Vai ai contenuti
Bruno Trangoni
LAGUNANDO 2023 > selezionati 2023 Poesia e narrativa > Orti dei Dogi - narrativa
Terzo classificato
Orti dei Dogi
-Racconti-
Nato al Lido di venezia nel ‘64.
E’ dal 2016 che si scopre scrittore di romanzi e racconti e poesie.
Ha partecipato nel 2019-2020-2021 al concorso letterario “Lagunando” ottenendo un premio nel 2019 con il romanzo “L’isola”, poi pubblicato da “La toletta”.
Nel 2021 ho presentato il romanzo “L’inseguitore.” ottenendo il Terzo Premio.
Già presente edizione:






Orti dei Dogi
-Narrativa-
Silvie






La scena è la stessa.
Io sono ancora qui, non esattamente qui dov’ero lì quella volta. Quella volta, in quel lì di quella volta, mi ero volutamente allontanato, ero il bambino che tiene il broncio aspettando la consolazione della mamma. Lì aspettavo la consolazione di lei. Arrivò, non subito, arrivò dopo una mezz’ora abbondante. Volevo che lei si occupasse di me, che si ricordasse che c’ero anch’io, che dovesse preoccuparsi di cosa stavo passando, del perché avessi deciso che in quel momento dovevo soffrire. Che stupido! Infantilmente stupido! D’accordo, avevo 19 anni, non ero esattamente un uomo, ma ero sicuramente più uomo che bambino.
Ricordo ogni singolo fotogramma di quei momenti. Ricordo tutto ciò che riguarda i passati remoti.
Lei però non era una brava. Ci ho messo molto del mio, ma di sicuro non sono stato aiutato, anzi. Adesso che sono cresciuto, non di poco, comprendo le mie debolezze di allora, ma ho anche la necessaria lucidità per comprendere che non è stata solo colpa mia. Sento il bisogno di ripetere che ho la necessaria lucidità.
Adesso che sono cresciuto la scena sembra essere ancora la stessa, sono ancora qui. Avere qualche decina abbondante di anni in più rispetto a quella volta mi serve per non farmi più sentire cretino. Perché anche adesso c’è una lei, ma non mi sono appartato aspettando e sperando che venisse qui. Perché lei non verrà, la scena non è più la stessa. Io non sto aspettando né soffrendo, pur sapendo che lei non verrà. Lei potrebbe essere mia figlia. Già, potrebbe, ma non lo è, quindi questo non deve essere un problema. Non può e non deve essere un problema che la scena di quella volta sia capitata quando lei qui ora ancora non esisteva e non era nemmeno previsto che sarebbe esistita.
È per questo che ora non m’importa se non verrà, perché sarebbe innaturale e potrei sentirmi a disagio. Ma non m’importa soprattutto perché io ho già avuto. Da lei. Mi sto bevendo la mia birra, è buonissima, me la sto proprio godendo. Sto pensando e rivivendo senza fatica quello che ho da poco vissuto e che devo ricordare per farlo vivere ancora. Per tutta la sera le ho parlato, di tutto ciò che ho combinato, forse in quei 40 e più anni di vita che ci separano. L’ho sicuramente annoiata, avrei dovuto capirlo prima. Si vede che essere quasi sessantenni non ti fa capire in tempo queste cose. Si ha bisogno di un certo tipo di compagnia, si ha bisogno solo di un po’ di illusione visionaria, si ha bisogno di non rendersi conto della realtà. Curioso che proprio quell’ultimo mio bisogno venga spazzato via dal bisogno che invece ho adesso di rendermi conto di quello che è appena successo e abbia così bisogno di fissarlo, altro che spazzarlo via!
Non ricordo neanche le idiozie con cui, diciamo così, l’ho intrattenuta per un tempo indefinibile, sicuramente troppo lungo, per lei almeno. Questo non m’interessa ricordarlo, anzi, meglio dimenticarlo, mi fa sentire a disagio ricordarmi con quanta stupidità ho accompagnato quello stupido tempo prima della pausa e prima dell’indimenticabile. L’indimenticabile doveva per forza essere anche esageratamente sorprendente, neanche nelle mie fantasie più spinte l’avrei immaginato. Me lo devo ripetere perché faccio ancora fatica a credere che fosse tutto vero. Lei mi è venuta da dietro, mi ha messo le braccia attorno al collo, sentivo il suo inconfondibile profumo, mi è rimasto addosso. Mentre mi parlava il suo viso era a contatto con il mio, guancia a guancia. Mi stava dicendo che eravamo entrati nel momento di festa, che io avrei dovuto cantare una canzone, in modalità karaoke. Lei mi pregava di farlo, sapeva che non le avrei mai potuto dire no. Dovevo cantare Azzurro. E va be’, cantiamola. Avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto. Il suo abbraccio al collo mi aveva inavvertitamente stretto troppo. Le dissi che così avrei fatto fatica a cantare. Lei allentò subito la presa ridendo e manifestando forse un finto imbarazzo. Non conoscevo tutto il testo della canzone, o forse non lo ricordavo, a un certo punto mi sono fermato, però non ho cantato male, sentivo solo la mia voce e tutto silenzio. Sono riuscito a non fare una figuraccia. E anche questo solo perché c’era lei.
Non ricordo come l’ho conosciuta e come è maturata da sola quella fase imbarazzante dei miei mille racconti. Non ricordo neanche perché sono capitato qui. E per finire non so neanche come si chiama lei.
Io sto con la mia birra. Sto bene. Ogni tanto la vedo, vedo che non guarda mai verso di me. È logico. La vedo ballare con ragazzi della sua età. Logico anche questo. Devo essere sincero. Un po’ la desidero, meglio, desidero la sua presenza. Sì, ammettiamolo per favore. Vorrei che venisse qui. Ma non soffrirò se non verrà. Come detto, ho avuto il mio momento indimenticabile, oltreché inspiegabile. Sto bene. Lo ripeto. Sto qui da solo e poco m’importa se nessuno pensa a me. Continua a venirmi in mente quella canzone. Peccato che lei non abbia scelto di farmi cantare questa invece di Azzurro, l’avrei cantata con più coinvolgimento emotivo, soprattutto mi sarei ricordato l’intero testo. È vero, me lo sono anche ripetuto. La scena è la stessa ed è anche vero che tu non sei qui, Sylvie. Sì, ho deciso, approfitto di non sapere il tuo nome e ti battezzo Sylvie.
Eccoti ancora là, Sylvie, ora stai guardando verso di me, forse stai dicendo a chi è con te qualcosa di ridicolo che mi riguarda. Io giro lo sguardo, non voglio farti percepire che ho bisogno della tua presenza o almeno del tuo sguardo verso di me. Mi basta essere contento di avere smesso d’importunarti, anche quando, a mio dire, avrei potuto averne diritto, dopo la tua improvvisata dell’Azzurro. Invece ho scelto la parte del molto più vecchio di te che capisce e sta al suo posto. No Sylvie, non devi venire verso di me, non è giusto, non lo voglio. No, non è vero, sì che lo voglio, però non devi. Ecco, va bene così. Lo voglio ma tu non devi.
Mi hai colto di nuovo di sorpresa. Questa volta non sei venuta da dietro, anche se ti ho vista all’ultimo momento perché guardavo altrove. Fingo stupore e sorpresa, in realtà sono al settimo cielo. Vedo le tue bellissime mani stringere il tuo bicchiere di birra. Ne hai presa una anche tu, per essere come me. Sono al settimo cielo, ma non me la sto facendo sotto. Riesco con una credibile disinvoltura a fare cin cin con il mio bicchiere sul tuo.
“Ti devo chiedere scusa.”
Che palle! È venuta solo per scusarsi. Gentile, certo, ma che m’importa delle sue scuse? Io volevo altro. No, non cose innominabili, semplicemente un altro attacco di discorso. Banalmente rispondo. Non ho potuto farne a meno.
“Scusarti di che?”
“Ti ho messo in imbarazzo invitandoti a cantare.”
“L’hai fatto e io sono stato al gioco.”
Faccio un altro brindisi. Le scuse e le controscuse sono finite. Adesso se ne andrà. Mi esce un temerario “tutto qui?” sapendo che avrebbe potuto istigare reazioni negative.
“No.”
Temerario, ma meritevole. Me la sono giocata con tanto rischio. Adesso non devo rovinare tutto, quindi aspetto che sia lei a parlare. Mi limito a guardarla.
“Ho apprezzato che sei voluto stare al gioco, ma anche…” sembra imbarazzata “che non mi hai creato nessun disagio. Te ne sei rimasto per conto tuo senza dire e fare niente. Io lo so che avresti potuto comportarti diversamente, ne avresti anche diritto e io lo capirei, però hai scelto di non farlo. Veramente l’ho apprezzato molto.”
Questa sta giocando a ‘quanto so leggere dentro di te’ e a ‘quanto ti piace che io sappia leggere dentro di te.’ Accidenti a te, Sylvie! Era meglio se ti scusavi e andavi via. Cosa mi vieni a dire che hai apprezzato e cosa? E io perché non me ne sto zitto?
“Non ti dovevi scusare.” Ma sì, ormai i buoi sono fuggiti, che m’importa di calare le braghe adesso? “Non ti devi scusare perché ho passato un momento veramente molto bello. E chi me lo fa passare non deve scusarsi per averlo fatto.”
Bene, Sylvie, sei riuscita a farmi sentire come mi sentivo una volta. Mi stai facendo venire le farfalline. Adesso sì che ho paura. Se te ne vai adesso finisce che mi mancherai e stavolta sì che penserò di stare in silenzio a fumare che tanto ormai nessuno pensa a me. Che la scena è la stessa ma tu non sarai più qui. Devo contrattaccare, non posso farti scappare ora, ma anche questa volta riesci a sorprendermi.
“Davvero hai passato un momento molto bello?” Non sembra fingere, sembra davvero contenta di questo. Sembra, ovvio.
“Me lo vuoi dire cos’è esattamente che ti ha fatto passare un momento molto bello?”
Ahi, ahi, ahi! Ti piace mettermi con le spalle al muro, eh? Ma non te lo voglio dire, non qui almeno.
“Non me lo vuoi dire?”
Scuoto quasi impercettibilmente la testa.
“Forse preferisci dirmelo, magari, non qui?
Sorrido. Perché hai capito tutto. Per fortuna non mi prendi per mano se no sarei morto, però ti alzi e mi inviti a farlo.
E adesso si fa veramente dura.
Andiamo fuori, lei davanti a me. Abbiamo lasciato i bicchieri dentro, li abbiamo vuotati quasi simultaneamente. Mi sta portando lontano, lei sempre avanti, non si ferma. Sembra sappia dove dirigersi. Brutti pensieri? Una trappola? Incontrerò quattro energumeni che mi pesteranno a morte? Il cattivo pensiero è giustificato solo per il fatto che tutto ancora mi sembra troppo inverosimile. E troppo bello. Finalmente si ferma, su un muretto basso ad altezza seduta. Sapeva dove andare, ci sarà già stata di sicuro. Ci sediamo in linea però riusciamo a guardarci in faccia. Sylvie se ne sta in silenzio. Certo, sono io quello che deve parlare.
“Sai...” stavo per dire Sylvie “… sai, anch’io ti devo delle scuse.”
Lei non replica, accenna solo un minimo di sguardo interrogativo.
“Per averti tenuta un sacco di tempo a raccontarti tutte quelle mie storie noiose.”
Non riesco a nascondere il mio disagio per aver detto una cosa che non c’entrava niente. Lei ancora una volta accenna solo un minimo di reazione, alzando leggermente il sopracciglio sinistro.
“Scusato.”
Che vuol dire ‘adesso continua.’ Mi scappa un sorriso stupido.
“D’accordo. Io ho passato un momento molto bello, diciamo pure indimenticabile. Dopo averti annoiata con le mie stupide chiacchiere, pensavo non volessi più avvicinarti a me. E invece tu che fai? Non solo non mi eviti, ma mi vieni addirittura vicino. Lo so, per te è stata una cosa normale, poco significante, se vogliamo. Per me è stato un momento di felicità, dico sul serio. Ancora non me lo spiego. Seduto al tavolo con la mia birra cercavo di ricordare ogni singola frazione di tempo di quel breve momento. E mi bastava. Non volevo altro” bugiardo! “non volevo questo. Oh, certo, la mia felicità è aumentata quando ti sei avvicinata a me ancora una volta, ed è indescrivibile anche quello che sto provando in questo momento. È tutto molto bello, grazie a te.”
Bene, ho vuotato il sacco. Come una volta. Come la prima volta. Ma sto bene, non mi sono liberato di un peso. Mi ha fatto piacere dirglielo. Non so quanto le importerà, se le ha fatto piacere se lo meritava.
Faccio per alzarmi. Lei mi ferma con le sue parole.
“È bello anche per me quello che mi dici.”
Ora mi ferma anche con il gesto. Il gesto è sedersi sulle mie gambe. Non ci sono più. Non sono presente. Ho bisogno di qualcuno da fuori che ci veda e mi dica che mi ha ancora messo le braccia attorno al collo e ha appoggiato la sua testa sul mio petto.
Oh, Sylvie, Sylvie! Questa scena non la potevo nemmeno immaginare!
Adesso sì che si fa dura!
Alza lo sguardo verso di me, io resto fermo, non mi avvicinerei mai. La cosa strana è che il piacevole momento non mi sta producendo piacere fisico. Questo è molto strano. Sto bene con Sylvie, ma non la desidero. Molto strano.
“Ti ricordi quando mi prendevi in braccio e mi cantavi Carissimo Pinocchio? Lo confesso, ho nostalgia di quand’ero bambina, ma ho nostalgia anche di tempi più recenti, di quando c’era la mamma, di quando tu stavi bene. Lo so, non ti faccio del bene a ricordarti questa cosa, è che quando ti vedo così, che sembri totalmente sano, mi sembra impossibile che non sia così e quindi mi viene da parlarti come se la tua cosa fosse capitata a un altro. Io ho bisogno ancora di te, papà, ho bisogno di te anche se è successo quello che non avrei mai voluto succedesse. Sento dire che a un certo punto chi soffre di questa terribile cosa arriva a non riconoscere neanche i propri figli. Sento che con te questo non succederà, anzi lo vedo.”
Sylvie… mia figlia…non potrebbe essere, lei è mia figlia! Mi sento mancare, non me lo posso permettere, devo resistere, devo farlo per lei.
“Oddio, che succede? Sei diventato bianco…”
“Senti…” non posso chiamarla Sylvie, ma non ricordo il suo nome “tesoro, adesso vorrei andare a casa. Mi sento stanco, mi avevano avvertito che potrebbero capitarmi momenti improvvisi di stanchezza, forse non dovevo bere.”
Ora sì che le sto creando disagi, evidentemente non sono in grado di non crearne; il suo sguardo dice che non è più sicura del mio star apparentemente bene. Devo riprendermi, o almeno far finta.
“Tranquilla, sto bene, sono solo un po’ stanco, è normale.”
Mi sono inventato questa cosa, non sono per niente stanco, mi sento male, è diverso, a casa farò una gran fatica ad addormentarmi, dovrò sicuramente prendere delle pastiglie, spero che tra queste ci siano quello che mi faranno dormire.
Lei, non nascondendo sollievo, mi stringe affettuosamente e mi dà due baci sulle guance.
“Ti porto a casa io, poi ti metto a letto, va bene? Stavolta ti canto io Carissimo Pinocchio.”

Torna ai contenuti