Vai ai contenuti
Piko Cordis 2021
LAGUNANDO 2021 > selezionati 2021
Piko Cordis, all’anagrafe Roberto Sospetti, nasce ad Ascoli Piceno il 4 luglio del 1968, con un vissuto di esperienze personali votati  alla ricerca di se stesso.
Portati a termine gli studi tecnici, prende coscienza di una volontà a conoscere il mondo a uscire fuori dalla sua città.
Si trasferisce per lavoro in Svizzera, a Londra e in altre parti d’Italia, mantenendo viva sempre la passione per una ricerca spirituale.
In Asia entra in contatto con il Buddismo e l’Induismo, trovando una riflessiva misura costruttiva, ma restando sempre nella sua dimensione Cattolica.
A suo attivo ha numerosissime pubblicazioni e premi letterari sia nazionali che internazionali.
SCARICA
RACCONTO
ORTI DEI DOGI
RACCONTO
L’irregolare






Lena era ferma, immobile davanti al quadro ultimato. Il cuore le batteva in petto all’impazzata perché finalmente poteva ammirarsi nel dipinto che la ritraeva nelle vesti della Madonna.
Il pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio l’aveva scelta per posare in un’opera che sapeva avrebbe destato le critiche dei ben pensanti, le invidie dei pittori e le risate sarcastiche del popolo.
Si avvicinava e allontanava dal dipinto per via di un leggero abbassamento di vista dovuto alle tante ore passate sui libri. La sua frequentazione con l’aristocrazia e l’alto clero le imponeva una cultura superiore alla media.
«Dunque sono così» esordì Lena ammirata dalla bellezza della madre di Gesù sulla tela.
Il pittore che era alle sue spalle la raggiunse sussurrandole ad uno orecchio: «In verità siete ancora più bella, ma mi sono trattenuto per un rigore cristiano».
Ma quel complimento non fermò i dubbi della giovane verso il suo galante estimatore.
«Lo sanno tutti che il quadro sarà posto sull’altare della cappella dei Palafrenieri Pontifici nella nuova Basilica di San Pietro in Vaticano in sostituzione del dipinto di Sant’Anna Metterza», puntualizzò la giovane con un piglio lezioso, «sarete oggetto di feroci critiche, siete pronto?»
All’ingenuità di Lena, Caravaggio sorrise.
«Come voi stessa potete ammirare, la Madonna sorregge il figlio suo nell’atto di schiacciare la testa del serpente nel ruolo salvifico di Cristo nella redenzione del peccato originale…»
«Questo lo vedo» lo sovrastò la giovane, interrompendo l’interpretazione del dipinto. «La Vergine Maria indossa un vestito elegante e discinto, è china e mostra un seno troppo prosperoso…»
«Dunque la madre di Gesù non è una donna?» controbatté Caravaggio interrompendo a sua volta Lena. «Anche lei ha allattato suo figlio, quindi ha il seno gonfio».
La giovane non paga continuò: «Ma Gesù in questo dipinto ha più di due anni, è già grande per essere allattato ed è troppo ignudo».
Sdegnato dalla critica, l’artista si ritrasse di un passo e azzittì con un gesto della mano la sua musa ispiratrice.
Rimasta muta, Lena riprese a osservare l’opera. Ammaliata dal naturalismo dei protagonisti, la giovane si lasciò catturare dalle forme tridimensionali dei corpi tanto evidenziati dall’illuminazione che ne sottolineava i volumi e li faceva emergere dal buio della scena. La luce radente fissata su specifiche porzioni della scena dipinta le donava un rilievo scultoreo. Rapita dall’emozione, provò a immaginare il dipinto già nella cappelletta esposta ai devoti e, in quello stesso momento comprese che il misticismo, da quel dipinto, era davvero troppo distante.
«In quanti avranno il coraggio di farsi il segno della croce e inginocchiarvisi a pregare?» si domandò Lena ad alta voce.
«Come dite?» chiese Caravaggio avendo udito le parole della giovane.
«Sono Maddalena Antognetti, figlia della famosa cortigiana Lucrezia e sorella di Amabilia due tra le puttane più note di Roma. A mia volta sono figlia d’arte e sono vostra amante da qualche tempo; tra i miei clienti più noti c’è stato il cardinale Alessandro Peretti Montalto, il monsignor Melchiorre Crescenzi e altri ecclesiastici ancora. L’imbarazzo di queste eminenze sarà tale che non si inchineranno mai a pregare davanti alle mie fattezze. E se anche lo facessero non sarebbero credibili agli occhi del popolo che conoscono la verità. C’è poi da dire che il Cristo ignudo è realmente mio figlio Paolo, concepito in una notte di passione con il galeotto viterbese Giulio Massino».
L’inconfutabile verità di Lena divertì Michelangelo Merisi, tanto da strappargli una risata spontanea.
«Io sono l’irregolare, il divergente dalla norma e dalla consuetudine comunemente rispettata», affermò compiaciuto l’uomo. «Nei miei motivi religiosi si distingue un realismo drammatico e sociale, poiché il divino si rivela negli umili, da loro traggo ispirazione. Rifiuto le convenzioni e punto al vero a discapito del bello, e in tanti mi apprezzano».
«Difatti avete dipinto Sant’Anna, la madre di Maria, con le fattezze della mia vicina di casa una vecchia infagottata decrepita segnata dal tempo e dalle sconfitte della vita» avvalorò Lena quasi con ribrezzo. «Per non parlare poi delle sue vesti cupe e dozzinali appropriate più a una stracciona che abita proprio qui sotto, al vicolo San Biagio».
«Proprio così» confermò Caravaggio rafforzando il sorriso ancora presente sul suo viso.
«Straccioni e vagabondi che papa Clemente VIII spedisce nelle galere».
«Amo le sfide» affermò sarcasticamente il pittore.
«Lo so, ed è per questo che mi piacete» confessò candidamente Lena ammorbidendo il tono con il quale aveva parlato sino a quel momento.
«Allora non avete che da dimostrarlo» disse ammiccante Caravaggio mostrando a Lena il giaciglio presente in un angolo appartato della stanza.


Nel grande camino ardeva un grosso ceppo che riscaldava tutta la stanza. Il tepore gradevole era di conforto ai due amanti che, sospesi dal desiderio appagato, si stavano godendo gli attimi dell’abbandono.
L’uno accanto all’altra, nel silenzio più completo, i due erano immersi nei loro pensieri. Caravaggio fissava il soffitto socchiudendo di tanto intanto gli occhi, mentre la sua amante tornava con lo sguardo al quadro che la ritraeva.
Alla luce delle candele la pelle madreperlacea di Lena sembrava brillare; irresistibilmente, la mano di Caravaggio scivolò a cercare la dolce curva del suo seno.
Un’onda rosa imbellettò il volto di lei che non riuscì a trattenere una risatina complice. Caravaggio allora la circondò con le braccia e Lena sentì il corpo fondersi al suo e non esisteva nient’altro che lui e il suo abbraccio, il suo odore.
«A cosa stavate pensando?» le chiese sussurrando Caravaggio.
«Al quadro» rispose lei in un sospiro sofferto.
«Peccato!» ribatté il pittore con in sensi in allerta.
«Mi piace posare per voi», confessò la giovane, «vedermi ritratta in un vostro dipinto mi esalta, ma in questa opera ci vedo qualcosa di perverso. Continuo a pensare che saremo oggetto di volgari calunnie».
Caravaggio sorrise e, gettando indietro la testa, diede in un piccolo riso acuto.
«È vero!» ammise lui, «il quadro nasconde diverse provocazioni e altrettante verità, ma non potrebbe essere diversamente, io sono Caravaggio».
«E io sempre Maddalena Antognetti» puntualizzò Lena. «Siamo due creature al di fuori dalla Grazia di Dio», continuò sentenziando lei. «Pecorelle smarrite nel vizio: clienti affezionati dell’osteria del Turchetto e di altre sudice bettole dove scorrono fiumi di vino; frequentatori della locanda della Serena e di altri bordelli carichi di cortigiane con i seni esibiti e ancheggi acrobatici, anime perse in torbide euforie in cieca fuga».
«E per amici osti litigiosi, briganti senza scrupoli e avanzi di galera della peggiore risma», aggiunse lui avendo smesso di sorridere e facendosi serio, quasi grave. «Ora basta, usatemi una cortesia, versatemi del vino».
Lena gli obbedì servizievole.
Vestita solo della sua elegante nudità, andò verso un piccolo tavolino. Da una caraffa in terracotta riempì un calice in peltro per poi bagnarsi appena le labbra. Sostando davanti al quadro, sorseggiò ancora il prezioso vino che al noto pittore veniva generosamente offerto dal marchese Vincenzo Giustiniani.
«Avete detto che nel quadro ci sono delle verità celate» riprese Lena dando le spalle a Caravaggio. «Di grazia, quali sono?»
Con un lungo sbuffo, quasi infastidito, il pittore prese a parlare: «Lo scandalo in questo quadro non sono i seni di Maria, in verità l’indecenza è il piede di Gesù sopra quello della madre che schiaccia la testa del serpente. Il gesto è la rappresentazione della disputa fra cattolici e protestanti sulla controversa interpretazione dell’Antico Testamento».
Una sorda inquietudine stringeva il cuore di Lena, la rivelazione di Caravaggio avrebbe coinvolto il Collegio Cardinalizio in un’accesa controversia arrivando sino al papa e rendendo impraticabile la sopravvivenza dell’opera in Vaticano.
«Quel sant’uomo del presbitero Filippo Neri aveva capito tutto di voi, quando vi ha definito due lupi che si sbranano a vicenda» confessò Lena abbassando gli occhi. «Vi divorate da solo dilaniando anche tutte noi che vi amiamo».
Sorpreso dall’affermazione, Caravaggio la raggiunse raccattando da terra per lui i calzoni e per la sua amante la sottoveste.
«Non sono mai stato una brava persona e mai lo sarò. Frequento cattive compagnie e conosco molto bene le carceri di Tor di Nona; le mie donne sono tutte lascive di una sfacciata bellezza che ritraggo come sante e madonne, ma lavoro per i nobili e per la Chiesa» razionalizzò il pittore. «A mio modo amo me stesso come anche voi signora, Annuccia e Fillide e, non credo di farvi del male».
«Voi mio signore non avete mai alzato le mani su di noi, ci avete sempre rispettate e ben pagate» confermò Lena pensando anche a Anna Bianchini e Fillide Melandroni, le altre due donne di malaffare. «Siete altresì generoso e ci state donando l’immortalità con la dignità di una Madonna».
«E allora gioite e non pensate più al quadro» disse Caravaggio scambiando uno sguardo da bambino bizzoso sul punto di riconciliarsi.


L’8 aprile 1606 con il cuore che gli batteva forte in gola, Caravaggio sentì tutta la pressione di una grande responsabilità; quel giorno finalmente una sua opera entrava di diritto nella sede universale della Chiesa Cattolica. Nella più grande delle basiliche papali, San Pietro, con i lavori che continuavano alacremente, la sua arte veniva definitivamente consacrata tra i grandi della storia. Quante volte era entrato in ammirazione di tutta quell’arte espressa sognando di potervi un giorno far parte. E quel dì era finalmente arrivato.
Con un elegante abito regalato da uno dei suoi mecenati, il cardinale Francesco Maria del Monte, il pittore entrò a San Pietro sentendo attorno a sé aleggiare l’aura di Bramante, di Raffaello Sanzio, del sommo Michelangelo Buonarroti e di tanti altri che conosceva benissimo.
Se avesse potuto avrebbe volato pur di non pestare con le sue calzature i preziosi marmi di porfido verde e rosso, di diaspro di Sicilia e rosa di Cottanello utilizzati nei mirabili giochi geometrici della pavimentazione.
Ridestato dalla ubriacatura dei tanti capolavori della basilica, Caravaggio si diresse trepidante verso la cappella dei Palafrenieri nella zona absidale dalla parte destra del transetto di Michelangelo. Lì avevano già trovato posto un centinaio di persone che non attendevano altro che il momento dell’inaugurazione del capolavoro.
In un’atmosfera umida, smorzata dal sentore della cera colata di una miriade di candele votive, con un gran sospiro Caravaggio raddrizzò le spalle e chiamò a raccolta le proprie forze.
Al cenno convenuto con il Diacono dei palafrenieri, il pittore con un energico scatto del braccio tolse il prezioso telo di raso bianco che copriva la tela.
La Madonna della Serpe si svelò agli occhi critici delle più alte cariche della Chiesa, la visione d’insieme dei personaggi rappresentati nel quadro generò sin da subito una reazione in tutti i porporati. Alcuni di loro abbassarono gli occhi in segno di rispetto, i restanti accusarono il colpo reagendo d’istinto: tossendo, sgranando gli occhi e la maggior parte di loro rimanendo senza fiato.
Alle spalle del clero, la nutrita rappresentanza della nobiltà romana, si comportò alla stessa maniera: uomini e donne diedero il via ad un chiacchiericcio scomposto che destò l’attenzione dei vertici della Confraternita Vaticana dei Palafrenieri. Gli impettiti dignitari pontifici, imbarazzati dalle reazioni di tutti gli astanti, rimasero silenziosi osservatori senza nemmeno tentare una qualsivoglia replica.
Il brusio perdurò per parecchio tempo, aumentando gradualmente sino a divenire un vociare quasi scortese. A quel punto, seppur imbarazzato, il Decano dei Palafrenieri decise di presentare l’opera e il suo autore.
Caravaggio parlò come se avesse intercettato i pensieri di tutti. Con una dialettica efficace andò a spiegare il quadro nella concretezza dei concetti, della sua idea del peccato originale che si fondeva con una tematica visionaria teologico-mistico. Passò poi a spiegare la luce plasmata nelle figure idealizzata nei forti contrasti dei chiari e degli scuri, delle ombre e delle tenebre.
Sul volto del pittore raggiava un sorriso affascinante, i suoi occhi brillavano di una luce intensa, alimentata dalla percezione di ogni singola emozione di tutte le persone presenti. Allo sdegno dei molti lui si mostrava fiero e vanitoso, al dileggio di altri esibiva la convinzione della propria superiorità e al disprezzo rispondeva con la spavalderia del talento.
La presentazione agli “eletti” terminò con il pettegolare di tutti mentre lasciavano il posto al popolino che curioso si accalcava oltre le barriere. All’apertura dei cancelli, l’esuberanza della gente comune destò l’attenzione dei prelati, uno in particolare, il cardinale di Como Tolomeo Gallio rimase per tutto il tempo a osservare attento gli sviluppi.
Accanto al Decano dei Palafrenieri, questi iniziò a commentare:
«Ditemi, siete fiero dell’opera di Caravaggio?» esordì l’ecclesiastico con un fare altezzoso.
«Vostra Eminenza, l’arte di Caravaggio è una sublime colorata creatività, lui stesso è un pittore realistico che convince la materia a farsi luce. Nelle sue immagini c’è la sua stessa natura».
«La prima virtù di un dipinto sacro è quella di ispirare devozione, impressionare nel disegno, generare mistero con i colori» affermò convinto il cardinale. «Nella sempiterna bellezza di Maria e dei santi, ardere di Spirito secondo l’insegnamento cristiano e mantenere l’adorazione» continuò il prelato aprendo platealmente la mano guantata verso i popolani che nel frattempo avevano iniziato a ridacchiare. «Evitare il pungolo della carne e le necessità dei sensi» concluse poi con un brutto ghigno che gli allungava gli angoli della bocca.
Il Decano rimase in ascolto senza proferire parola.
«Vogliate perdonare la mia curiosità, quanto vi è costato il quadro?» chiese il cardinale.
«Settanta scudi».
«Solo?» rimase stupito il prelato. «Caravaggio vi ha fatto un prezzo di favore, ma stando al risultato è un prezzo eccessivo».
Le persone intanto avevano preso a parlare ad alta voce, tant’è che il cardinale dovette riportare ordine facendo loro presente che quello era un altare consacrato. Il silenzio tornò molto lentamente, qualcuno si era permesso di ridere, qualcun altro di improvvisare un amen ironico.
«Sentito Decano?»
«Certo Eminenza» rispose questi cercando di ingoiare il disgusto.
«Se ridono oggi, figurarsi il resto degli altri giorni».
«Convengo».
«Come vedete la Basilica è ancora in costruzione e ritengo che questa cappella in special modo non sia stata ancora completata. Sarebbe opportuno che l’architetto Carlo Maderno si occupi personalmente della sua sistemazione rivedendo da domani stesso le dimensioni dell’altare» sentenziò il cardinale. «Magna est vis humanitatis».
Il Decano comprese molto bene le parole di Cicerone che aveva usato l’ecclesiastico “Grande è la forza della cortesia”, ma preso alla sprovvista gli rivolse un’ulteriore domanda.
«Dove volete che sistemi il dipinto?»
«Nella chiesa della vostra Confraternita andrà bene».
«Ma non è in basilica» quasi urlò il Decano, con un brivido doloroso che lo scosse dalla testa ai piedi, «così ci buttate fuori da San Pietro».
«So che non mi deluderete» ribatté il cardinale allontanandosi dalla bolgia che continuava a passarsi di bocca in bocca il nome di Lena, la cortigiana di Caravaggio.
Torna ai contenuti