiva sensazione di paura, era stata in breve sostituita da morbosa curiosità. Per lunghe ore era rimasto a contemplare quelle ossa incastonate fra loro in maniera così perfetta da infondergli un fascino tanto irresistibile quanto doloroso da ammettere.
Poi, prima di rintanarsi nel proprio nascondiglio per concedersi finalmente un po’ di riposo, lo aveva salutato scherzando: “Ciao amico, domani torno a trovarti. Mi raccomando non muoverti e, per favore, togliti di dosso quel ridicolo maglioncino di alghe”.
Non poté credere ai propri occhi quando vide Scheletro iniziare lentamente a rianimarsi e, con l’aiuto della corda che lo teneva legato per una caviglia, riuscire, dopo alcuni tentativi, a portarsi in posizione eretta. Uno sforzo apparentemente enorme, seguito da un gesto compiuto con la solennità di un guerriero che abbandona, dopo una sanguinosa battaglia, gli abiti di guerra. Si sfilò infatti, senza alcuna esitazione, il misero abito che malamente lo rivestiva, lasciando che fluttuasse lontano da sé. Poi rimase immobile di fronte a lui, le braccia abbandonate lungo il corpo, nell’esplicita attesa di un suo comando.
Riccio Anziano, superato lo sgomento iniziale, fu certo di averne compreso lo strano comportamento. Quello scheletro che si ergeva di fronte a lui con fare ossequioso, era imprigionato in una sorta di limbo, dal quale probabilmente stava cercando di liberarsi. Tuttavia, finché era in quello stato, poteva essere comandato a proprio piacimento.
Così si convinse che in qualche modo, non sapeva ancora come, lo avrebbe potuto sfruttare per compiere la vendetta che aspettava da tutta una vita.

5

Al suo risveglio, Scheletro si ritrovò a parlare con un riccio di mare. Sicuramente si trattava solo della sua mente che, nonostante l’assenza di circonvoluzioni cerebrali, era oltremodo attiva, e aveva addirittura iniziato a dialogare con se stessa.
Ma chissà… in quella seconda vita che con affanno e senza scopo portava avanti, tutto era possibile e, poco alla volta, si fece strada dentro di lui l’irragionevole convinzione che quel piccolo riccio non solo fosse reale, ma lo avrebbe anche potuto aiutare a svelare il mistero che si celava dietro la sua resurrezione.
Fu così che, fra loro, iniziò una strana amicizia ed io, che in quel periodo sorpresi sovente me stesso a dialogare con presenze incorporee come l’enorme testa di cervo appesa in soggiorno con i suoi inquietanti occhi dipinti nello stupore della morte, durante le immersioni, riuscii a comprenderne i dialoghi senza alcuno sforzo.
Un dono soprannaturale a cui non cercai di dare una spiegazione, e che negli anni successivi feci di tutto per dimenticare.
Un uomo tutto d’un pezzo come me avrebbe rischiato di annegare nei propri pensieri irrazionali, sopraffatto dalla rabbia per non aver mai imparato a nuotare in essi.

6

In un giorno di inizio Gennaio, quando le ombre della sera si erano già allungate e dietro di esse iniziavano a nascondersi gli spiriti guardiani della spiaggia, adagiato su uno scoglio appena sopra la superficie dell’acqua, Riccio Anziano stava osservando rapito quell’incantevole panorama ormai prossimo a sciogliersi nell’abbraccio delle tenebre.
Il suo ultimo inverno.
Quanta nostalgia sentiva dentro. Gli sarebbero mancate le grida dei gabbiani in lontananza, il picchiettio della pioggia, la schiuma delle onde, la sabbia e gli aghi di pino portati dal vento, gli occhi sempre un po’ stupiti dei pesci ed il loro continuo zigzagare, le luci in cima alla scogliera.
Mentre lottava con se stesso per non veder compromessa l’assoluta dedizione alla propria rabbia interiore, vide arrivare un anziano signore che camminava lentamente lungo il bagnasciuga. Indossava una giacca a vento blu troppo grande per la sua corporatura dentro la quale sembrava sprofondare, cappello e sciarpa di lana bianchi, ma niente scarpe. Procedeva a piedi nudi incurante della gelida temperatura dell’acqua. Un tipo curioso, con lunghi capelli bianchi raccolti in una coda ed una pelle irragionevolmente liscia per un uomo che dimostrava non meno di settant’anni.
Lo conosceva molto bene. Ultimamente si immergeva sempre più spesso fra gli scogli che ospitavano la Colonia.
Che strano, pure lui gli sarebbe mancato.
Quella sera sembrava completamente assorto nei propri pensieri, con l’aspetto di chi riflette molto intensamente ma con leggerezza di spirito. D’un tratto il suo mesto cammino fu interrotto da un piccolo frammento di vetro nascosto nella sabbia che, ignaro delle conseguenze, gli si conficcò in un piede. L’uomo si lasciò cadere dolcemente sulla sabbia umida e con calma lo estrasse dal tallone, accennando solo una leggera smorfia. Poi lo osservò con compassione, accarezzandolo delicatamente con entrambi i polpastrelli della mano destra. Scosse lievemente la testa e lo ingoiò. Quindi si rialzò e riprese il cammino come se niente fosse.
Riccio Anziano scivolò lentamente sott’acqua salutando gli spiriti.
Aveva visto nel futuro.

7

Il Piano era il seguente.
Aspettare con pazienza l’arrivo dell’estate e delle lunghe giornate di sole durante le quali la Reggia si sarebbe affollata sin dalle prime ore del mattino, ed ordinare a Scheletro, durante uno dei suoi blackout, di portare nella notte quanti più ricci poteva sulla spiaggia, per poi sotterrarli sotto pochi centimetri di sabbia, in modo da renderli invisibili agli ignari bagnanti.
Il giorno successivo avrebbe raccolto tutte le energie di cui ancora disponeva, per arrampicarsi fin dentro un anfratto della scogliera, da cui finalmente dare il Segnale.
Sarebbe stata una strage, il compimento della vendetta da lui tanto attesa, in un tripudio di urla e carne martoriata.
Ma col passare dei mesi, un’inattesa crescita di consapevolezza da parte di Scheletro, lo aveva gettato nello sconforto. Le ore durante le quali rimaneva in catalessi, si erano infatti ridotte sensibilmente, ed una volta sveglio ricordava sempre più particolari legati alla sua vita da essere umano.
Riccio Anziano ascoltava con attenzione i suoi racconti, fingendo un falso entusiasmo che in realtà nascondeva il timore che un vento caldo, pregno di antichi umori, iniziasse a soffiare diradando la foschia che avvolgeva il suo passato.
Era infatti certo che non appena Scheletro fosse riuscito a ricomporre i vari pezzi del puzzle, l’incantesimo che lo aveva riportato in vita sarebbe svanito. E con esso la possibilità di poterlo sfruttare per la propria vendetta.
Un giorno gli raccontò di aver intravisto per pochi istanti, una bambina dagli occhi azzurri e dalle guance impolverate, affacciata da uno sconnesso balcone di legno.
Il suo sorriso gareggiava con quello della bambola di pezza che teneva per una mano.
Qualche tempo più tardi, aveva avuto la netta sensazione di camminare lungo una via strettissima, sovrastata da un numero apparentemente infinito di panni stesi.
Una folata improvvisa di vento lo aveva fatto sobbalzare, e sopra di lui gli indumenti si erano trasformati in fantasmi benevoli, intenti a salutare con commozione le povere creature terrene.
E poi c’era l’ospedale.
Era così malridotto. Una persona a lui molto cara vi era ricoverata, ma non era in grado di dire chi fosse, perché ogni volta che ne oltrepassava l’ingresso, la testa iniziava a girargli così vorticosamente che le uniche cose che riusciva a distinguere, come guardando attraverso una lente sfocata, erano corridoi bassi e poco illuminati, camere dalle pareti scrostate e con troppi letti sistemati quasi alla rinfusa, e l’ombra furtiva di un’infermiera che, provando timidezza per la sua stessa bontà, portava di nascosto dei vasi di fiori, cercando di allietare un ambiente tanto triste.
Se questi ricordi recavano con sé un’aura di familiarità, lasciando in Scheletro sensazioni malinconiche ma non spiacevoli, con l’approssimarsi dell’estate altri affiorarono in superficie, ed erano oscuri e velenosi come presagi di lutti.
Vide più volte mani tozze e piene di calli affondare nell’acqua. Con energia.
Ma era notte, e non riusciva a distinguere cosa stessero afferrando.
Voci rabbiose portate dal vento gridavano: “… casa, casa”.
Inoltre i due cerchi d’oro che apparivano durante il passaggio dallo stato di veglia a quello di catalessi, avevano rivelato la propria natura. Si trattava di un mostro marino dai grandi occhi sporgenti. Quell’ orrenda creatura aveva un ruolo nella sua storia passata, tanto quanto la bambina affacciata al balcone, il vecchio ospedale, le mani immerse nell’acqua. Ancora gli era impossibile stabilire un nesso fra questi elementi, ma i primi sassi erano rotolati a valle, e fra non molto sarebbe iniziata la frana. Il bagliore accecante della comprensione sarebbe stato potente, improvviso ed inarrestabile.
Ma era ormai Agosto, e Riccio Anziano stava per parlare alla Comunità.

8

Giovane Riccio era pronto a partire.
Aveva salutato tutti, parenti ed amici, sapendo che non li avrebbe mai più rivisti.
Ciononostante era contento. Non aveva dubbi, né rimpianti.
E si sentiva onorato del fatto che, fra tanti, fosse stato scelto proprio lui per compiere l’azione suicida necessaria ad innescare il piano, studiato nei minimi dettagli, che avrebbe provocato una strage di mostri.
Come tutti gli abitanti della Colonia, aveva ascoltato il discorso di Riccio Anziano in religioso silenzio. L’unico suono udibile era quello della corda che sfregava sugli scogli. La corda, sempre più logora, che per l’ultima volta avrebbe legato Scheletro evitando che fosse portato via dalla corrente.
Una bandiera di ossa che sventolava nel blu scuro del mare, circondata e attraversata da una miriade di pesciolini in cerca continua di cibo.
Nessuno era intervenuto per fare un’osservazione, dare un suggerimento, esprimere una critica. Solo cieca ubbidienza, nonostante il numero spropositato di ricci chiamati ad immolarsi per riuscire a coprire di aculei l’intera spiaggia.
Un tributo altissimo da pagare che, secondo Riccio Anziano, avrebbe permesso ai pochi rimasti di vivere finalmente in pace, riprodursi, e dar vita ad una Comunità più forte e numerosa di quella attuale.
Naturalmente si trattava di un violento atto di forza fine a se stesso, di cui egli non era in grado di prevedere le gravi conseguenze, accecato com’era dal proprio ego, reso sempre più smisurato nello specchio deformante dell’irrealtà. Tutti speravano segretamente che alla fine avrebbe rinunciato, ma ormai aveva preso la sua decisione, e non sarebbe più tornato indietro. Il sotterramento sarebbe avvenuto durante la prossima catalessi di Scheletro. Ancora tre, massimo quattro giorni.
Da quel momento, un incombente presagio di morte aveva impregnato l’acqua e la sabbia, trasformando l’intera Colonia in un’ enorme polmone malato, in spasmodica attesa dell’urlo liberatorio prima della fine.


9

Era una notte incantevole. Il mare liscio come una tavola da surf, l’aria calda di agosto mitigata da una leggera brezza nata e cresciuta all’unisono coi sospiri di antichi marinai, umide telline affacciate dal proprio guscio, per ascoltare la flebile musica proveniente da un’imbarcazione ormeggiata ad una cinquantina di metri dalla riva.
“Hey Jude” dei Beatles accarezzava con le sue dolci note i corpi nudi di due ragazzi intenti a fare l’amore, sotto un cielo così stellato da sembrare un enorme mantello di velluto nero spruzzato con migliaia di diamanti.
D’un tratto Giovanni interruppe il proprio movimento di bacino, divenuto ormai frenetico in vista dell’orgasmo, e tese le orecchie in ascolto. Giulia lo supplicò di continuare, ma lui si era girato a guardare verso il bagnasciuga.
“Cosa c’è, hai sentito un rumore?”.
“Si, forse c’è qualcuno sulla spiaggia”.
“Può darsi, ma che t’importa, tanto non ci può mica vedere”.
La ragazza aveva ragione, eppure all’idea di essere spiata gli si era avvinghiata, se possibile, ancor più forte, stringendolo come farebbe un pitone con la preda, colma di eccitazione e calda come la febbre.
A Giovanni erano rimasti pochi secondi di pensiero lucido, durante i quali credette di scorgere un’esile figura che si muoveva furtiva vicino alla pineta. Ma ormai il tempo era scaduto, il desiderio e la passione avevano avuto il sopravvento, e così, mentre in silenzio gridava il proprio piacere, non si accorse di uno Scheletro che a fatica, ma con grande determinazione, si stava arrampicando su un albero per nascondere fra i rami un giovane riccio di mare.

10

Riguardo gli avvenimenti di cui vi sto raccontando, ho due grandi rimorsi ed un’oscura idea che sta lentamente facendosi strada dentro di me.
Il primo rimorso è quello di non aver impedito l’estinzione dell’intera comunità di ricci, con cui per tanti mesi ho condiviso una piacevole ed appagante intimità.
Alla fine anch’io mi sentivo parte di essa, avendo imparato a percepirne, attraverso i pori della pelle, tutto il coacervo di emozioni, le quali, come una muta, aderivano perfettamente al mio corpo.
Il breve periodo durante il quale ho abitato nella casa sulla scogliera, è stato l’unico della mia vita in cui ho sentito l’esigenza di starmene in disparte, e non partecipare all’incessante flusso del mondo. Ho trovato il tempo per fermarmi a riflettere su me stesso, sui miei errori, e su quanto velocemente mi stessi avvicinando alla linea del traguardo. Su quanto troppo velocemente lo stessi facendo.
Ma non credo di aver imparato granché.
Nei dieci anni successivi sono tornato quello di sempre, con tutti i miei difetti e alla costante ricerca di nuove sfide da affrontare, per paura che si offuscasse la lucentezza del sole che da sempre ha pulsato incandescente dentro di me.
Solo adesso mi sento nuovamente libero dal dover sempre gareggiare ed accelerare dopo ogni dannata curva. Adesso che la linea del traguardo la oltrepasso per davvero.
Ricordo con nostalgia quanto, durante quei giorni, la compagnia dei ricci sia stata per me come un balsamo purificatore. Eppure alla fine li ho condannai tutti a morte, decidendo di non interferire col piano del loro capo.
Ero troppo affascinato dalla sua intelligenza, e volevo vedere fino a che punto sarebbe riuscito ad opporsi all’Uomo. Riccio Anziano lo sapeva, ed anche per questo non era infastidito dalla mia presenza. Anzi, a volte penso che in qualche modo, non so come, l’idea per mettere in pratica la vendetta, gliel’abbia addirittura suggerita io.
Il secondo rimorso riguarda l’unica vittima umana causata dall’attacco dei ricci.
Attacco che, naturalmente, non provocò alcuna strage.
La maggior parte dei bagnanti si ritrovò con qualche aculeo conficcato nella pelle, e si poté facilmente curare con un paio di pinzette e dell’ acqua ossigenata.
In pochi casi si rese necessaria una visita al pronto soccorso per togliere le spine più profonde, e l’assunzione di antibiotici per evitare infezioni. Un anziano signore accusò nausea e lievi dolori al petto, ma fortunatamente si rivelò un falso allarme. Molti bambini piansero fino a rimanere senza fiato, ed i genitori si presero un bello spavento.
Soltanto per una giovane ragazza, quel giorno si trasformò in un vero incubo.
Mi ero svegliato alle prime luci dell’alba, col timore di esser diventato un vecchio pazzo ed aver immaginato tutto.
Ma la mia incontenibile eccitazione, accumulata in ore di spasmodica attesa, trovò finalmente sfogo nel momento in cui, seduto in giardino all’ombra di un grande pino  piegato dal vento, vidi, col binocolo comprato qualche anno prima ad un mercatino delle pulci, Riccio Anziano dare il segnale prestabilito, tuffandosi in acqua da un anfratto della scogliera.
Me ne vergogno, ma l’emozione fu così travolgente che a stento trattenni le lacrime.
Vidi Giovane Riccio, ormai allo stremo delle forze, lasciarsi cadere dall’albero sul quale l’aveva nascosto Scheletro durante la notte, ed infilzare, con sorprendente precisione, il prominente naso di un uomo sulla cinquantina, intento a sfuggire alla crescente calura del primo pomeriggio, che imprecò per quello che appariva come uno stupido scherzo da ragazzini, prima di frantumarlo con una pietra.
Vidi i ricci sotterrati che a macchia d’olio, a partire dal punto in cui era deceduto Giovane Riccio, cominciarono a spingersi in superficie e ad allungare gli aculei.
E poi…
E poi pensai che forse sarebbe tutto finito lì, con qualche urlo e qualche semplice puntura da medicare. Niente di così sorprendente e memorabile.
Perciò fu liberatorio, ma al contempo terrificante, quando l’apparentemente infinito urlo di una ragazza, deflagrò all’improvviso zittendo con violenza risate e schiamazzi.
Quel giorno Valentina avrebbe vinto il premio di ragazza più bella della spiaggia.
Aveva da poco fatto il bagno e l’acqua le continuava a gocciolare dai lunghi capelli neri. Rigagnoli argentati che scendevano lungo il collo e finivano la loro corsa abbracciando seni prosperosi, evidentemente compiaciuti di essere ammirati.
Quando l’urlo esplose, guardai col cuore in gola verso il campetto improvvisato di pallavolo, dove stava giocando con un gruppetto di coetanei.
Ed ecco che la vidi.
Si contorceva come una vampiressa trafitta dai raggi del sole, le mani indecise sul da farsi e, al posto dell’occhio destro, un enorme riccio nero.
I suoi amici sembravano legati da fili invisibili, incapaci a prestarle soccorso.
Così fu lei che, alla fine, ruppe gli indugi ed iniziò a correre scomposta, ma velocissima, verso la riva, il riccio sempre conficcato nell’occhio.  
Si tuffò in acqua soffocando l’urlo prolungato che l’aveva accompagnata fin lì.
Nel mare i capelli si schiusero come neri petali di un fiore selvaggio e velenoso, e quando il riccio affiorò in superficie, ne era impregnato del letale nettare rosso.
Valentina, a causa di una caduta accidentale mentre rincorreva il pallone, perse l’occhio e, insieme ad esso, la spensieratezza dei suoi 17 anni.
La polizia indagò sull’accaduto e venne ad interrogare anche me, ma non fui di grande aiuto. Non avevo visto né sentito niente di sospetto nei giorni precedenti.
La spiaggia fu chiusa per un paio di settimane e poi tutto tornò come prima.

11

Vi ho parlato di un’oscura idea che lentamente è cresciuta dentro di me.
Prima mi ha corteggiato, poi, constatando il mio rifiuto, mi ha intimidito, come una pistola che appoggia delicatamente le sue fredde labbra alla tempia. Quindi ho iniziato a cedere.
Ebbene sì, anch’io sto pensando ad una vendetta. Ne sento la necessità, credo sia l’unico modo per ritrovare un briciolo di pace interiore.
Quando la notte chiudo gli occhi per cercare di dormire, vedo Nuria insieme a Rolando il pescatore. Poi vengo risucchiato nel naufragio e credo di essere veramente su quella barca, le onde che mi frustano senza pietà fino a scaraventarmi in mare. Nel sonno cerco di proteggermi stringendo così forte le braccia al petto, da sembrare legato con una camicia di forza. Infine smetto di lottare e mi lascio annegare.
Il piano che ho in mente non è facile da organizzare, vista la mia condizione di infermo in un letto d’ ospedale. Ma sono un vecchio lupo di mare e, oltre ad aver incontrato artisti di ogni calibro e giaciuto con donne di ogni etnia, ho pure frequentato occasionalmente persone abituate a vivere come spettri ai margini della società.  Alcune davvero poco raccomandabili.

12

Svolta nelle indagini sul decesso di Rolando Morra, avvenuto il 14 Novembre scorso nel paese di Torre Marenga. Il sessantottenne pescatore in pensione, era stato colpito da una grave crisi respiratoria durante la notte. Quando l’ambulanza è giunta sul posto, per lui non c’era più niente da fare. Un decesso improvviso, avvenuto apparentemente per cause naturali. Ma i risultati dell’autopsia, resi noti nella tarda mattinata di Martedì, hanno rivelato nell’organismo ingenti tracce di veleno.
Trattasi di Lepido X, sostanza utilizzata nella preparazione di medicinali antinfiammatori, letale se ingerita anche in piccole dosi, che si ottiene da una specie alquanto rara di riccio di mare, il Lepidus Arboreo, presente soltanto in alcune isole del mar Egeo. Si è così fatta strada l’ipotesi del suicidio, anche se nessuno in paese sembra darvi credito. L’ex pescatore infatti, nonostante la non più giovane età, godeva ancora di ottima salute, e non perdeva occasione per mostrare con orgoglio  il suo carattere fiero ed esuberante, difficilmente identificabile col  presunto autore di un gesto estremo.
Agli inquirenti dunque, il compito di passare a setaccio ogni aspetto della sua vita privata, alla ricerca di possibili vendette, ritorsioni, o litigi su future eredità.
Ricordiamo che Morra era salito agli onori della cronaca dieci anni fa, quando aveva tratto in salvo l’allora dodicenne Nuria, dal naufragio di un barcone di disperati in fuga dalla Libia. La giovane ragazza è oggi la più grande promessa della pallavolo italiana, già protagonista pochi mesi fa, della conquista del titolo europeo.
Successo da lei dedicato proprio all’anziano pescatore.

13

Adesso sento di essere davvero ad un passo dalla fine.
La linea del traguardo, ricordate?
Si dice che nell’istante prima di morire, tutta la vita ci scorra davanti. Io non ne avrò bisogno, perché sono mesi che sto riavvolgendo il nastro.
Ma quando infine il momento arriverà, quale sarà l’ultima immagine che lambirà la  mia mente?
Ripenserò al mio primo, disastroso giorno di scuola, ai pochi baci ricevuti da mia madre, al momento in cui ho deciso di tagliare la lunga coda di capelli bianchi, alle rassicuranti carezze di Suor Monica, o alla nascita di mio figlio Giacomo?
Probabilmente nessuno di questi ricordi, pur essendo timbri indelebili stampati con forza sull’epidermide della mia esistenza, mi accompagnerà nel trapasso.
Temo che infatti me ne andrò con l’eco delle ultime parole che Riccio Anziano e Scheletro si dissero prima dell’addio. Parole che ho cucite a grandi lettere sulla tela della memoria. Perché vedete, ero lì con loro, come potevo mancare.

14

 “Come hai potuto farmi questo? Credevo fossimo amici, ed invece non ti è mai importato niente di me né del mio passato. Avevi pianificato tutto fin dal principio, aspettando con pazienza il momento più propizio per costringermi, contro la mia volontà, a mettere in pratica la tua folle vendetta”.
“E’ vero, ti ho usato per portare a termine il mio piano ma credimi, l’affetto che provo nei tuoi confronti è reale, e non può essere cancellato da ciò che ti ho obbligato a fare l’altra notte. Non avevo scelta, non avresti capito”.
“Nessuno sano di mente avrebbe capito. La rabbia ti ha reso cieco e spinto alla pazzia. Hai fatto morire inutilmente più di mezza Comunità, e i pochi rimasti non sopravviveranno alla prossima stagione di pesca. E’ possibile che neppure adesso ti rendi conto del tragico errore che hai commesso?”.
“Non è stato un errore. Adesso la spiaggia è deserta e non ci tornerà mai più nessuno. E’ vero, il sacrificio è stato enorme e siamo rimasti in pochi, ma finalmente liberi!”.
“Quanto sei stupido Riccio, fra un po’ tutto tornerà come prima, e sarei un cinico se ti augurassi di vivere abbastanza per rendertene conto”.
“Quello che dici non mi turba. Se sapessi di morire domattina, trascorrerei comunque la notte più serena della mia vita, convinto come sono di aver fatto la cosa giusta”.
“Basta, non ho più la forza di contraddirti. Né voglio continuare a giudicarti.
Il solo fatto di essere un mucchio d’ossa parlante, mi induce a credere nell’ esistenza di un’ Entità superiore, a cui forse un giorno dovrai render conto.  Adesso devo andare, sto per dissolvermi”.
“Aspetta, cosa stai dicendo?”.
“Guardami attentamente, non ti sei accorto di quanto le mie ossa si siano assottigliate? Se sfrego un piede o una mano ad uno scoglio, ne fuoriesce del pulviscolo”.
“E’ vero, questo vuol dire che…”.
“Si, adesso ricordo tutto”.
“Hai scoperto chi sei e da dove vieni?”.
“Ti interessa davvero saperlo?”.
“Certo, come puoi dubitarne? Ti prego, non andartene così”.
“Addio”.
“No per favore, dimmi cosa hai ricordato. Chi era ricoverato nell’ospedale?”.
“La mia dolce e sfortunata sorella. Ma adesso non mi va di parlarne”.
“E le voci sperdute nella notte cosa dicevano?”
“Tornatevene a casa maledetti, tornatevene a casa vostra”.
“Contro chi erano rivolte?”
“Contro dei poveri sventurati che, sorpresi in mare aperto da una violenta tempesta che ne aveva capovolto la barca, si erano ritrovati ad annaspare fra onde sempre più impetuose”.
“Il mostro marino era reale?”
“No, si trattava soltanto di un innocuo pesciolino rosso con grandi occhiali gialli, disegnato sulla fiancata di un peschereccio. E proprio da lì giungevano le grida dei pescatori che, armati di remi, ed anche a mani nude, colpivano con forza i naufraghi spingendoli più a fondo che potevano, fino a farli annegare.
C’erano anche delle donne. E dei bambini.
Io ero fra loro.
Ma il ricordo più nitido, che adesso mi permette di partire, è quello di una ragazza che veniva tratta fuori dall’acqua”.
“Lei dunque è stata salvata?”.
“Si, sono stati costretti dall’arrivo della guardia costiera”.
“E tu la conoscevi?”.
“Certo, lei è Nuria, mia figlia”.







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