Daniela Milani Vianello 2022
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ORTI DEI DOGI
ROMANZI
Laureata in studi storici, da quarant’anni free lance, autrice di una decina di pubblicazioni di saggistica (storia) e narrativa per adulti e bambini.
Autore già presente edizioni:
2020
Un libro agile, di circa ottanta pagine, che narra la storia della mia famiglia da parte materna.
Quattro sorelle, con quattro diversi destini, abitano la casa a quattro piani, sovrastante il negozio (la giocheria) voluto dal capostipite Antonio, sul finire dell’Ottocento.
La storia di Venezia e di questa famiglia di impronta borghese s’imbatte inevitabilmente sui due conflitti mondiali e sulle turbolenze dei primi anni venti.
L’amore per i bambini e per gli oggetti che al di là dell’aspetto ludico, sono formativi per il loro futuro, permane, come un filo conduttore, fino all’ultima pagina.
Ho operato alcune aggiunte di fantasia, molto poche in realtà perché mi sembrava di appesantire una storia già valida per conto suo.
IL PONTE DEI ZOGATOLI
Prima che la toponomastica cambiasse il nome da “Ponte San Giovanni Grisostolo” a “Ponte dei zogatoli” ci vollero molti anni (il nuovo nizioleto risale al 2018) ma già dall’Ottocento la gente cominciò a considerarlo un punto di riferimento per appuntamenti o per indicare un percorso urbano che partiva da quel luogo.
Le vicende della famiglia, che diede avvio all’attività responsabile della denominazione, s’intrecciano strettamente al frequentato luogo: un ponte, un rio che vi scorre sotto, una casa a quattro piani che sovrasta la giocheria.
LE QUATTRO SORELLE
Le alte chiome dei platani scorrevano sulle loro teste, creando con il loro fogliame un particolare gioco di luci e ombre sui volti delle bambine sorridenti che sedevano di fronte a lui.
La carrozza procedeva lenta, con i cavalli al trotto, mentre percorreva il Terraglio, lungo viale alberato che da Mestre porta a Treviso.
Era questa la gita in campagna che ogni primavera il signor Antonio offriva a se stesso e alla sua famiglia. A tutta, no, perché la moglie, con una scusa, sceglieva sempre di stare a casa. Perché poi? Antonio, doveva ammetterlo, si era impegnato ben poco per risolvere questo interrogativo. A lui bastava la compagnia delle sue quattro figlie.
Le guardò, erano agghindate di tutto punto: nastri, cappelli, ampie gonne. Di questa cura Antonio era molto grato alla moglie Giulia, che era stata una brava ricamatrice e conservava il gusto per le stoffe, i tessuti e le guarnizioni. Riservava questa sua inclinazione estetica per vestire le figlie. Lei non era ambiziosa, amava stare nel suo negozio o rimanere a casa.
“Che ci vengo a fare in campagna?” risponde al marito che, senza insistenze, la invitava in quella scampagnata. “E’ caldo e mi affatica anche solo attraversare la Strada Nova. Piuttosto vado fino in Ghetto, a trovare i miei” e pensa: “Che spreco di danaro e quanta polvere.”
Giulia è di origine semita, nata e cresciuta nel Ghetto di Venezia e la sua famiglia pare sia di origine levantina. Ama la sua città, crede nella sua fede ma è blandamente praticante. Così quando si sono sposati i patti sono stati chiari. “I nostri figli, ha detto con determinazione Antonio, saranno battezzati e vivranno da buoni cattolici.”
“ Papà, quando arriviamo?”
“Pazienta, Emma. Tra non molto saremo alla locanda : lì pranzeremo e voi potrete giocare. Per il momento, godetevi quest’aria fresca, questo sole che è una benedizione, questi giganti verdi che sembrano correre con noi e accompagnarci nella nostra scampagnata.”
Sì, perché ora è tutto facile e ridente, ma per arrivare lì, dopo un percorso a piedi lungo la Strada Nova, avevano dovuto prendere il treno, per salire poi in una carrozza a nolo e attraversare quel paesetto al di là della laguna, che a lui proprio non piaceva.
“Quando avremo un ponte anche per le carrozze!” pensava a volte perché, in quanto a mezzi di locomozione, non arrivava oltre. Quando era ancora giovane gli austriaci avevano edificato il ponte ferroviario, ponendo fine al millenario isolamento della città. Le reazioni dei veneziani al suo riguardo non furono tutte positive. C’era chi, con chiaro atteggiamento critico nei confronti del ponte o dell’odiato invasore, preferiva continuare a servirsi della gondola.
Si era ancora perso nei pensieri invece di godersi, oltre alle figlie, quel paesaggio di inizio estate, inusuale per uno che vive a Venezia. Certo che amava la sua città: bisognava però amarla tanto per respirare notte e giorno quell’aria di pietra, calpestare quei masegni polverosi, caldi d’estate, gelidi d’inverno e umidi nelle altre stagioni.
Antonio era un bel signore, vestito di scuro, con due importanti baffi bianchi e la scriminatura portata sul lato destro del capo, così come appare in un ritratto all’interno di una grande cornice ovale, con accanto la moglie Giulia incorniciata allo stesso modo. Per quasi un secolo le figlie si portarono appresso, appese alle pareti, quelle due ingombranti e amate immagini.
Antonio era rimasto orfano di entrambi i genitori molto presto, così fu educato dal parroco di un paesino del Polesine. Appena raggiunta la maggiore età, era tornato nella sua città, con la benedizione del buon parroco e con un’ educazione scolastica inusuale in quei tempi (di lui, si diceva, che sapesse perfino il latino). Aveva fatto vari mestieri, aiutato dai parenti, poi si era messo in commercio e, doveva dire, che le cose erano andate proprio bene. Forse per quell’adolescenza trascorsa poveramente ma altrettanto serenamente, sentiva forte, a differenza della moglie nata e cresciuta in Ghetto, il richiamo del mondo verde, degli alberi, del suono degli uccelli, del profumo della terra. Ancora una volta, appagato da quella scampagnata, osservò il volto delle bambine.
Luigia la più grande aveva i capelli biondi e sottili, aveva il naso un po’ troppo allungato che non le avrebbe mai consentito di essere una bellezza; infatti se Cleopatra era stata così seducente da poter cambiare le sorti del mondo, lo doveva al suo naso, aveva letto Antonio, elemento fondamentale nella perfezione del volto. Per lui Luigia era la più intelligente, anche se la moglie gli ricordava che essendo la più anziana era avvantaggiata rispetto alle sorelle.
Seduta accanto a lei, Aurelia, una vera bellezza castana dagli occhi vellutati, era la secondogenita, poi venivano le più piccole, nate ad alcuni anni di distanza.
Emma con la carnagione candida e due occhi così scuri che sembrava ti bucassero, mentre il naso le usciva da una buffa schiacciatura tra i due occhi, quello che in veneziano si chiama schiza. “ Forse avrà preso, dai parenti di mia moglie, pensava Antonio, che chissà da dove venivano.”
Per ultima Matilde, affettuosamente chiamata Tilde, la piccolina, dolce e coccolona, la sua prediletta...
(continua)