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Grazia Dottore 2022
LAGUNANDO 2022 > selezionati 2022
Originaria di Alcara Li Fusi, un paesino sui monti Nebrodi, vive a Messina, dove ha svolto la professione di docente di Lettere.
Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali che hanno dato vita a un fiume in piena di premi vinti.
Le sue poesie hanno trovato posto anche in varie antologie.
Al suo attivo tre importanti riconoscimenti: Premio alla carriera, Centro arte e poesia, Catania, 2020 - Premio alla carriera, Associazione culturale S. Bartolo, Firenze, 2020 - Premio alla carriera, Onda marina, Associazione Culturale per l’identità siciliana, Acireale, 2021.
Ha pubblicato la silloge di poesie “Tra le nuvole e le viole”, in cui le viole  rappresentano l’umano e le nuvole rappresentano i sogni, i desideri che non osiamo confessare agli altri.
LEGGERE LAGUNE
POESIE
Al varco del sogno


Filo spinato avvolge i miei pensieri,
latrano i cani che mi tengono chiusa,
intorno a me sgomento e dolore.
Non so più chi sono, né come mi chiamo,
solo un numero marchiato sulla pelle,
la dignità calpestata, la testa rasata
le mie ciocche sparse per terra.
“Arbeit macht frei” in alto v’è scritto,
ma una verità amara si sta palesando.
C’è freddo stanotte, non vedo le stelle,
ghiacciato è il petto debole e disarmato,
vola libera la mente agli occhi azzurri
strappati alla mia vista da ladri di vite.
Quegli sguardi li sogno ogni notte
e vagheggio che mi seguano ogni ora.
Un solido filo spinato ora ci separa,
un filo di ferro che prostra e affligge,
con gocce di pena la mente ricama
deboli speranze e desideri proibiti.
Duro pane nero o scipita brodaglia
non importa, amore, mangia e resisti,
fra poco i tiranni saranno smascherati.
Andremo ancora nel bosco incantato,                
canteremo le melodie dei tempi felici,
ritorneranno presto i giorni di festa.
Dormi se puoi e nel silenzio dell’alba
mareggiata d’amore sarà il tuo sogno,
dolci parole e abbracci senza tempo
inonderanno il cielo della grigia baracca.
Di verde antico…


Tra erba verde e fiori di biancospino
intrecciavo serti di edera e speranze
nell’ostinato frinire di grilli maschi
alla calda luce del tramonto estivo.
I campi rosseggianti di papaveri
ondeggiavano ai raggi di quel sole  
già voltato a svanire dietro i monti.
Di verde antico la porta del cuore
si schiudeva a un incanto inatteso
come leggero fiore di pervinca viola
sbocciato sull’estate che spingeva.
Ho ritrovato un’antica foto di noi due
sbiadita e sgualcita tra le tante carte
orfana nel cassetto di annosi ricordi.
Un turbinio disordinato di pensieri
una tenera stretta, un timido bacio
l’infinito abbracciato con lo sguardo.
Un tempo che appare ora distante
rimasto là, tra i sogni odorosi di ieri
tra gli stormi svolazzanti nell’azzurro
tra le lucertole nelle crepe dei muri.

E scriveremo ancora dell’orrore


Scriveremo ancora dell’orrore
dei colpi bassi che qualcuno sferra
dietro le quinte da vero attore
in questa primavera che sotterra.

Un popolo gettato nel terrore
abbandonare deve quella terra
la strage fatta dall’ingannatore
tratteggia chiaro crimine di guerra.

Ordigni che cagionano sfacelo
rivelano al mondo vera follia
dell’essere che viola il Vangelo.

Orfano di voli il rosso cielo
insano peccato di supremazia
di un animo avvolto dal gelo.

Non temo la tormenta


Stendo ad asciugare al sole
foto sbiadite dal tempo
e pagine stropicciate
del libro della mia vita
umide dal pianto sommesso
nelle lunghe notti senza luna
e nei giorni bui tormentati
dalla fredda tramontana.
L’aria odorosa le lambisce
il caldo raggio le accarezza.
Come gocciole sospese
rimembranze antiche
mi sfuggono tra le dita.
Rapide si susseguono
svolazzano sul filo steso
mulinellano lievemente
poi si infrangono per terra.
Sgorgano tiepide lacrime
dal sapore dolceamaro
bagnano le labbra inaridite
e liberano un canto.
Raccatto con mani incerte
le pagine del mio libro
nascondo i fogli asciugati
in fondo a un cassetto
lontani dai tristi pensieri
e cassati ora dalla mente.
Il canto vola alto nel cielo
fino a sfiorare le nuvole…
Zattera alla deriva
Guerra russo-ucraina


L’urlo del compagno ferito
potente sbotta dal petto,
si ferma sulla brulla trincea
tra nevischio e fanghiglia.
Immobile indugio sospeso
ingoiato da un buco nero,
il freddo pungente avviluppa
le mie spossate membra
con impudiche spire.
Si mescolano lembi di corpi,
s’intrecciano resti di vita,
si fondono pianti e lamenti.
Un pugno di sogni svaniti
in una palude esalante
odore di lurido esplosivo.
Scende rapida la notte
su strane corolle sanguigne
germogliate sulla soffice neve.
Mi sento zattera alla deriva
in un oceano di incertezze.
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