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Serenella Galdiolo 2021
LAGUNANDO 2021 > selezionati 2021
Già presente edizione:
2020
2019


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RACCONTO
Impiegata da 30 anni presso una SPA, scrivo fin da bambina poesie, racconti, filastrocche.
Ho pubblicato due libri ironici sul rapporto di coppia e due di fiabe e filastrocche devoluti ad associazioni benefiche.
LEGGERE LAGUNE
POESIE
DANZA CON ME


Danza con me...

È la nostra canzone...

Dentro il tuo mondo fatato

sei di nuovo bambina...

tra magici castelli

e buio infinito...

sarò la tua musica...

Sei così bella...

come quel giorno

alla fermata del treno...

piccolo fiore sbocciato

tra il grigio delle fabbriche.

Sei lì...alla finestra...

I tuoi capelli d’argento

sfiorano le tue spalle gracili

mentre ti accarezzo le mani

per farti roteare.

Cerco il tuo sorriso...

quello di sempre...

Giochiamo ad essere felici...



Sei così buffa...

Coi calzettoni caldi e colorati

Il mio maglione, che indossi sempre..

Sa di buono...di casa...di te..

Ed io mi ci avvolgo la notte

mentre ti assopisci..

lo tengo stretto al cuore

e ritrovo la pace.

Alzi lo sguardo piano...tremante..

Mi osservi con sospetto...

Leggo la tua paura...

Smarrita dentro al tuo destino...

Poi,come per incanto...

appoggi il capo sulla mia spalla

canticchiando...

Chissà se nel tuo mondo

c’è spazio per amare...

smarrita tra fitte nebbie

di una radice avvinghiata alla terra...

Eppure la musica

di paure e  solitudini...

piccola gracile fata

tra le mie braccia.



Balla con me...

Ti ricordi la balera ad agosto?

Con le lucine colorate..

l’odore di salsedine...

il tuo prendisole giallo...

Dio com’eri bella..

Lo sei ora...

Lo sarai oltre la morte...

Passi lenti ed intensi...

come il nostro respiro...

Ti tengo le mani...

Le sfioro appena...

Voglio lasciarti la libertà

di decidere ancora

in quale mondo esistere..

Io ti terrò con la forza

rasserena il tuo animo perduto...

tra le mie braccia forti.

Ballerò per te

anche  quando la nostra canzone

sarà finita...

E  in  ogni stella...

In  ogni tramonto...

In ogni nuovo mattino...

ritroverò te

piccolo bocciolo di rosa

tra le spine aguzze

di una pazzia.
Radici


Le tue mani odorano di terra

madre di ogni seme proficuo

quando mi accarezzi ...

Tra le tue braccia ancora forti

sento scorrere la vita...

come sangue rosso vivo

che scorre fino al cuore

come un ruscello tra le rocce.

Seduto sotto il porticato

ascolti il silenzio...

Tra la vita rumorosa e ottusa

che non t’appartiene

senti l’aria fredda della sera

frusciare tra l’erba...

mentre il tramonto

profuma ancora di calicanto.

La tua pelle olivastra e rugosa...

la schiena piegata

dai lavori più umili...

più belli...più veri...

non temono né il sole cocente

né il gelo.

La meraviglia del creato t’accompagna

dai tuoi primi passi incerti...

plasmandoti come quell’albero

al di là della riva.

E come lui t’innalzi al cielo

ancora con occhi di bambino

incantato all’apparir delle stelle.

Non vi è alba che tu non abbia cercato

quando la nonna ti riscaldava il latte

e con un bacio leggero

ti avvolgeva col suo scialle di lana

per darti conforto.

Ti osservo con  la stessa meraviglia...

di quei paesaggi incantati

che mozzano il fiato.
Un’aura magica aleggia

sul tuo volto pacato..

Quella timidezza di chi ha chiesto

ma mai ha preteso

ti rende nobile.

La fontana di pietra zampilla..

I tuoi adorati compagni stanchi

accucciati ai tuoi piedi

sonnecchiano beati.

La tua giacca sgualcita

color della terra

consumata dagli  anni

ti copre con grazia...

e tu ne vai fiero.

Sei come la neve...

silenziosa e bellissima.

Come lei ...

ci hai avvolti e protetti

e nello stesso silenzio fatato

ti stai sciogliendo

a poco a poco...

senza disturbare.

Resterà solo l’amore profondo

come profonda  e grata è la terra

che ti ha dato tanto..

Mi manca il fiato...

E corro...

corro ad abbracciarti

NONNO...

con tutto l’amore che conosco..

quello che tu hai raccolto dal ramo

come un frutto maturo...

spezzato e condiviso...

perché anche io ne potessi godere.
Figlia mia


Figlia mia

Sei come l’acqua  limpida..

scorre tra le rocce...

si fa strada tra i crepacci

fino a disegnare

un solco profondo.

Sei inarrestabile...

Quel ruscello

così quieto e giocoso

ti porterà al fiume

poi...fino al mare...

lontano da me...

Ed io mi siederò sulla riva

piedi affondati nella sabbia

ad aspettarti...

mentre il sole

mi scalderà il cuore

come i tuoi sorrisi.

Figlia mia...

sei come un giunco...

ti innalzerai dall’acquitrino

e di piccoli fiori adornato

ti specchierai...

così esile , così forte...sarai

l’intreccio di mille destini

avvinghiati al tuo.

Ti rivedrò ninfea.

fiera ed elegante

avvolta da  tonde foglie

a forma di coppa...

t’innalzeranno dalla palude

e dal fango...

per splendere alla vita.

Figlia mia...

sei come una nuvola...

ogni giorno sarai diversa

un po’ buffa ma leggera..

pronta a volar via

con la brezza

che ti accompagnerà

ovunque tu vorrai.

E come la pioggia...

che bagna il terreno

e lo disseta...

tornerai da me...

per quell’ultimo abbraccio

che chiuderà con amore

il cerchio della vita.
Beffarda è la vita


Beffarda è la vita...

Ti viene a cercare

tra mille ed altri ancora

ti sceglie.

Lusinghiera t’accoglie

tra le sue forti braccia

e tu ti lasci accarezzare.

Bugiarda  è la vita...

che promette il cielo

e poi ti ributta nella terra...

là dove c’è la pioggia

e quel fango copiosamente ricopre

ogni speranza d’esser degno.

Sfrontata è la vita...

fin quasi insolente...

si nutre di  crude verità...

davanti ai tuoi occhi le pone

senza sconti.

Caparbia è la vita...

Ricopre la tua indole

malleabile come creta...

ti forgia e ti indurisce

tra mille crepe nascoste

si esalta

per averti dato tanto.

Dura è la vita....

come il marmo pregiato

si distingue...

levigandoti con dovizia

fino a creare

opere nuove.

Onesta è la vita...

giorno dopo giorno

si racconta

spogliandosi da ogni candore.

Giudice  è la vita...

Intreccia le anime...

le albe ed i tramonti

i giorni ed i luoghi...

poi

come un tornado

spazza via la certezza

lasciando tra gracili mani

solo ricordi.

Bella è la vita

Imprevedibile dama sfuggente

tra la nebbia d’autunno

magica stella

d’un firmamento d’anime.

Dolce è la vita

Sembra assopirsi...

quieta aspetta lì ad osservare...

quanto hai compreso d’essa.

E dalla stessa terra puoi risalire

In quel cielo infinito...

perché Lei ti ha dato le ali

ed ora puoi volare.

ORTI DEI DOGI
RACCONTO
DOVE NON PUO’ UN CORPO MALATO RIESCE IL CUORE







Il sole filtra appena in questo mezzogiorno d’estate, con tutta la forza che possiede, la stessa che mi ha trasmesso questo mare, il mio mare; questa piccola capanna di legno, lo steccato bianco e gli asciugamani appesi ad asciugare, ora è il mio angolo di pace.
Qui dimentico tutto, chi aveva promesso di amarmi, chi cerca di farlo solo alle sue condizioni; lascio fuori le abitudini e la frenesia di una vita qualunque, che non m’appartiene più.
Sento il chiacchiericcio dei ragazzi nascosti  tra gli alberi e la piscina, vista l’ora che impone la quiete e sorrido; mi conforta sapere che in questo piccolo villaggio dai colori pastello e dal profumo di salsedine regna l’allegria, un’oasi felice bizzarra e un pizzico disordinata, quel disordine sano, che non impone le regole ma le combatte. Non vi è capanna uguale all’altra ma un susseguirsi di colori e sfumature, agganciati a suoni, agganciati a volti, agganciati ad anime felici.
Chiudo gli occhi per assaporare l’attimo, riposo l’anima così colma che quasi trabocca.
Non ho nulla di così speciale qui, eppure non mi manca niente.
Questo profumo di libertà è intenso, m’inebria, vuotandomi la mente dal peso di un macigno, alleggerisce i miei passi, riscalda il cuore ferito e lo rinvigorisce.
Ho lasciato fuori il mio bagaglio di incertezze, di incomprensioni, di decisioni mai prese.
Mi osservo allo specchio, mi sento ancora bella a cinquant’anni, col mio costume azzurro, il prendisole di lino bianco ed un borsone di paglia pieno di sogni e di crema al cocco, la piega della bocca segna l’amarezza che ho dentro,  forse devo solamente  imparare a sorridere ancora.
Mi rigiro nel letto , mi guardo le mani; penso che la vita sia strana, non vi è più traccia della mia fede d’oro  da molti anni, non vi è nemmeno un nuovo pegno d’amore.
Abbiamo tutti bisogno di promesse, di traguardi, di condivisione, di un qualcosa di magico, che ci spogli dalle nostre paure e ci avvolga di luce nuova.
La mente lo dice al cuore, il cuore lo porta negli occhi, nelle mani,  nei gesti, nelle parole, una morbidezza che non provavamo, velluto su cui poggiare i nostri cocci senza farci male.
Ecco che suona il telefono, quella strana sensazione che mi perseguita dall’alba si fa più vivida.
E in un attimo, lungo quanto un’eternità, quella stessa sensazione di colpo si trasforma in parole: “sindrome autoimmune rara”, di quelle che nemmeno sapevi dai libri, che nemmeno avresti mai immaginato potesse riguardare te. “Febbre mediterranea ereditaria”, ecco spiegata la mia debolezza, le febbri periodiche,
Forse anche le sconfitte hanno pesato su questo corpo malato, togliendo ogni difesa così come al cuore.
Mi ritrovo in piedi, mi sento nuda, vulnerabile, ignara di mio figlio che mi chiama, sembra una voce lontana ed estranea, tanto che non l’ascolto.
E’ strana la vita, mentre passi il tempo a far progetti ti porta in tutt’altra direzione.
Mi son fatta strada con le unghie e con i denti, guadagnandomi ogni singola vittoria.
Anche le sconfitte le ho elaborate, non le posso accettare, questo no, ma le posso comprendere.
E sono arrivata fin qui, piena di lividi, con una valigia di cose frivole  dai colori accesi, due figli adolescenti ed un cappello di paglia sbarazzino.
I lividi si attenuano, soprattutto quelli dell’anima, me lo ripeto sempre, cambiano colore e come il rosso dipinto nell’acqua al tramonto, spariscono pian piano risucchiati dal cuore che ha bisogno di sognare ancora e, come per miracolo, ecco le stelle.
Sapevo farci i conti io con il mio passato,così determinata a riprendermi la mia vita, ad insegnare ad altre donne come me che essere felici è un diritto,  ora  invece non so che fare.
Non ho braccia a sostenermi, nessun conforto, nessuno a sussurrarmi “Ci sono io qui con te”.
Mi manca un amore così bello e prezioso, un amore che mi raccolga i capelli sotto quel buffo cappello e mi asciughi le lacrime che ora scorrono sul mio viso.
E’ ancora lo stesso attimo, quasi eterno, in cui conosco la bestia contro cui dovrò combattere, poi sento il fischio del treno che passa veloce dietro il campeggio, rassicurante normalità di  un giorno qualunque e ritrovo la realtà ad aspettarmi.
Alzo gli occhi, su sulla collina, un campo di girasoli mi appare, bello da togliere il fiato.
Li osservo con calma ogni mattino, mentre sopra il pane caldo e la marmellata di more  metto i riccioli di burro, un dolce ricordo di bambina, quando mio padre ci preparava  la colazione prima di andare in fabbrica a spaccarsi la schiena.
Rimanevo incantata anche allora quando, con mano ferma, creava quei bianchi ricci posandoli delicatamente sulle fette di pane, come petali di rosa, un tocco elegante in una vita di sacrifici.
Tanta maestria della natura va assaporata,  compresa.
Mi chiedo perché...
Chi poteva essere qui con me ha deciso di non farlo, come se la vita concedesse mille occasioni ancora.
Quanto sia beffarda, imprevedibile e ingrata, lo sento ora sulla mia pelle e glielo vorrei urlare con quanto fiato ho in gola.
Ma io ho scelto di essere comunque come quel fiore saggio che si rivolge sempre al sole, fermo nel suo stelo ad accoglierne tutto il calore, senza piegarsi.
Esco, senza capire, cercando lei, quella donna cocciuta e adorabile che mi ha accolta qui, come se ci conoscessimo da sempre.
Un caschetto nero alla moda, due occhi blu intensi, di chi ha lottato con la vita dal primo giorno, di chi ha perso molte battaglie, rialzandosi sempre;  nonna, sorella, amica, una boccata d’aria fresca.
La sua casupola è la più bella, con gli odori riposti sul balconcino, la tovaglia  a fiori svolazzante sul patio, fermata da un cestino di frutta fresca.
C’è profumo di caffè, il suo caffè cremoso, che ti porta a sederti con lei e rimanerci per ore: confidenze, risate, lacrime, ognuno porta qualcosa e ne ritorna appagato.
Oggi è lei il mio sole e, come il treno che è passato ancora una volta dietro di noi,  mi ricorda che siamo tutti vagoni pronti per unirsi in un unico viaggio e il mio sarà un nuovo viaggio, cominciato qui, ora.
Devo capire ancora una volta come ricominciare, mi serve nuova linfa e qui la trovo.
Riscopro, quasi li avessi dimenticati, i valori più belli, quelli che anche io possedevo ma tenevo rinchiusi tra risentimento e paura.
Mi sta accanto, mi accarezza, come una madre, mi guarda dritta in faccia dicendomi che scatenerà l’inferno per aiutarmi, poi, mi abbraccia forte.
Qui tutti mi conoscono,  dal mio primo timido passaggio  di cinque estati fa, madre sola col cuore spezzato.
Siamo come una grande famiglia, un po’ inusuale, di quelle famiglie male assortite eppure così ben riuscite.
Capisco di potercela fare solo quando apro il cuore e mi guardo attorno.
Mi soffermo ad osservare dal di fuori, fissando un quadro  colmo di sensazioni, di luci, di ombre, di sfumature e finalmente capisco.
Adele siede fuori dalla tenda osservando un marito malato ormai da troppo tempo, con riconoscenza assapora quei rari attimi di serenità rimasti...
Maria rincorre il figlio claudicante  dalla nascita, per sorreggerlo ad ogni suo vacillare.
Ognuno ha la sua croce, la porta con discrezione, ma io la percepisco, la faccio mia, la porto sopra le mie spalle per condividerne il peso e con un gesto d’affetto alleggerirla quell’attimo che basta a riprender fiato.
Ognuno ha la sua gioia, la porta con semplicità ed io posso ripartire,  dalla condivisione di una fetta di cocomero succoso, di due risate, di un aperitivo coi piedi nell’acqua mentre il sole si tuffa nel mare.
E quel viale alberato si riempie di me, delle mie sensazioni, di calore, di parole buone, balsamo per il mio tormento, che scaldano più di un fuoco acceso nel camino, non vi è commiserazione, solo il desiderio di infondermi coraggio, di esserci .
Un viaggio può essere tortuoso, solitario, ma sono piccole soste in cui ritrovi la quiete ed il coraggio a fare la differenza, perché chi incontrerai segnerà il tuo cammino, nel bene e nel male, fino alla fine.
Io e questa malattia  ora ci stiamo osservando, come si scrutano due perfetti estranei in cerca di un equilibrio, quel punto d’incontro utile per affrontare gli eventi.
Ma il mare non aspetta, le onde riportano a riva migliaia di conchiglie e piccoli sassolini colorati.
Ed io cammino, cammino molto, approfittando della sua silenziosa compagnia, il mare non tradisce e ad ogni stagione, ti osserva, ti culla, ti forgia; ovunque tu andrai sarà lì ad aspettarti.
All’alba riesco a respirare, sento che sono ancora io, che posso ancora mettere un piede avanti all’altro,  combatterò la debolezza, il tremolio, quell’arrancare per non cadere, me lo devo.
Il vento leggero e fresco mi entra nella pelle; mi avvolgo nel mio  maglione di lana, un caldo abbraccio che mi rinfranca.
I gabbiani si staccano dalla riva, pronti a ripartire, dietro un cielo azzurro spruzzato di bianco.
Qualcuno tentenna, forse è già stanco, forse è ferito, forse non sa quale compagno seguire, poi tutti si alzano in volo, nessuno escluso, prima che si alzi il sole.
Ci ritorno al tramonto fra quelle dune, ancora a piedi scalzi, per sentire la più bella delle sensazioni, la sabbia tiepida sotto i piedi ed io che affondo fino alle caviglie, come fossero radici.
Devo spiccare il volo, con le mie piccole ali ferite, prima che l’oscurità mi faccia a brandelli corpo e mente per inghiottirmi voracemente.
Ora io sono così, sono quella grossa conchiglia bucata sulla riva, ma in quel piccolo foro ci metterò un filo di seta e dal filo di seta ci farò  un pendaglio, mi saprò reinventare.
E un tardo pomeriggio di luglio sono ripartita, col calore  ancora tra le ossa, il profumo di un’estate rigogliosa e tanta confusione nella testa, eppure sentivo di non essere sola, a volte si è soli anche se si hanno due figli accanto, anzi, la responsabilità di un sorriso forzato si eleva all’ennesima potenza.
Tanti volti davanti a me, abbracci, strette di mano, le caramelle per il viaggio, la bottiglia di liquore marchigiano da bere con le amiche, le foto...tutto così emozionante quanto inaspettato.
Rari sono stati  i momenti così speciali, così intimi,  non che non sia stata felice a volte, mi sono ritrovata bambina bisognosa di affetto,  perché quando la felicità viene dal cuore  ti prende lo stomaco e le lacrime non si fermano, ripaga il tuo animo assetato oltre ogni misura, riscattando il tuo passato.
Guidando verso casa, quel cielo pieno di luce rifletteva ciò che portavo dentro, accompagnando il mio ritorno come dolce musica di sottofondo;  avevo un luogo a me caro a cui ritornare e questo mi dava conforto.

CONOSCERE LA MALATTIA
Padova quel giorno era immersa nella nebbia, già alle sette della mattina il traffico faceva da padrone.
Io mia sorella e la mamma camminavamo in silenzio verso quell’enorme ospedale; mamma trascinava una gamba e noi la sorreggevamo adeguandoci al suo passo. Aveva comunque un’aria fiera, di una che non molla, una vita condizionata dalla povertà della sua generazione.
Erano tempi duri quelli della sua infanzia, la miseria, la guerra, la fame,ma lei affrontava ogni nuovo lavoro come un’avventura, come sanno fare i  bambini, la fantasia che ti aiuta anche quando non pensi di farcela.
Non riuscivo a non guardare il suo viso quel giorno, il suo sguardo un po’ triste e un po’ malinconico, forse consapevole di essere la causa della nostra mutazione genetica.
La gola era secca, in quel corridoio stretto e lungo mancava l’aria, l’odore di stantio, di disinfettante e urina mi nauseavano, così come la sensazione di essere un caso numerato tra le tante stranezze immunologiche.
Io tenevo d’occhio  mamma, priva di forze, che si aggrappava a me chiedendo spiegazioni.
La malattia è anche questo a volte, abbandono, superficialità, disinteresse, numeri quarantanove, cinquanta e cinquantuno su di un foglietto azzurro, sopra un tabellone luminoso.
Non mi sentivo sola, peggio, mi sentivo parte di un nulla: un signore con la stampella lasciato in piedi vicino ad un bagno, uno straniero spaesato a cui rispondevo in un inglese vecchio stile,  un bimbo riccioluto e biondo col sondino al naso e gli occhi tristi, una ragazza con gli arti immobili, assorta nei suoi pensieri. Un susseguirsi di camici bianchi, di barelle, di tutto e di niente.
Annaspavo in mezzo a quell’inferno cercando qualcuno che facesse  la differenza,  come il fiore tra le rocce, perché è nella sofferenza è l’amore a lenire le ferite, perché la malattia è spesso solitudine, patisce il corpo e la tristezza fa da padrona, seduta comodamente a guardarti crollare.
Era cambiato il mio scenario, non più frivolo e fugace, nessun abito in vetrina poteva essere così bello da attirare la mia attenzione, nessun tacco a spillo poteva ridarmi la mia femminilità, la mia sicurezza, banali coperture di un’esistenza di superficie.
Ora lo comprendevo, con la maturità forse dell’esser madre, della responsabilità che ciò comporta.
La frenesia che vedevo negli occhi della gente all’uscita, premendo ancora il braccio per non farlo sanguinare, non mi apparteneva più, era cosa inutile. Ognuno preso dalle proprie cose, dai propri traguardi, dalla propria esistenza;  mi ero accorta si quanto poco sorridiamo, di quanto poco diamo gli uni agli altri, di come ci sfugga il senso della vita, quello vero.
Volevo riversare  la mia sofferenza  su chi era in difficoltà , quanto e più di me. E ho imparato che la felicità viene da fuori, la assorbi da chi vede al di là di se stesso, come una casa dai balconi spalancati, che ti fermi ad osservare rapito, col venticello che fa svolazzare le tende di lino azzurro, il prato coperto di piccole margherite, nate a casaccio tra i fili d’erba. Vi saranno altri che non potranno insegnarti nulla se non l’indifferenza, come quel palazzo grigio e sbiadito, il negozio con le serrande abbassate, le macchine sopra l’asfalto in fila ad aspettare. La malattia, per quanto la rinneghi, porta anche la sensibilità che forse non sapevi di avere e in un modo o nell’altro, tra giorni più o meno difficili, capirai l’essenza dell’essere umano.
Poi la rabbia, quella non passa mai, si nasconde a volte nelle forme più strane, assopita mentre il sonno arriva e tu non ti arrovelli a trovare una soluzione che neanche i medici hanno, evidente nel tuo sguardo quando non riesci a muovere un singolo passo, ti accompagna  in attesa del tuo riscatto.
Ho imparato a conoscermi, a percepire ciò di cui ho bisogno: aiutare gli altri per aiutare me stessa.
Ho incominciato ad ascoltare veramente il mio corpo e la mia anima, ad accorgermi che tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno di una pausa dal nostro egoismo, dal piccolo mondo superfluo che ci siamo volutamente creati, per rivolgere il nostro cuore al di fuori, non per compassione o per dovere ma per ritrovare quell’equilibrio interiore che ci rende speciali.
Ed ho preso una penna, un foglio bianco e ho immaginato di far sorridere qualcuno, donando l’allegria.
Filastrocche in rima, favole scombinate, buffi personaggi, sapori d’altri tempi tra gli animali della fattoria, bimbi tra i banchi di scuola, pagnotte soffici e ciambelle, folletti e principesse.
La fantasia è un tappeto magico, ci puoi salire e visitare mondi nuovi, volando con la leggerezza di un fanciullo, con dolcezza ed incanto.
La mia goccia nel mare ha dato i suoi frutti; ogni singola donazione è stata una vittoria, qualcuno ha creduto in me ed io mi son ritrovata più forte, più  determinata, orgogliosa di sapere che potevo fare la differenza, non solo per gli altri ma anche per me stessa.
Ed ecco quel senso di sollievo, che rasserena...
Dove non può la malattia, può sempre il cuore.
Me lo ha insegnato la vita.






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