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Nicolina Ros 2021
LAGUNANDO 2021 > selezionati 2021
E' nata a Sedegliano (UD)
A suo attivo vanta le pubblicazioni di: 12 Sillogi in lingua italiana e friulana - 125 Racconti - 27 Libri.
Riconoscimenti: In concorsi letterari in Italia e all’estero, ha ottenuto oltre ottocento riconoscimenti.
Nel 2008 ha avuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il riconoscimento per l’Opera “OPZIONE ITALIANI!” -
Nel 2017 ha avuto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il riconoscimento per l’opera “SENZA RITORNO”.
Già presente edizione:
2019



ORTI DEI DOGI
ROMANZO
L’ultimo prussiano






Le prime pagine del romanzo sembrano già soddisfare la curiosità del lettore che si abbandona ad una lettura semplice ed immediata, come se stesse ascoltando una favola di cui intuisce la trama, vittima dell’illusione di aver da subito compreso il tema del romanzo: l’epopea di una famiglia che scende dal cuore dell’Europa per giungere in un piccolo paese del Friuli. Già la scelta di questo itinerario, però, procura una prima piccola crepa nel quadro che l’immaginazione frettolosamente ha composto: il Friuli di fine ottocento come terra di immigrazione e non di emigrazione, come invece siamo abituati a sentire.
Tuttavia, è proseguendo con la lettura che si avverte una sorpresa crescente e ci si accorge che il romanzo si apre a tanti percorsi e vedute all’inizio non immaginate. Il punto di vista degli autori, come guidato da un obiettivo che alternativamente aumenta e diminuisce la propria distanza focale, avvicina alle vicende più intime dei personaggi per poi, allontanandosi, regalare viste più ampie. Si ha così l’occasione di capire come universale e particolare facciano parte della medesima scena, quella stessa che tutti noi calchiamo. Questo romanzo conferisce un respiro storico non solo alle vite dei suoi personaggi ma anche a quelle dei lettori e di almeno un paio di generazioni di loro antenati. Viene infatti rappresentato circa un secolo di vita che, in quanto  vissuto come declinazione del presente o come racconto dei propri padri, di solito non è percepito come una parte della grande storia. Da questo album di famiglia, invece, escono fotogrammi che immortalano un percorso compiuto dai suoi componenti ma che mostra a tutti che la storia privata attraversa ed è attraversata dalla storia universale. Il dissolvimento degli imperi europei, le guerre mondiali, i cambiamenti di costume e sociali, la trasformazione delle campagne con l’avvento della meccanizzazione, lo smembramento della famiglia patriarcale, la diffusione del benessere, la scolarizzazione si intrecciano con le semplici vicende private.
Scorrendo le immagini di questa storia familiare, che potrebbe essere quella del lettore e che in ogni modo diventa sua nell’immedesimazione procurata dalle immagini del romanzo, si ha la percezione che ciascuno di noi, anche inconsapevolmente, partecipa alla scrittura della storia universale.
E’ un viaggio alle proprie origini, dove tutto ha avuto inizio e dove poter trovare qualcosa di rivelatorio, qualcosa che va al di là delle apparenze e che può avvicinare al vero.
In questo pare esserci una morale secondo cui ciascuno deve compiere un percorso per capire qualcosa di se stesso e per farlo deve andare incontro a ciò che è stato. Anche se lo si può fare in compagnia o sotto la guida di chi ci ha preceduto, alla fine quello resta un cammino solitario, autonomo perché solo così potrà essere proficuo. In questo si realizza una sorta di paradosso per cui tanto più ci si immedesima, confronta e confonde con chi è venuto prima di noi tanti più si è in grado di auto determinarsi. Alla fine del romanzo sembra proprio affiorare questo, in un disorientante gioco di riflessi allo specchio di passato e futuro.
Un simbolo ricco di capacità suggestiva è il berretto da capostazione che porta con sé l’iconografia del treno, della ferrovia e di quello che essi potevano ancora significare negli anni cinquanta: la velocità, il progresso, la fantasia e quindi il sogno, il viaggio, la crescita. Il berretto da capostazione indossato dal piccolo Luigi nel contesto del gioco fa pensare alla Freccia Azzurra di Rodari e ad un avventurosa fuga verso la libertà; in questo caso la libertà dalle regole severe della famiglia, amata e rispettata ma spesso anche sentita come avara di attenzioni e di slanci emotivi. E’ in situazioni come queste, in cui c’è uno scarto tra il reale e il desiderato, che il bambino crea il proprio mondo immaginato e immaginifico dove, ribattezzandoli, trasforma in altro gli oggetti concreti che ha intorno, li muta in scenografia di un proprio spettacolo. Il castello dei vetri è una palestra dove esercitare la fantasia ma non semplicemente per evadere dal reale ma per anticipare il futuro, creare un tempo in cui essere già grandi, essere qualcosa d’altro. Magari più adulti e simili a qualcuno che ci è vicino e a cui si vuole assomigliare. In tutto questo si vede un percorso naturale in cui un bambino prima idealizza un adulto, che diventa un esempio e canone di virtù, e poi lo ridimensiona al rango di persona, con tutti i suoi limiti e difetti. Un’immagine ideale che si accende nella mente del bambino ed è spesso in grado, in modo salutare, di illuminarne e spronarne i passi; peraltro, altrettanto spesso e con un effetto ugualmente prezioso per quanto doloroso, è destinata a dissolversi con il tempo in quanto si tratta di un disegno infantile tracciato con strumenti troppo elementari per essere preciso e reale.
Questa è la rappresentazione che Luigi fa dello Zio Gigi, due attori sul cui asse gira molto del romanzo. Lo Zio Gigi è l’icona di molte cose, soprattutto di un’autorità familiare il cui ruolo, assunto per investitura e mai messo in discussione, alla fine viene meno per l’incapacità di trasformarsi, di cedere qualcosa di sé. La figura umana dello Zio Gigi è comunque ricca di altre suggestioni. Ad esempio è la descrizione di una sorta di espressività che emerge per difetto. Lo Zio Gigi, infatti, comunica attraverso una sorta di litote emotiva, si manifesta per il fatto di non aver espresso il proprio contrario. Si tratta di una di quelle persone che ti approvano se non ti disapprovano, ti sostengono se non ti contraddicono. Spesso è il vuoto del loro comportamento, l’assenza del gesto negativo a dire qualcosa di positivo. Persone per cui un elogio non si pronuncia; non si comprende se per vergogna, per paura di perdere autorevolezza oppure per perseguire un disegno pedagogico in cui far trovare a se stessi le proprie sicurezze e le proprie soddisfazioni. Nel romanzo c’è anche la descrizione di un percorso di crescita di un giovane, che si muove tra segnali da decifrare per riempiere il vuoto di parole.  

Il romanzo è anche molto fotografico e ricco di poesia che, probabilmente, raggiunge il suo massimo lirismo nel racconto del raccolto del grano. Leggendo quelle pagine si è avvolti dai suoni, dal clima e dai profumi del luogo, si è immersi nella scena, calati in una sorta di dipinto tridimensionale.  

L’ultimo messaggio sembra dedicato al nostro essere in relazione e continuità con chi ci ha preceduto. Una volta compreso che la nostra famiglia e i nostri antenati ci parlano, dicendo in tal modo qualcosa di noi, dobbiamo solo decidere se far finta di nulla oppure ascoltarli. Possiamo prendere, selezionare e usare quelle parole e cogliere così l’opportunità di fare delle nostre vite qualcosa di più di quello che sarebbero se restassero sorde a tutte quelle voci.   
Infine, un colpo di scena riporta la sensazione provata all’inizio del romanzo, l’impressione di aver ascoltato una favola che lascia sereni svelando il senso circolare delle nostre esistenze.

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