Silvano Visintin 2022
LAGUNANDO 2022 > selezionati 2022
Nato a Venezia nel 1949
Docente materie letterarie negli istituti superiori di Venezia dal 1977 al 2013. Polisportivo. Alpinista e marinaio.
E’ stato per vent’anni skipper in Mediterraneo e lavorando nelle navi mercantili ha effettuato per due volte il giro del mondo.
(Vincitore del concorso “I segreti di Lio Piccolo” – 2015)
(Vincitore del premio poetico “Massimo Troisi” – Concorso Poetico Nazionale Villa Bruno 2017 – Napoli)
(2° classificato concorso poetico “Villa Bruno” – Napoli 2021)
Già presente edizioni:
2021
2020
2019
2018
LEGGERE LAGUNE
POESIE
Apparizione
Come sostanza muta
che l’ideologia massacra
d’improvviso divenuta
quasi immagine sacra
volando sull’emozione
ecco l’apparizione
Lezione la più acuta
va oltre la ragione
e scarta le parole
Lucida, presenta ardita
come lucente sole
il (non) senso della vita
Ognuno ha il suo gesto
nel solco universale
sospeso tra bene e male
Inconsueto impasto
simbolo sempre vivo
del correlativo oggettivo
Di esso son molte sorte
che portano mutamento
visioni di amore e morte
anche oscuro incantamento
di piccole cose e dell’arte
Inatteso improvviso avvenimento
ribalta la prospettiva a fondo
induce il cambiamento
del nostro stare al mondo
Mistero che amplia il tempio
chiede attivo processo
non statico di immagini scempio:
osserva il mondo
in cerca di te stesso.
Attesa
Tu che dici aspetta un momento
lo sai che il tempo
è solo misura del cambiamento?
E un attimo dopo
potresti aver perso lo scopo
perché lungo il tracciato
il presente come un topo
si è già infilato nel passato
Dunque tu parli a chi è stato
anche se faccio finta di niente
e travolto dall’inarrestabile moltitudine
degli attimi che diciamo presente
conservo il mio sorriso per consuetudine
E armonica continuità
con l’acqua corrente
che poi chiamiamo fiume
ma non è vero niente
perché oltre la simbolica foggia
tra lago mare e pioggia
non ci sono lacune
ma unità.
Bombesuibimbi
E io codardo
che temo i miei acciacchi
ecco ora fremo
perché dal cielo vigliacchi
piovono crudeli destini
e chiudono
innocenti vite di donne e bambini
Acceso prosegue il televisivo dibattito
che minaccia universale la morte
intanto il solidale fremito
abbandona le vittime alla sorte
del popolo vicino
Si sa
ognuno ha il suo destino
Sanguina graffiato l’amore
ingoia sciagurato l’orrore
dell’odio inutile e ingiustificato
E lascia amaro il quesito
che silenzioso invade la stanza
Anch’io che mi sento tradito
forse non ho fatto abbastanza.
Vecchi compagni di classe
Il risveglio pieno d’emozioni
le corse brillanti del mattino
ridotte oggi a faticose contorsioni
per infilare in fretta un calzino
L’obiettivo altisonante di longevità
baldanzoso il giovane fingeva inutile
(mordi la vita e sarà quel che sarà)
ora però appare assai meno futile
E non è solo per quell’ingordigia
d’accumulare anni come un vanto
è solo che ancora non appare grigia
la vita finché la mente conosce il canto
Certo il viaggio è meno lussurioso
e il vanesio narciso è un poco spento
ma che gioia vedersi sempre curioso
che ogni scoperta è sempre godimento
Benché si avvicini l’oscuro fosso
passaggio obbligato del dopo partita
s’incendia divertito il paradosso
che inverte le stagioni della vita
Al Peter Pan che sul sogno volava
s’impose dura la legge del reale
oggi il puer ridente diventa clava
per rompere la gabbia del segnale
(Burlare il presente in compagnia
pieni d’umorismo solidale
spegnere ogni triste malinconia
col ridere di sé e del memoriale.)
Eva
La notte sussurra
languidi ricordi
dal fondo nero
senza forma
Spoglio d’orgoglio
il pensiero
ritorna
sull’attimo esaltante
e fortunato
Lì sono stato
e ho toccato
il tuo tremore
Baciato
il tuo languore
Aspirato
l’urlo intenso
che dà senso
alla libidine
oltre il confine
d’ogni male
La migliore delle regine
tu splendida vestale
Così antica
Così moderna
Donna eterna.
ISOLE DELLA LAGUNA
POESIA
In memoria di un pescatore lagunare
Se fosse goccia
ogni volta che ti ho pensato
amico mio
saresti annegato
Se fosse vero il sogno
d’averti di nuovo abbracciato
vecchio birbante
saresti stritolato
Non riesco
e un poco mi vergogno
viaggiare sino alla foto
nel marmo lucidata
E a te
gentile, tenero saggio
nelle piccole cose del giorno
spesso rendo omaggio
E ti elevo a fido consigliere
nella barca
che fu culla di piacere
Solo
in questa laguna piatta
assolata e misteriosa
ove il destino e la fortuna
placida riposa
sento intatta
la risata antica,
confidenziale
Quella dell’ironia amica
che sa burlare il male
e stringe di nuovo il patto
risolutore:
amici
come bimbi felici.
Pace in laguna
Vola radente
la garzetta
e senza fretta
furtiva
razzola sulla riva
Tace la laguna
Solo fortuna
è questa pace
nell’estasi che bevo
(effimero momento
questo lo sapevo)
Ostinato tento
di sognare
che felicità sia..
un giorno di tutti
non solo mia.
Vignole
Scivola sui lampi del sole
la barca mattiniera
accordi stretti alla sera
mi aspettano alle Vignole
Sebbene sia ancora presto
la mente s’arrovella
fa conti nella gita bella
cosciente del pretesto
Il canale spinge nel passato
tra fronde ora meno audaci
ricordi di imprese capaci
d’evocare antico mercato
Perciò giunti all’ormeggio
il silenzio dice lunga la storia
di una terra che ha memoria
di quando si stava peggio
Eppure volava la caorlina
Sospinta da robusti remi
Non importa se la freni
Pioggia o nebbiolina
Giornate invero dure
Non solo per la gloria
Vita era la vittoria
Per vendere le castraure
Oggi son io giunto alla fonte
Il bravo Matteo eroe moderno
e il padre contadino eterno
nel secchio per me le ha pronte
Ma più che gli speciali doni
che offre questa nera terra
è la pace che in questa serra
trovi se al racconto ti abbandoni
Sono storie per alcuni banali
Dell’acqua immusonita
giunta finalmente a dar vita
scorrendo nei canali
E il vecchio cane saggio
partecipa al racconto
al suo dovere pronto
anche nel mio viaggio.
ORTI DEI DOGI
RACCONTI
PRIMO PREMIO
ORTI DEI DOGI
-Racconto-
-Racconto-
E'
la Venezia delle cortigiane - "honeste" e "de lume",
del Consiglio dei Dieci, dei "marangoni" che sciolgono i
tronchi arrivati dal Cadore, dei lavoratori dell'Arsenale; è la
Venezia del Sanudo, all'apice della sua potenza, quella narrata in
"La prima" che è soprattutto il racconto di una violenza
reiterata, anche domestica, di una donna e di un processo.
L'autore
riprende la vicenda di Bernardina, del marito Luca da Montenegro e
della loro figlia, Diana, proponendo con giusto equilibrio gli
appunti di cronaca contenuti nei Diari di Marin Sanudo per
l'anno 1521, per raccontarci con lo stile proprio dell'inchiesta
giornalistica, del resoconto oggettivo, un episodio tra la cronaca
nera e la vicenda giudiziaria della Venezia di quel periodo.
Sebbene
ben ancorato nelle vicende della metà del '500, nel racconto
ritroviamo, purtroppo tematiche universali e contemporane come quella
della violenza sulle donne.
Il
tono
asciutto e oggettivo, a tratti distaccato, rafforza la crudezza dei
fatti e accentua la crudeltà dei gesti e di alcuni elementi di
dettaglio e ne fa un elemento di forza di questo racconto.
LA PRIMA
Lo chiamavano “il Giudeo”, forse sarebbe meglio dire che sussurravano l’appellativo a bassa voce, quando lui era distante o assente. Non c’era tanto da scherzare con Luca da Montenegro, e non solo per l’imponente corporatura dovuta all’origine del Montenegro, ove le severe montagne sul mare, battute dai freddi e violenti venti del Nord, avevano selezionato una stirpe di possenti genti. Era il suo carattere collerico e violento che spesso spaventava, perché qualunque contrasto nel discorso sembrava accendere in lui un senso d’offesa che andava lavata col sangue. C’era chi diceva che si trattava di una tara professionale, perché doveva incutere timore, anzi terrore, a chi chiedeva i suoi servigi, promettendo il rispetto delle scadenze, spesso difficili da rispettare. Sì, perché più d’uno, in forma anonima, accennava a quei prestiti speciali, cui si doveva l’appellativo. Ma c’era anche chi, più prudentemente, lo riferiva alle sue frequentazioni con i mercanti giudei. Ufficialmente era un ricco “bazarioto”, cioè un rigattiere, abitava a Venezia, al Campiello della Fraternita, a Sant’Antonio, dove aveva anche il magazzino delle merci.
Perfino le cortigiane lo temevano, quelle costrette prima nel “Castelletto” e poi nelle case di proprietà della nobile antica famiglia Trapani, in veneziano Ca’ Rampani, ora chiamata zona delle carampane, a Rialto. Il rio Terà delle Carampane arrivava fino al Ponte delle Tette, da dove le cortigiane si sporgevano mostrando il seno, secondo l’imposizione del governo tesa a “distogliere gli uomini dal peccato contro natura”, molto diffuso in quel periodo.
Era tra i clienti più assidui, non tanto di quelle definite “Cortigiane Honeste” che vestivano abiti elegantissimi, con le chiome biondo-rossastro, il famoso rosso Tiziano, invidiate da molte nobildonne, schiave di mille regole, per le libertà che potevano concedersi grazie alle amicizie influenti. Il Giudeo preferiva quelle di basso rango, le “Cortigiane de lume”, costrette a portare al collo il fazzoletto giallo imposto dal Consiglio dei Dieci. Vestivano abiti tendenti “piuttosto al virile”, come giubboni, camicie e braghe da uomo. Soprattutto non parlavano troppo e, con una buona mancia, soggiacevano alle sue voglie, spesso ispirate alla stessa violenta tensione che pareva attraversare la sua anima, per certi versi disperata. Col tempo qualcuna, dopo averlo provato, rinunciava alle profferte, tristemente ancora dolorante. La voce si era diffusa e, come accade al solito nelle condizioni miserevoli, ci fu sempre chi si dispose ad accontentarlo, ma a un prezzo sempre più elevato.
Parve quindi a Luca, una manna dal cielo, quando Giacomo Polo, trovatosi nell’impossibilità di restituire il favore, propose in cambio la mano della figlia, Bernardina, giovane diciottenne ribelle, la cui bellezza esplosiva era pari solo all’irriducibilità del carattere. Non temeva nulla, tanto meno l’autorità di un padre che certamente non aveva saputo sostituire l’affetto della madre scomparsa. In più, la crisi economica rendeva davvero difficile mantenere entrambi. Certo non sarebbe stato facile convincerla, ma Giacomo sapeva che a questo ci avrebbe pensato il Giudeo, cui comunque non poteva offrire altro, in cambio della sua stessa vita.
Come per uno di quei miracoli che la natura sa a volte partorire nella sua pazza corsa evolutiva, i due “fidanzati” fin dal primo incontro s’innamorarono. Non è ben chiaro da dove provenisse il sentimento, e d’altronde sfido chiunque a dichiarare per certo da quale arco provenga la freccia di Cupido. Forse nel cuore del Giudeo fece breccia quella forza di carattere che accompagnava una bellezza per niente svalutata dalla povertà delle vesti, o forse si fece strada in lui, ormai più che quarantenne, il desiderio di una famiglia. Per lei fu l’ennesima sfida, cui il temperamento guerriero le imponeva di sottoporsi. Conosceva, seppur per sentito dire, la difficoltà dell’impresa e certo non le piacque il modo con cui le fu proposta, ma si accorse subito del suo nuovo potere su quell’omone ombroso, che parve quasi abbassare gli occhi quando s’incrociarono con i suoi. E sentì franare su di lei un desiderio totale che la spaventava e insieme la eccitava nel rischio dell’impresa. Nel buio fitto della sensualità è facile confondere il dolore con il piacere, il termine stesso della passione lo ricorda, e certo quella che esplose tra loro fu una carica travolgente, che riuscì a volgere qualunque considerazione razionale nel verso più favorevole a ciascuno, convinti che fosse la scelta migliore. Così, come accade a molti, rapidamente si sposarono e dopo alcuni mesi nacque una figlia.
Diana, nel 1521, aveva già ventidue anni. All’epoca era in quella che si definiva età da marito, ma il suo vero affanno era tutt’altro. Gran parte della sua adolescenza era trascorsa nell’ansia quotidiana dei litigi violenti tra i genitori. Non si risparmiavano nulla e non era facile interporsi per cercare di calmarli. Luca con gli anni era diventato consapevole dell’indebolirsi della forza fisica e questa certezza l’aveva reso ancor più cattivo e spietato nella lotta. Non si accontentava più solo delle sue mani, una volta possenti come clave; ora si serviva pericolosamente di tutto ciò che trovava a portata di mano, per picchiare giù duro Bernardina. Lei, tutt’altro che intimorita, pareva quasi trovar gusto nel provocarlo e non esitava a ferirlo con il dileggio, spesso riferito a un’impotenza che oggi interpreteremmo come sessuale. E certo la loro violenta passione iniziale non si era esaurita, bensì corrotta e deviata in quel terreno minato della frustrazione e dell’impossibilità evidente a renderla concreta in un rapporto vero.
Il Giudeo aveva ripreso a frequentare le cortigiane, ma non era la stessa cosa, nessuna di loro godeva veramente del suo tortuoso piacere, nessuna sapeva rispondere come faceva prima Bernardina, trasformando la violenza in estasi, non rifiutandosi, ma anzi chiedendo provocatoriamente ancora e di più. Gli mancava molto quel periodo ormai lontano, quando, come assetati d’emozioni, s’erano abbandonati ad ogni variante, spinti prima dal suo contorto immaginario a lungo represso, poi, però, con suo grande stupore e insieme eccitazione, confortato anche dall’incredibile disponibilità e fantasia di Bernardina. Il piacere che lei dimostrava, lo aveva in qualche modo spiazzato. Con le altre si era sempre sentito dominatore e, in un certo senso, frenava le sue voglie, quasi magnanimo, per non eccedere in sofferenze. Con lei, invece, usciva sempre sconfitto.
Quella donna non aveva paura di nulla e riusciva a trasformare tutto nel suo godimento. Aveva perfino provato a umiliarla, a costringerla a rapporti multipli con altre cortigiane assoldate, l’aveva obbligata a dedicarsi al loro piacere pensando di ferirla. Lei dichiarò, con evidenza dei fatti, che le era molto piaciuto e che sarebbe stato bello farlo ancora. Ciò accese sempre più il desiderio di Luca che, per molto tempo, trascurò persino gli affari, con la mente sempre occupata a fantasticare nuove prove. Tuttavia, anche se inconsapevolmente, intuiva che si stava sempre più incatenando a quella donna e a quel tipo di accordo implicito che oramai dipendeva sempre dalla disponibilità di lei, più che al suo volere dominante. Così talvolta può accadere, nella dinamica tra vittima e carnefice, che in realtà le leve del potere siano rovesciate, ribaltando gli aspetti della dipendenza. Già, perché invero per il Giudeo, Bernardina divenne come una droga, con l’unica decisiva variante che non si poteva, né si sarebbe potuta, comprare mai.
Fu così che, quando lei decise per la vendetta, niente poté fermarla. Non fu chiaro il motivo che causò la fine della complicità. Forse era già nel piano iniziale, quel suo accondiscendere a tutto, quel trasformare in piacere anche la frusta, la tortura, le ferite, aveva implicitamente l’obiettivo di preparare il gran finale, dove le parti si rovesciavano e finalmente il destino restituiva tutto il potere che nel tempo le era stato rubato. O forse fu solo la noia di scoprire che quel tiranno si andava esaurendo e dimostrava quanta debolezza si celava dietro alla maschera d’imperatore.
Qualcuno potrebbe anche suggerire che mentre Bernardina galleggiava nel picco della sua bellezza e focosità di temperamento, Luca aveva già imboccato la discesa irreversibile dell’età. Di fatto i rapporti s’interruppero. Dapprima vi furono alcuni ultimi bagliori, imposti con la forza ancora presente. Ma il ghiaccio con cui furono ricambiati, non fecero che inferocire l’uomo che si sentì tradito.
Allora tutto si spostò nell’ambito della quotidianità, fingendo che le ragioni fossero altre, in quella frequente rimozione che spesso accompagna i coniugi infelici e li conduce nel classico cul de sac. Ogni piccolo dettaglio divenne pretesto di accuse reciproche, che nel confronto alzavano sempre i toni, sino ad arrivare allo scontro fisico. Il Giudeo era il primo a cedere alla violenza, rammaricandosi ogni volta, perché capiva che era la prima, evidente, testimonianza della sua debolezza, della sua sconfitta. Ma lungi dal tenerlo al riparo da una diabolica ripetizione, ciò aumentava la sua rabbia a dismisura, inducendolo poi a moltiplicare la forza dei colpi, in una furia che lo annebbiava completamente, quasi volesse cancellare per sempre quella sua rovina.
Capite bene quale vita grama conducesse la povera Diana, che quasi miracolosamente era riuscita più volte a salvare la situazione, temendo che potessero uccidersi, ma anche di poter subire essa stessa irrimediabili ferite, nell’interporsi tra i due litiganti, le cui urla erano ormai ben note anche ai vicini. La giovane poi era terrorizzata, non solo dalla violenza del padre, ma anche dall’irriducibile, testarda, feroce personalità della madre, che le aveva più volte dichiarato:
“Mai, mai!!!....Hai capito? Mai cederò alla violenza di quel porco…. Ha pensato di avermi domata… Pensa ancora di poterlo fare.. Non sa che da sempre sono io…. Sono io che decido il mio destino… Può farmi di tutto, ma non può decidere lui quello che io voglio… e ora io non lo voglio più… può anche uccidermi… ma avrò sempre vinto io!”
E in effetti, Luca c’era andato vicino. Accadde nel 1514, quando Diana aveva solo quindici anni, dopo uno scontro in cui il Giudeo, pretestuosamente, l’accusava di tradimento con un giovane locale e lei, invece di negarlo, si divertiva a provocarlo:
“Sì, sì.. certo… e non sai che cosa mi ha fatto…. Che cosa gli ho chiesto io di farmi… e lui pareva impazzito, perché mai aveva trovato una donna così disponibile.. Ti ricordi, eh? Piaceva tanto anche a te.. Ti ricordi?”
Infieriva Bertina, con il gusto di vedere montare nello sguardo del marito l’odio e la frustrazione. Invano Diana si era messa a piangere disperata, invocando i Santi in suo aiuto e che la smettessero di farla morire di paura. Era come non ci fosse, Il Giudeo, impugnato un legno robusto di quercia, cominciò a inseguire Bernardina che scappava ridendo e provocandolo sempre più:
“E gli ho anche detto… la prossima volta… porta anche i tuoi amici… sì, sì.. perché mi piace.. io son sempre pronta per tutti.. tranne che per mio…”
Fu il suo errore, perché la risata crudele la distrasse e inciampò in uno dei tanti mobiletti che intralciavano il magazzino. Fu allora che la clava di Luca la travolse di colpi, fino a renderla incosciente. Le urla disperate di Diana, che la credette morta, richiamarono i vicini e infine giunsero anche le guardie.
Il Giudeo venne arrestato, anche se nei Diari di Marin Sanudo (58 volumi dal 1°genn.1496 al sett.1533), appare una certa comprensione per il marito offeso “Questa dona indiavolata per mala vita, li feva suo marito di baterla”. Di Bernardina ferita non abbiamo notizie documentate. Di certo si riprese e crediamo che, per il suo speciale temperamento, considerasse l’episodio una vittoria, anche se non potè certo trascurare il rischio mortale che aveva corso.
Fu in qualche modo rimborsata per il danno subito “si fece tansar le spexe al Zudexe di procurator ducati 20 l’anno”, ma non si assicurò certo vita tranquilla, perché con una multa di “ducati 200 el fu lassato di prexon”, e immaginiamo con quale stato d’animo.
Gli anni erano passati in un clima sempre più teso. Il Giudeo aveva aggiunto al suo malumore il vizio del bere col quale cercava di attutire la rabbia. Il risultato fu invece quello di una miccia che accendeva la miscela esplosiva. La frustrazione per l’interruzione dei rapporti, la difficoltà economica crescente dopo il carcere, che gli impediva di ricorrere alle cortigiane sempre più esigenti col declinare del suo aspetto, la gelosia per Bernardina che sembrava ai suoi occhi circondata da mille amanti, e, in ultima, la tentazione, quella conturbante tentazione, che gli procurava la figlia ormai ventenne, priva del temperamento guerriero della madre, dalla quale aveva però ereditato l’aspetto eccitante delle forme.
L’aveva assaggiato il corpo di Diana quando, tremante e spaventata com’era nel suo carattere dimesso, lo abbracciava per fermarlo, per cercare di spegnere la violenza quotidiana nei confronti della madre. Ah quei seni sodi e rotondi! Quei fianchi morbidi che lui impugnava per tentare di divincolarsi e intanto frugava! Quel profumo di pelle giovane che emanava dal collo, mentre Luca si sporgeva e sgolava improperi nei confronti di Bernardina! Spesso prolungava la minaccia, per poter gustare più a lungo quella stretta. In realtà, se avesse voluto, avrebbe potuto spingerla via in un attimo, anche ebbro conservava una buona forza, ma l’abbraccio valeva di più dello scontro con Bernardina che, da quella volta, si era fatta prudente e fiera, lo affrontava sempre armata di qualcosa, che certo avrebbe usato senza riguardo, con l’astio della vendetta.
Il Giudeo aveva perciò, forse inconsciamente, cambiato strategia. Più che lo scontro, praticava l’agguato. Cercava sempre di incontrare le donne da sole. Se c’era solo Bernardina in casa, aspettava che fosse distratta, magari chiusa in un angolo senza vie di fuga, certo che nessuno avrebbe visto né potuto fermarlo. Allora cominciava ad insultarla con accuse che servivano a darsi la carica giustificativa e partiva all’attacco. Non sempre aveva successo, perché la donna era agile e combattiva e l’alcol ritardava i riflessi. Ma quando riusciva a colpirla, lasciava il segno. Una medaglia che lo faceva gongolare per i giorni successivi.
Se invece c’era solo Diana in casa, partiva la rappresentazione della disperazione. Quanto può soffrire un uomo che si vede sempre rifiutato dalla moglie, che pure ha dei doveri coniugali? Non capisce che tutta questa violenza nasce dalla frustrazione? Che basterebbe solo un po’ di comprensione per rendere la vita felice?
“Ah, mia bella Diana, solo tu riesci a capirmi… - esordiva quasi singhiozzando – solo tu hai il potere di rendermi felice… anche solo per un po’… perché tu sei una donna ormai… e certe cose le capisci – proseguiva incoraggiato dall’ebbrezza che toglieva i freni inibitori – cosa ci vuole per accontentare un povero vecchio?…. In fondo è questione solo di qualche minuto e poi… poi tutti potremmo vivere meglio… più sereni.. più felici… - infine lanciava l’attacco bastardo – mi aiuterai vero? Sì, sì, certo che mi aiuterai… perché mi vuoi bene e vuoi bene anche a tua madre… però.. però.. lei non deve sapere… mai.. sarà il nostro segreto”
Diana capiva e non capiva. Nonostante l’età, forse per indole naturale, forse per le disastrate condizioni della sua crescita, forse per un’ingenuità confinante con il ritardo, o anche perché in fondo quel “piccolo sacrificio” pareva un prezzo modesto rispetto ai vantaggi di una pace domestica, cominciò comunque a lasciar intendere che quel gioco poteva proseguire, anche se era ormai evidente che l’asticella si alzava sempre più.
Chi invece cominciò a coltivare dubbi sempre più feroci fu Bernardina, cui i vizi più torbidi del marito non erano certo ignoti. Si era accorta della coincidenza sospetta con cui i rientri a casa del Giudeo incrociavano sempre più spesso la presenza solitaria della figlia. Finché, una volta li sorprese abbracciati in camera della figlia. Fu un attimo, perché i gesti di entrambi furono rapidi, appena ripresisi dallo stupore. Ma non ebbe dubbi. Le mani dell’uomo erano sgusciate dal fondo della camicetta di lei, dove avevano trovato caldo rifugio. Diana, invece, aveva ritratto la mano come si fosse scottata e il fuoco era nelle braghe del Giudeo.
L’urlo fu certo udito da tutto il vicinato e per un attimo paralizzò anche i protagonisti.
“Maledettooo! Esci subito dalla stanza di mia figlia… Io… Io… Io ti uccido!”
Non c’è miglior incentivante per una reazione violenta del vedersi scoperti in una colpa di cui si è consapevoli. Sembra quasi che la quantità di energia espressa sia proporzionata all’evidenza del misfatto che si vuole negare. O forse Luca aspettava solo l’occasione per sfogare tutta la rabbia accumulata e, anche se non l’aveva determinata lui, fu lesto a profittare dello sbandamento provocato dalla fuga di Diana, che attraversò la stanza come inseguita dai lupi, anche se ebbe tempo di gridare: “Noo! Noo! Non è come credi!”
Bernardina si dovette spostare per far passare la figlia diretta all’uscio e la torsione di fianco le fece per un attimo perdere di vista il Giudeo che, balzato in piedi, aveva afferrato la sedia a fianco del letto, con la quale colpì la moglie alle spalle.
Bernardina riprese conoscenza come chi esce dal sonno dell’ubriacatura. Ancora la vista era sfocata e l’ambiente girava intorno a suo piacimento. Ci volle un po’ per rimettere in attività la mente e a quel punto comparve il dolore che dalla testa si diramava lungo il collo e poi la schiena e poi le braccia. Tentò di muoverle. Solo allora si accorse che erano legate sopra il capo e la tenevano bloccata, appesa a una delle travi del magazzino. Riemerse anche il ricordo che accentuò la rabbia del sentirsi prigioniera. C’era riuscito il porco. Ora era nelle sue mani.
“Così vorresti uccidermi? – esordì la voce alle sue spalle – E perché poi? Solo perché ho abbracciato paternamente la mia figliola…. Che si lamenta perché non trova ancora marito..”
Bernardina sentì distintamente l’aroma del vino che emanava dal fiato caldo che le insozzava il collo e ancora peggio fu quando, come un artista che ammiri da vicino la sua scultura, Luca le si piazzò davanti. In una mano teneva la bottiglia che lo ispirava, nell’altra luccicavano delle grandi forbici.
“Lo sai anche tu… sì, dai che lo sai – riprese il teatro con il compiacimento di chi ha la situazione in mano e non ha fretta, anzi gode nel prolungare l’attesa – certe cose… certe cose bisogna impararle…. E non è facile neppure spiegarle – bevette un paio di sorsi quasi per lanciare il finale – No, no certe volte la teoria non funziona… è meglio la pratica – assunse un tono complice e consapevole – naturalmente non tutta di colpo, e no! Non bisogna spaventare… mica tutte sono come te… oh sì, tu sì che sapevi come fare.. tu sì che sei nata.. imparata! – Si fece pensoso – Ma Diana no… è ancora… cruda.. forse è per questo che non trova marito, che invece tu alla sua età… eh quante ne abbiamo fatte insieme.. e con che gusto!”
Bernardina tentava di capire come uscire da quella situazione. Aveva cercato di tirare le corde che imprigionavano le mani, ma erano troppo strette e un dolore lancinante le percorreva la schiena appena irrigidiva i muscoli. Sapeva che la punizione sarebbe stata severa, troppe volte aveva già vissuto lo strazio delle carni e stavolta non aveva nessuna passione a guidarla, nell’inusitato esercizio di trasformare il dolore in piacere.
“Non dici nulla… mia cara mogliettina.. – cominciò con quel tono mellifluo che anticipava le sevizie – ti aspettavo più loquace.. poco fa ordinavi come una regina.. forse volevi farti vedere forte da tua figlia.. hai ragione, Diana è debole… non c’è quasi gusto.. però, però in qualcosa vi assomigliate..”
Bernardina capì che il peggio stava arrivando e non si stupì quando Luca avvicinò la punta delle forbici alla base della camicia che indossava. Lentamente, anche se con qualche tentennamento sulle gambe infiacchite dall’alcol, cominciò a risalire, tagliando meticolosamente tutta la stoffa, finché, non più trattenuto dal cotone, scoppiò fuori il seno. Quelle splendide rotondità conservavano nel corpo della maturità una bellezza quasi paralizzante, accentuata dalla posizione verticale delle braccia, che conferiva alle mammelle una dignità, una fierezza che quasi lo faceva soffrire. I grandi capezzoli eretti poi, parevano le torrette di un castello sulla collina e, nell’immaginario del sadico rappresentavano la chiave per entrare nel suo piacere. Appoggiò la fredda punta metallica appena sotto la scura protuberanza, provocando un brivido che accentuò l’incresparsi dell’areola.
“Sì, sì… un po’ vi assomigliate… glieli ho sentiti sai.. sono grossi e duri come i tuoi – aveva assunto quel tono confidenziale che usava per eccitarsi quando ancora erano complici e progettavano le loro fantasie – Ma questi .. questi ormai gli ho persi! – Ora divenne severo e crudele- ora tu li vai a dare agli altri… magari anche a quello nuovo che è arrivato con la moglie… quel Vincenzo… ho visto sai come ti guarda … ho capito come vi intendete.. – mentre parlava giocherellava con la punta delle forbici spostando un capezzolo di qua e di là, divertito dall’elasticità con cui ritornava orgogliosamente in posizione – gli sono piaciuti eh? E se io… se io ne togliessi uno?”
Le punte delle forbici si aprirono e Bernardina poté sentire distintamente l’affilatezza delle due lame che, come la chela di un granchio, minacciavano la sua carne. Lo avrebbe fatto, non era solo una minaccia, conosceva quel percorso e sapeva che quando il sentiero era già nel profondo tenebroso, non si poteva fermare. Fu un gesto istintivo e insieme l’unico degno di rivolta che ancora le restava. Gli sputò in faccia con tutta la forza della rabbia che l’attraversava e lo colpì sugli occhi, con un grumo di saliva che si accorse solo allora era impastata con il suo sangue.
Il Giudeo fu sorpreso. Accecato dalla violenza del getto, arretrò e istintivamente sferzato dal dolore agli occhi, si portò le mani al volto. Caddero contemporaneamente forbici e bottiglia, con un fracasso di vetri e schizzi ovunque. Nello stesso istante, perché la fortuna sa giocare su più tavoli, bussarono alla porta con decisione.
“Papà! Papà! Apri subito!”
La voce disperata di Diana attraversava il portone senza intaccarne il tono stridulo.
“Sta arrivando il medico… e anche le guardie…Le hanno chiamate i vicini!”
Concluse, quasi a scusarsi.
Quella parola “Guardie” lo fece rinsavire subito. Le prigioni veneziane non usavano troppi riguardi neppure con i nobili, figurarsi con i bazarioti, i rigattieri. La Serenissima, qualcuno sostiene, utilizzava strumenti di pressione psicologica che dovevano indurre ad evitare di commettere reati. Insomma, nel carcere si stava davvero da schifo e in più il sostentamento era a carico del prigioniero. Questo al Giudeo faceva ancora più male e non aveva ancora digerito del tutto i 200 ducati che aveva sborsato per tornare a casa la volta precedente.
L’adrenalina riesce a volte a smaltire la sbornia. Fu quello che accadde a Luca che raccolse in fretta le forbici e, trattenendo Bernardina per il collo, tagliò le corde che la sospendevano.
“Sei caduta dalle scale, hai capito? – le sibilò all’orecchio – altrimenti… quello che non sono riuscito a fare a te… lo farò a tua figlia.. e sai che ne sono capace”.
Oh sì certo lo era. Bernardina lo sapeva e poi, in quel frangente, non aveva quasi la forza di parlare. Appena le braccia tornarono giù, scoppiò imperativo tutto il dolore che la posizione aveva come intontito. Il colpo della sedia era stato davvero violento e per giorni ebbe poi difficoltà perfino a camminare. Ringraziò perciò il destino che le stava portando il medico e accettò grugnendo il ricatto.
Vincenzo Zarla era giunto da poco a Venezia con la moglie. Lavorava all’Arsenale e aspettava si liberasse uno degli alloggi che la Serenissima aveva predisposto, nel Sestriere di Castello, per le maestranze del cantiere. Nel frattempo, aveva trovato ospitalità in un piccolo alloggio, ricavato dietro il magazzino del Giudeo, cui versava una congrua pigione. La moglie lavorava come domestica in casa di nobili, che spesso la trattenevano anche la notte per accudire i bambini. Succedeva, dunque, più volte che Bernardina lo incontrasse da solo. Era un giovane prestante, di bell’aspetto e certamente sensibile alle grazie femminili. I continui litigi che non passavano inosservati, avevano stimolato la sua curiosità su quella strana coppia. Le leggende che si sussurravano senza troppe riserve nel quartiere, riguardo ai torbidi trascorsi dei coniugi, accentuarono il desiderio di saperne di più. Bastò un primo colloquio con la donna per incendiare una speciale, inconscia attrazione che cominciò a orientare la sua azione. Si giustificò, sostenendo a sé stesso che voleva solo esserle amico, ma ben sapeva che l’obiettivo era tutt’altro.
“Se vi serve aiuto.. qualunque aiuto – affermò dopo aver accolto le confidenze di Bernardina ancora sofferente per le percosse – io sono a disposizione. Non potrei mai negare nulla a una donna così ingiustamente maltrattata… - si avvicinò di più a lei, visibilmente attratto dalla bellezza matura, che la sofferenza rendeva ancor più seducente, stimolando l’istinto di protezione – se solo potessi lenire il vostro dolore, se potessi rendervi felice, sarei pronto a tutto.”
“Rischiereste di… di morire? – rispose Bernardina che era a sua volta affascinata dalla gentilezza e anche dall’aitante giovinezza dell’uomo, di cui aveva intuito il desiderio e volle quasi metterlo alla prova – sapete ormai quanto mio marito sia violento e geloso… anzi è bene che…”
Non fece in tempo a finire la frase, perché Vincenzo, vinto dal lampo della passione, che talvolta esplode come un petardo tra i pilastri razionali, improvvisamente impotenti, l’abbracciò forte e baciò le labbra carnose che non aveva smesso di ammirare.
Seguirono lunghi istanti di comunicazione fisica, in cui entrambi spiegarono senza indugi i loro intendimenti, capendosi al volo, in quella implicita, reciproca promessa di piacere.
“Dovremo essere prudenti “ Concluse Bernardina, in un saluto che confermava l’intesa.
Il primo Marzo 1521, Bernardina era stata in visita da un parente che l’aveva trattenuta a cena. Non si vedevano da molto tempo e le era parso sgarbato rifiutare l’invito, anche se nel cuore le pesava la preoccupazione di lasciare da sola la figlia. Aveva saputo al mattino che Luca aveva incassato una notevole somma e conosceva per esperienza che quelle erano le occasioni che amava festeggiare a suo modo. Fu dunque con una certa frettolosità che ringraziò tutti e rincasò con passo deciso. Nella mente continuavano a balenare immagini sempre più fosche che a stento riusciva a distogliere, suggerendosi poco rassicuranti riflessioni sulla maturità della figlia, sulla certezza che in fondo Luca era suo padre e non avrebbe mai potuto davvero...
Giunse al portone di casa quasi senza accorgersene, ma appena varcato fu stupita dai rumori d’acqua che provenivano dalla cucina. Lo scroscio si ripeteva identico, quasi ossessivo e non riusciva a immaginare quale attività si stesse svolgendo. Ancor più agitata si fece la sua anima, avvicinandosi al tremolante chiarore della lampada, perché al rumore dell’acqua si erano aggiunti ora, sempre più distinti, dei singhiozzi che accompagnavano un lamento tenace
“Viaaa…viaaa…viaaa”
La vide di spalle, seduta davanti alla tinozza. Era nuda. Le gambe aperte accoglievano il gesto della mano che raccoglieva ritmicamente l’acqua e la versava, fregando rabbiosa sul ventre. Non si accorse di lei, finché Bernardina non le fu di fronte, notando il piccolo rivolo di sangue che ancora scorreva sulle cosce bagnate. Sul corpo vide i segni di morsi, che qualcuno avrebbe l’ardire di definire amorosi. Negli occhi spenti della figlia, però, la madre lesse intera la tragedia che l’avrebbe segnata per tutta la vita.
“Dov’è? “ Chiese senza ottenere risposta.
“Dov’è? “ Ripeté, ben sapendo che Diana ora non sentiva nulla.
Decise di cercarlo. Nella rabbia fremente che l’aveva invasa, dimenticò perfino di soccorrere la figlia, che continuò nell’isterico lamento. Scese in magazzino. Non c’era nessuno.
A fianco delle tavole appoggiate al muro, vide una sbarra di ferro. Era quella che i falegnami, i “marangoni”, utilizzavano come leva per sciogliere i tronchi delle zattere che arrivavano in laguna dai monti del Cadore, lungo il corso del Piave. L’impugnò apprezzandone la solidità e il peso. Qualche osso glielo avrebbe rotto stavolta. Doveva trovarlo, non pensava ad altro. Salì le scale, tornò in cucina e si accorse che Diana non c’era più. Salì ancora fino alla stanza matrimoniale completamente vuota. Girò l’angolo del corridoio e dalla porta aperta della camera di Diana il bagliore delle candele suggerì che qualcuno era all’interno. Bastò un passo in più per riconoscere il pesante russare di Luca. Quel rantolo d’orso prolungato che dichiarava l’ubriachezza totale. Si fermò sull’uscio aperto e lo vide steso, seminudo con solo la camicia aperta, abbandonato supino a braccia stese, come un Bacco ebbro alla fine del rito. La fiamma danzante delle candele bastava a rivelare sulle lenzuola le misere tracce di quel sangue che poco prima aveva incendiato il suo desiderio di vendetta.
Bernardina si avvicinò decisa. Aveva cancellato ogni dubbio. Gli avrebbe rotto le braccia e le gambe, così che non potesse più farlo. Però, però voleva sapesse, voleva vivesse intero anche il terrore che aveva elargito. Lo chiamò toccandolo con la sbarra.
Il Giudeo aprì gli occhi a fatica e finalmente, sbavando saliva, riuscì a capire chi era e pronunciò la sua condanna.
“Sei tu?.... – indossò quel sorriso imperdonabile di compiacimento vizioso e aggiunse – era stretta sai…. Ho fatto fatica… ho dovuto lottare .. anche lei ha un caratterino…”
Il primo colpo cercò di ripararlo istintivamente con la mano e l’anello che indossava cantò allo scontro con il metallo, ma il peso del ferro franò anche sul cranio. Seguì anche un secondo e poi un terzo colpo definitivo. Quindi, fu solo silenzio.
Fu allora, nell’indifferente contesto della muta stanza illuminata dalle flebili candele, che Bernardina si rese conto d’averlo ucciso. Non l’aveva pensato. L’aveva semplicemente fatto. E gli era parsa l’unica cosa giusta. Però, come sempre accade dopo una rivoluzione, si trattava ora di gestire la nuova situazione. Non aveva studiato Bernardina, ma era una donna intelligente e consapevole. Non s’illudeva di poter trattare con i giudici l’omicidio giustificandolo con lo stupro della figlia. Conosceva bene la realtà della giustizia dell’epoca, molto propensa alla difesa del superiore diritto maschile. E poi aveva sentito più volte il rimbalzo dei pettegolezzi di quartiere, delle calunnie delle altre donne invidiose della sua bellezza, pronte a dichiarare fondata la fama di amante spregiudicata. Non si sarebbe salvata mai, perciò non attese di essere soverchiata dagli avvenimenti e passò all’azione.
Arrotolò faticosamente il cadavere di Luca nel lenzuolo che già lo avvolgeva, stringendo attorno al capo un altro grande telo, per contenere le tracce di sangue. Lo ricoprì quindi con una coperta e apparve così quasi come un dormiente.
Quindi, salì in mansarda dove trovò Diana che, pallida si era rivestita e si fissava, come inebetita, allo specchio. Fu brusca, come era necessario.
“L’ho ucciso!” E aggiunse “Così non potrà più farti del male”
Diana non reagì come si aspettava. Si limitò a girarsi e fissarla quasi incredula.
“Ora stammi a sentire, perché c’è in gioco la nostra vita”
“Hai capito? –aggiunse Bernardina prendendo per le spalle Diana e scuotendola forte – ora io devo uscire per chiedere aiuto a mio cugino. Tu stai qui e non ti muovere. Non parlare con nessuno. Non aprire la porta finché non torno. Hai capito?”
“Sì”
La madre si accontentò di quel misero segnale di vita e non poteva fare altro, perché davvero la rapidità delle azioni diveniva prevalente. Scese rapidamente le scale e, coperta da un nero scialle che la mascherava, si avviò veloce verso la caserma del cugino.
Il suo “zerman”, tale Tommaso, era ufficiale dei Signore di Notte al Criminale, che si occupavano della pubblica sicurezza di notte, soprattutto contro ladri e incendiari.
Nel passato anche lui si era invaghito della bella cugina e conservava intatto quel sentimento di dedizione che spesso permane negli amori platonici. Fu lieto di rivederla e non parve troppo sorpreso della sua richiesta di accompagnarla subito a casa, per controllare le tracce del tentativo di rapina che aveva subito. Ora era ormai tutto tranquillo, non serviva farsi scortare dalle guardie. Lungo il percorso, Bernardina annunciò che il motivo era altro, ben più grave, ma aggiunse che non si fidava confidarlo per strada, l’avrebbe visto con i suoi occhi. I passi dunque si fecero più rapidi e poco dopo furono all’interno della casa, dove subito Bernardina gli mostrò il cadavere del marito che aveva ucciso, chiedendo di aiutarla a nasconderlo.
“Tu sarà squartata”
Questa lapidaria premonizione è riportata nei diari di Sanudo, che descrive la vicenda. E certo l’uomo di legge non poteva ignorare quali fossero le pene per le uxoricide. Però non si sottrasse all’aiuto, anzi collaborò attivamente per cercare di evitare alla cugina quella terribile pena. Forse spinto dall’amore che ancora conservava, forse consapevole delle malefatte di quel tiranno per le confidenze ricevute e che Diana aveva confermato. Quindi, con l’abilità di chi è avvezzo a condurre indagini criminali, progettò il piano della salvezza.
Il corpo del Giudeo fu sepolto in una buca nel pavimento del magazzino che era ricoperto solo di tavole, poggiate sul terreno. Dopo aver chiusa la fossa, proprio sotto la scala, rimettendo le tavole in posizione originale, sistemarono uno dei tanti mobili sopra, così che davvero fosse difficile notare la differenza con il resto della stanza.
“La salvezza sta ora nella nostra capacità di far credere che Luca sia partito” Dichiarò l’ufficiale con il piglio di chi non lascia spazio ai tentennamenti.
“Siamo tutti complici – ribadì con consapevole gravità - nessuno di noi si salverà se commettiamo degli errori. Perciò ora vi dirò come fare e non ci possono essere dubbi. Datemi carta e penna”.
Tommaso scrisse quindi una lettera, cercando di imitare per quanto possibile la grafia di Luca, nella quale lo stesso annunciava di voler tornare finalmente nella sua terra di origine, il Montenegro, passando prima per Loreto, alla Sacra Casa della Vergine, per onorare un voto che aveva fatto e salutare un suo vecchio amico fabbro, un certo Curzio.
“Se qualcuno chiede di lui, e succederà perché col suo tipo d’affari ci sono scadenze obbligate, voi direte che è partito e a chi non lo credesse, mostrate la lettera”
Il silenzio che accompagnò le istruzioni fece per un attimo temere che le donne non avessero la forza di sostenere la parte, ma Tommaso ripeté a sé stesso che il primo a crederci doveva essere lui se voleva ispirare fiducia.
“Non temete, succede spesso che qualcuno parta all’improvviso… - e aggiunse come conforto – con gli affari del Giudeo non è difficile immaginare che qualcuno ce l’avesse con lui, così da convincerlo a cambiare aria. Insomma, state tranquille e tenetevi alla traccia che vi ho dato, senza troppi ricami.”
Anche lui non voleva indulgere oltre. Uscì rapidamente e, lungo tutto il percorso dovette combattere con quella tormentante sensazione di aver fatto un grosso errore.
La goccia costante, fastidiosa che cade nell’acquaio e non vi lascia dormire, una volta fatta l’abitudine, vi sveglierà con la sua assenza. Quel silenzio fragoroso è un segnale alla mente che qualcosa è cambiato rispetto alla consuetudine. Così, sparite le spettacolari urla quotidiane che infastidivano i vicini, un’inconsueta calma circondava la casa e per tutti fu enorme sorpresa.
Dopo il primo giorno silente, che molti imputarono ad una sbronza colossale del Giudeo, già la seconda mattinata cominciò a generare quel venticello che scorreva di bocca in bocca, e ognuno ci aggiungeva la sua interpretazione. Le donne più curiose trovarono le scuse facili per bussare e melliflue, tra le banalità, insinuare quanto fosse bella quella pace coniugale ritrovata.
Non ebbero però risposte esaurienti. Diana si limitava a dire che Luca era partito. Era più pallida e vanesia del solito, ma non stupì più di tanto, perché nel quartiere era considerata un po’ scema. Bernardina si difendeva meglio. Col solito cipiglio tagliava corto, diceva che sì, sì era una fortuna davvero che se ne fosse andato, anche se era partito di notte e ancora non sapeva bene per dove, gli aveva sentito borbottare Montenegro, ma quasi non voleva crederci che fosse vero, magari restasse per sempre laggiù che ormai la vita con lui era diventata un inferno. E faceva vedere i lividi che ancora le segnavano il corpo e imprecava che ora avrebbe dovuto provvedere da sola anche alla figlia, perché non aveva lasciato in casa neanche un ducato e tutto quello che c’era in magazzino era robaccia, buona solo per il caminetto.
Passò qualche giorno e prima di rimbalzo dalla vox populi, poi per mancato rispetto della scadenza, uno zio di Luca, un “barba” come si diceva allora, decise di capire bene dove fosse andato Luca. Non era solo amore quello che lo spingeva a indagare. Erano stati soci in affari e conosceva bene l’impegno ingordo del Giudeo nel perseguire fino in fondo il guadagno, meticoloso e costante, mai lasciando a chiunque la minima possibilità di dilazionare o farlo aspettare. In quei giorni avrebbe dovuto riscuotere importanti interessi, una grossa somma che anche lo zio aveva contribuito a creare e di cui si aspettava il giusto ritorno. Che il maledetto fosse scappato con tutto il malloppo? Niente è impossibile col denaro, ma stentava a crederlo, perché Luca tanto era inaffidabile e fuori di testa con le donne, tanto era scrupoloso e preciso nei suoi lucrosi affari. L’alleanza con lo zio aveva più volte dato buoni frutti e anche quella somma che aspettavano, avevano già deciso di reinvestirla in un nuovo traffico vantaggioso. C’era ultimamente quel vizio sciagurato del bere che a volte può bruciare la testa, ma di sicuro non favorisce una fuga notturna programmata. Insomma, il Barba-zio non si dava pace e decise di arrivare fino alla fonte. Andò a casa di Bernardina.
Certo lo conosceva e sapeva che tempra d’uomo era, un brigante come il marito e poco propenso alle favole. Bernardina quella visita se l’aspettava e in qualche modo si era preparata. Aveva perciò ben stropicciata la lettera come avesse a lungo viaggiato, perché ormai erano passati giorni adeguati a renderla credibile. Diana aveva salutato distrattamente l’uomo e si era rifugiata nella sua stanza, per un malessere che il suo pallore giustificava in pieno.
“Mi dicono che sei rimasta sola – esordì il Barba – e son venuto a vedere se… Se serve aiuto… con quella povera figliola che non sta bene... ma come fa un padre a partire così? Così, senza dire niente e nel mezzo di affari che potrebbero cambiare la vita... e certo Luca non è un pazzo con il denaro… faccio fatica a credere..”
L’attacco era partito e Bernardina decise che bisogna stopparlo subito.
“Anch’io ho stentato a crederci, avete ragione – tentò di lisciare il lupo – anzi in un primo tempo ho creduto che avesse trovato un’altra donna.. una di quelle cortigiane che lo rapinavano di tutto il denaro, perché non capiva più niente quando era infoiato… magari, ho pensato, l’ha seguita fuori città, ce ne sono molte ora che vengono da fuori ho sentito, da Ferrara, da Bologna...”
Era partita bene, ma più procedeva, più notava che lo sguardo dell’uomo non allentava quella speciale stretta degli occhi di chi sta cercando il trucco. Si rese conto che stava perdendo sicurezza e cominciava ad aggiungere particolari per rendersi credibile, ottenendo però l’effetto opposto.
Decise di giocare l’asso.
“Poi è arrivata la lettera... e ha sciolto tutti i dubbi… cioè... sappiamo dove è andato, ma non sono ancora sicura che voglia rimanere lì... per sempre… come ha dichiarato...”
“Lì dove? E come, per sempre?”
“Al suo paese, in Montenegro… guardate qui..”
Bernardina estrasse dal cassetto la busta sgualcita, dalla quale esibì lo scritto, ingegnosamente macchiato con qualche goccia di vino.
Il Barba la prese dalle sue mani, mostrando di dover trovare la giusta distanza per leggere bene. Tanto pareva logica nella struttura interna dei contenuti, tanto gli parve improbabile per la personalità del Giudeo. Un voto alla Madonna di Loreto? Non si conosce nessuno davvero in fondo, ma certo avrebbe dovuto essere un gran voto per riparare tutte le potenti bestemmie che gli aveva più volte sentito pronunciare, quando le cose non andavano per il verso giusto. Però quel Flavio Curtio lo aveva già sentito nominare. Trovò in un attimo la soluzione, come si addice ai rapaci.
“No! Non posso accettare che vi lasci così, in due senza nessun sostegno – cominciò ad agitare la lettera, come fosse la bandiera dei suoi buoni sentimenti – scriverò io a questo Flavio, sì ora ricordo di averglielo sentito nominare”
Capì a quel punto che la manovra andava completata col colpo di scena.
“E... e se anche decidesse davvero di non tornare più – si rivolse alla donna con lo sguardo più generoso che la sua mala fronte potesse generare – che almeno provveda ai suoi doveri.. di sostentamento, intendo… per voi due… e nel caso non volesse… ci penserò io.”
Concluse, come lo sconquasso che chiude la strombazzata dell’orchestra.
Bernardina capì di aver perso. Intelligente com’era afferrò subito che qualunque resistenza sarebbe risultata sospetta e quindi non si oppose quando, nell’atto di uscire, con quella finta noncuranza di chi si era dimenticato un particolare, il Barba aggiunse:
“Questa lettera la tengo io… non ti dispiace vero? – e se mai il falso dire può risultare sincero, quello non lo fu davvero – mi serve per dimostrare che… magari Luca potrebbe negare di aver mai detto… così lo posso inchiodare alle sue responsabilità, sei d’accordo vero?”
“Serva vostra!”
Bernardina chiuse l’uscio e capì che il cielo si oscurava di plumbee nubi.
Non aveva torto perché lo zio non indugiò a lungo. Quello scritto puzzava, non solo di vino. Certo non conosceva a perfezione la scrittura di Luca, ma confrontando con alcuni conti che avevano rivisto insieme, notò che i numeri erano diversi, Specie quel due così largo e il tre poi, così poco arrotondato. E’ strano per chi è abituato a scrivere numeri spesso e nelle loro addizioni erano sempre regolari. Insomma, la lettera poteva essere falsa? E perché?
Come tutti gli imprenditori, anche se nel ramo illegale, era abituato all’azione e il mancato incasso, lo stimolò a investire buoni denari che resero rapida l’investigazione. Anche allora, c’est l’argent qui fait la guerre, e il messo cavalcò rapido, spronato dagli abbondanti ducati. Tornò con la notizia che in fondo il Barba-zio si aspettava. A Loreto nessuno sapeva del Giudeo e dall’amico Flavio non c’era più stato da anni.
Il Barba, allora, cominciò a sospettare che qualcosa di grave fosse accaduto al Giudeo. Non aveva prove, in realtà, perché il Giudeo poteva aver scritto una cosa e poi averne fatta un’altra. E anche la lettera, non poteva dimostrare fosse davvero falsa. Però si fece chiara l’idea che potesse essere stato ucciso e quella lettera consegnata dalla moglie era il segno evidente della sua complicità o forse anche della sua colpevolezza.
Non fu la scelta preferita. Quel mondo della giustizia gli era poco congeniale e qualcosa doveva essere arrivato anche su di lui e il Giudeo, attraverso le vigliacche “bocche della verità”, dove qualche fannullone imbucava la propria maldicenza. Ma il Barba contava molto sulla scelta di presentarsi di persona agli Avogadori, dove seppe recitare con passione la parte del bravo cittadino che non vuole accusare nessuno, e però non può nascondere quelle perplessità che inducono a credere sarebbe meglio indagare, perché non fosse mai che un grave delitto restasse impunito, gettando discredito sulla Repubblica e sui suoi bravi difensori dell’ordine. Ci fu anche chi sorrise per tanto inconsueto zelo, ma certo una persona era scomparsa e le voci erano giunte anche alle mille orecchie che la Repubblica prudentemente aveva sparso nel territorio. Dopo una denuncia formale, non si poteva comunque sorvolare e dunque fu istituito una sorta di processo preliminare, e Bernardina venne convocata davanti ai giudici.
Il cuore batteva forte, a un osservatore attento avrebbe rivelato il ritmo accelerato nel pulsare delle vene sotto le tempie. Ma Bernardina sapeva guidare la tensione dei momenti rischiosi. Ne aveva vissuti tanti, nei quali aveva anche pensato di morire e spesso erano situazioni in cui non poteva far nulla per orientare la sorte favorevole. Qui, invece, molto dipendeva da lei, dalla sua capacità di restare nel sottile confine della credibilità. Un sentiero unico e stretto, dove da un lato bisognava conservare la fredda calma razionale e d’altra parte si doveva anche manifestare l’inevitabile agitazione emotiva di chiunque sia sottoposto a un’indagine. Soprattutto, non doveva nascondere il suo odio verso il marito che certamente era ben noto anche agli inquisitori. Il rammarico per la partenza improvvisa sarebbe risultato sospetto.
Con questa determinazione varcò la porta che introduceva alla piccola sala dove, sopra una cattedra a semicerchio, sedevano tre uomini rivestiti con le insegne della legge. Fu letta la denuncia, che dichiarava le molte incertezze sulla scomparsa del marito, le infruttuose ricerche nei luoghi indicati dalla lettera, i sospetti del Barba e le fu chiesto se avesse da aggiungere qualcosa in aiuto all’indagine.
“E’ ben strano che proprio a me si chieda che fine ha fatto mio marito”
Esordì Bernardina che aveva subito colto lo sguardo interessato alle sue forme del giudice centrale, il più autorevole, il cavalier Alvise Mocenigo. Fece in modo che, nel prender posizione verso la cattedra, la camicetta si aprisse di più e fissò i suoi brillanti occhi neri su quelli del cavaliere, che scelse istintivamente come interlocutore. Quindi, proseguì:
“Tutti sanno e… credo anche voi.. che la sua scomparsa mi rende la più felice tra le donne. Lo so, non dovrebbe dirlo una moglie, ma... – qui cominciò il suo teatro – ma io non sono moglie… sono una schiava.. che lavora e suda per mantener la casa e allevare una figlia… una figlia che non ha ancora dote… e quei pochi denari che entrano, sono perché io mi arrabatto a vendere qualche rimasuglio del magazzino... che mi comprano persone generose, per pietà… e se oso chiedere qualcosa a Luca… al Giudeo – pronunciò forte quell’appellativo ben sapendo quanto impregnasse di sospetto l’aula – se io protesto... non per me... ma per mia figlia… ecco.. ecco vedete …”
Si scoprì le spalle, tirando la stoffa verso il basso, con una mossa che ben sapeva avrebbe anche lasciato intravvedere quanto ben di Dio nascondeva quel cotone. Apparvero lividi e alcune cicatrici che indicò col dito, ma che non intaccavano per nulla il fascino della sua pelle ancora densa di un biancore invitante.
“Perciò, non mi interessa dove sia andato, spero solo che non torni più… preferisco rompermi le ossa a lavorare… piuttosto che farmele rompere per niente da lui… in qualche modo farò… magari potrei iscrivermi all’albo delle cortigiane… così forse …”
Si fermò un attimo, pensando di avere esagerato. Però aveva anche notato che quell’ultima frase, aveva acceso una nota di speranza nello sguardo del cavaliere, che certamente non avrebbe esitato a diventare il suo primo cliente.
“Quanto alla lettera… io so leggere a malapena... e il Giudeo – (repetita iuvant!)- non mi aveva mai scritto prima… lettere d’amore – Ci fu un’altra pausa d’effetto – questa è la prima che ho visto e non so dire se è vera... – gran finale – le altre me le aveva scritte sul corpo!”
Si girò alzando la camicia e mostrando la schiena, dove parallele alcune cicatrici dichiaravano colpi di frusta. Nel ricoprirsi tardò a far scendere la camicia, così che per un attimo il cavaliere poté vedere distintamente le stupende cupole della cattedrale, che lasciarono sulla sua retina una foto più volte riemersa la sera, a letto.
“Un’ultima cosa voglio dichiarare – aggiunse appena ricomposta – ed è a quello zio che venne a chiedermi notizie… che io accolsi come amico e che ora.. ora mi denuncia.. dopo avermi promesso il suo aiuto… io gli ho dato la lettera senza titubanze… io sono stata sempre sincera… ma forse da me si aspettava altre cose… fra noi due, chi è stato un mentitore?” Ci fu silenzio di riflessione nell’aula e Bernardina non perse il vantaggio “Vedete bene signori quanto ho guadagnato da questa scomparsa… povertà e assalto di falsi aiutanti.. una figlia da mantenere da sola… e le maldicenze di chi non mi crede..”
Ma il cavaliere le credette. Forse penserete che molto abbia influito la grazia delle forme e quel telepatico accordo, che si convinse d’aver stretto nel gioco degli sguardi. Però Alvise Mocenigo era anche esperto uomo di legge e, in effetti, a sostegno dell’accusa c’erano solo indizi, sostenuti fra l’altro da un uomo che non aveva certo benemerenze con la legge. Bernardina poté dunque tornare a casa e lo fece rapidamente, perché temeva cedimenti da parte dell’anello debole, quello di sua figlia.
Diana era tranquilla, se così si può dire di uno stato quasi catatonico. Tuttavia reagiva adeguatamente alle sollecitazioni che richiedevano azioni concrete. Aveva imparato il ritornello e lo ripeteva convinta, come fosse la formula magica con cui tenere lontani i fantasmi. La madre l’aveva più volte minacciata. Rischiavano entrambe, Bernardina la vita e Diana una lunga detenzione per complicità, senza dimenticare che nessuno l’avrebbe voluta in moglie, specie se fosse emerso che era stata violentata dal padre. Insomma, non avrebbe parlato, ma anche non avrebbe potuto offrire alla madre ulteriore aiuto, oltre al silenzio.
Bernardina, invece, dopo il processo, aveva perso sicurezza. C’era stata una vittoria che per un po’ avrebbe tacitato le trame del Barba, ma era sufficientemente smaliziata per intuire che si trattava di una calma passeggera. Le persone di quello stampo non si rassegnano facilmente, specie se si tratta di denaro, specie se in qualche modo si sentono sconfitti da una donna. Cominciò quindi a temere per l’unica vera prova del suo omicidio: il cadavere sepolto in casa. Bisognava eliminarlo. Ma, come fare? Certamente non sarebbe riuscita da sola. Serviva l’aiuto di qualcuno, anche se ciò avrebbe aperto una nuova breccia nel castello della sua difesa.
Pensò di chiedere di nuovo aiuto al cugino, ma fu un grave errore, di cui si pentì non appena riuscì a parlargli, dopo averlo fatto chiamare. Il tono, la decisione con cui le chiese se era impazzita a venirlo a cercare, fermò qualunque ipotesi di poter contare su di lui. E forse fu questa sconfitta a creare la sua ossessione. Quel pensiero non le lasciava pace. Scendeva spesso le scale che portavano in magazzino. Scrutava le tavole su cui poggiava il mobiletto che le bloccava. Le pareva che si fossero mosse. Cercava conferma dai segni lasciati sul legno fradicio, ma erano così numerosi da avallare qualunque sospetto. E chi poteva essere stato? E se non fosse davvero morto quando l’avevano sepolto? Se in un disperato risveglio avesse tentato di aprirsi una via d’uscita? Era una follia, perché il cranio era stato ben spappolato, ma la fantasia ha una sua realtà sfuggente alla logica e sa alimentarsi anche dei particolari più improbabili. Soprattutto, non rinuncia facilmente alle ipotesi negative. E’ in grado di riproporne in continuazione, una volta esaurita la prima, invece di rallegrarsi, ecco sbocciare la nuova pista, magari anche più infausta. Così, le sembrò di sentire l’odore della putrefazione. Non c’era nulla che differisse da quel sentore di umida muffa terrosa, ben noto negli scantinati lagunari, e anche la marea altalenante contribuiva a lanciare effluvi perniciosi. Tuttavia, Bernardina percepì distintamente quel sapore malauguratamente dolciastro che talvolta si poteva cogliere anche nelle botteghe dei “becheri”, dei macellai meno diligenti. Poi si pentiva e lo negava a sé stessa, risaliva in cucina e l’aria la faceva per un attimo rinsavire. Ma non aveva pace, qualche minuto dopo era di nuovo giù, a fianco della scala ad annusare. Cominciava ad uscire di senno. La cosa peggiorava alla sera. Come sempre il buio solleva il sipario dei nostri fantasmi. E Bernardina cominciò a sentire la sua presenza. Era un attimo, una frazione di secondo, come un lampo che niente di oggettivo poteva confermare, eppure lo aveva visto, lo aveva sentito alle spalle. Allora correva di nuovo giù alla luce incerta della lampada per controllare quelle assi, divenute lapidi della sua disperazione. Tutto a posto. Cercava rifugio nel letto, ma il sonno pur incombente, non elargiva riposo, ma nuovi giochi di prestigio in cui le immagini ipnagogiche si mescolavano alla certezza di aver sentito dei rumori, un respiro affannoso, il battito di un cuore, un’ombra alla finestra.
Impazzirò, aveva pensato, devo assolutamente liberarmi di quel corpo, a qualunque costo. Come spesso accade, la disperazione disegna strade facili anche dove il rischio è più elevato. Quel giovine, quel Vincenzo che tanto di lei s’era invaghito, al punto d’aver osato l’approccio senza esitazione, le parve uomo concreto, forte e in grado di tenere un segreto, se adeguatamente motivato. Proseguì dunque la tresca che si erano promessi. Bastò qualche incontro più sfacciato, per creare nell’uomo quella dipendenza che le avrebbe dato potere contrattuale. Ogni giorno Vincenzo l’implorava di trovarsi ancora e scalpitava alle prudenze di Bernardina che, con la sua ritrosia, preparava lo scambio di favori.
Finalmente, dopo una giostra amorosa ove aveva saputo mescolare il piacere elargito alle promesse di nuovi godimenti, che innescavano frementi desideri, Bernardina pensò fosse giunto il momento. Rivelò il suo segreto e chiese l’aiuto dell’amante, con la promessa che sarebbe stata sua per sempre.
Si aspettava il silenzio, anche qualche incertezza, perché non era richiesta da digerire facilmente. Aveva messo in conto anche di dover insistere e cercare nuovi argomenti, ma restò del tutto spiazzata dall’immediato assenso. Vincenzo fu rapido, come spesso accade a chi fugge dal terrore.
“Sì, sì… certo ti aiuterò… te l’avevo promesso.. qualunque cosa pur di averti.. per sempre mia... non ti preoccupare… domani… sì, sì domani… ti faccio un segnale e poi… poi parliamo… ci mettiamo d’accordo su tutto... sì, sì lo farò… e le so fare io queste cose… sì, sì…”
Tanti, troppi di quei sì seguirono veloci, ma ancor più veloce fu il suo rivestirsi mentre cantava borbottante la sua canzone di complicità e ad ogni parola pronunciata, una freccia amara colpiva il cuore di Bernardina che capì d’essersi perduta. Fu così repentina, anche se invero facilmente prevedibile, quella reazione, che perfino la tempra combattente della donna venne meno, si arrese e finse anche lei l’accordo che ormai era chiaramente svanito.
La porta si chiuse e Bernardina si sentì davvero sola e disperata.
Spesso il desiderio maschile corre veloce come saetta e nella fretta d’ottenere soddisfazione, come toro sfonda tutte le porte, quasi dotato d’enorme coraggio. Ma è solo un miraggio, perché appena avvenuto lo sfogo, tutto decade a precipizio e quel che prima si adorava, diviene solo vizio che genera vergogna. Non per tutti accade, ma ci son uomini in ciò particolarmente dotati, nel tradimento con la stessa velocità del giuramento. Vincenzo era uno di questi. E corse l’indomani all’Avogaria, per denunciare il delitto. Ovviamente nascose come ebbe la confidenza, ma alla pragmatica giustizia veneziana ciò non importava.
Questa volta colpirono il punto debole, fu convocata la figlia Diana. Non servirono molte minacce, perché ai cuori fragili la menzogna crea un peso che chiede solo d’essere sollevato da una buona motivazione. Bastò un velato accenno all’uso della corda negli interrogatori reticenti e una spettacolare promessa d’impunità, insomma il bastone e la carota funzionarono perfettamente. Diana dichiarò tutto, senza omettere dettagli.
Toccò quindi a Bernardina a ripresentarsi davanti agli Avogadori. Come ricorda il Sanudo: “Et cussì ritenuta ditta Bernardina, senza corda confessò la verità”.
Lo scavo nel pavimento del magazzino portò alla luce il cadavere e senza indugio venne istruito il processo.
“Hor venuto questo caxo in Quarantia criminal publico, era assa’ persone venute per vederlo”
Fu dunque un avvenimento cittadino. Lo si capisce bene dalla precisione dei dettagli che il Sanudo inserisce nella sua meticolosa cronaca (cfr . 1 Agosto MDXXI) che pare scritta da chi assistette di persona al dibattito. Immaginiamo l’affollamento rumoroso attorno alla sede dove si svolgeva il processo.
Per primo parlò l’avogador Mocenigo, ormai rassegnato all’evidenza dei fatti, perché l’imputata si era dichiarata colpevole, e lesse tutti gli atti d’accusa registrati.
Seguì l’arringa di “sier Zuan Donado avochato di presonieri”, una sorta d’avvocato d’ufficio che tuttavia svolse con accuratezza il suo ruolo, puntando la difesa sulla causa prima di quell’omicidio, perché era noto a tutti “de la mala vita li feva so’ marito”.
Bernardina taceva. Aveva deciso di confessare subito senza subire la tortura, aveva capito che tutto era perduto non appena vide le guardie arrestare la figlia. Diana già faticava a mantenere il segreto con i vicini e certo non sarebbe stata in grado di reggere alle domande dei giudici. Tutto era perduto ormai. Lo aveva già intuito chiaramente al momento della “fuga” di Vincenzo. Per un po’ aveva cercato di illudersi che fosse solo vigliaccheria e spavento e che mai l’avrebbe denunciata, poi si era rassegnata e ormai attendeva solo che giungesse la sorte.
Dopo l’arresto, l’avvocato tentò di spronarla a una difesa più prudente. Si fece raccontare ogni dettaglio per cercare di organizzare un’argomentazione che sostenesse la legittima difesa, che potesse evitarle la condanna capitale. Bernardina omise però l’elemento più grave, quello davvero scatenante la sua furia, lo stupro della figlia. Non voleva che Diana già debole e fragile di suo, fosse travolta anche dalla devastazione di un crudele pregiudizio popolare, che spesso attribuisce la violenza dell’uomo alla condiscendenza, se non alla provocazione, della donna. Aveva salutato per l’ultima volta la figlia che le passava accanto dopo la testimonianza, condotta da alcune suore nel convento dove sarebbe stata relegata. Nell’abbraccio, che le fu concesso, ebbe modo di sussurrarle all’orecchio “Nessuno saprà mai”
E nessuno davvero lo potrà sapere. Neppure noi che ora riesumiamo il caso che il magico Sanudo ci ha lasciato in eredità. Non abbiamo prove che possano dimostrare la nostra teoria che affidiamo solo a quel “verosimile” che si aggiunge al “vero” del racconto.
Certo un qualche sospetto verrà anche a voi, leggendo nei Diari che l’omicidio avvenne “dormendo el dito suo marito sul bancho del leto de la camera di soa fiola”. Che ci faceva lì?
Stranamente, l’orgogliosa, testarda ostinazione con cui Bernardina rivendicò l’omicidio, assumendosene tutte le colpe, quasi a giustificare l’azione come una liberazione dalla schiavitù cui era soggetta, creò una spaccatura tra gli avogadori. Vi fu un tormentato dibattito tra due fazioni, una guidata dal consigliere Trun, che propose con altri la condanna a morte per “semplice” decapitazione “li sia tajà la testa”. L’altra fazione, più numerosa, guidata dal consigliere Erizo, propose fosse squartata “sia conduta in mezo le do Colone a San Marco, dove sia descopata, e fatta in quatro”. Vinse quest’ultima con 28 voti favorevoli e 9 contrari.
Non si trattò di una semplice condanna, fu quasi un’ammonizione a quante osassero di nuovo attentare alla vita del marito. Si attuò, infatti, il rituale più feroce, quello destinato ai misfatti più gravi.
Così il 3 Agosto 1521, Bernardina “vestita di biancho, con un camisoto et una scufia lieta in capo” fu legata al palo di una peata , che percorse il Canal Grande, dalle prigioni fino a Santa Croce, “cridando par uno comandador la soa colpa”.
Fatta scendere, fu condotta a piedi “pur cridando la so’ colpa a Santo Antonin dove la stava” presso il campiello della Fraterna. Qui, davanti alla folla, le fu “tajà la man destra e con quella apicà al collo” fu di nuovo trasportata a San Marco, tra le due colonne.
La fine dei terribili tormenti giunse solo dopo ostinata resistenza, perché, come nota il Sanudo, che certo assistette all’esecuzione, Bernardina morì “con gran stento datoli del cortelo nel cuor e nella gola, e tamen si moveva”.
“Poi fu squartata in quatro parte, e mandata apicar su quatro forche a exempio di tutti”
“Et questa è la prima donna sia stà squartà in questa terra”
Lo stesso Sanudo pare quasi stupito di tanta severità. Lo ripete più volte, cercando una plausibile giustificazione alla crudeltà dell’esecuzione.
“Non si trova più alcuna dona, per delicto avesse fato mai, fu squartata, sicchè questa è la prima: Està caso grandissimo: si ha ben trovato altre haver amazà so’ marito ma non con tanta acerbità.”
Forse aveva ragione. Noi notiamo solo, col nostro occhio moderno paritario, che il cugino Tommaso, l’ufficiale della gendarmeria, fu condannato a soli quattro mesi di carcere per aver aiutato la donna.
S.V. aprile 2021