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Carla Barison
LAGUNANDO 2023 > selezionati 2023 Poesia e narrativa > Orti dei Dogi - narrativa
Nasce a Venezia, laurea magistrale in Scienze Politiche.
Con la scrittura e la pittura, sue grandi passioni, fotografa le emozioni, i sentimenti e le speranze dell’essere umano, nelle varie sfaccettature della vita.
Già presente edizione:







Orti dei Dogi
-Narrativa-
TIENIMI PER MANO





Erano passati molti anni dall’ultima volta che decisi di non ritornarci mai più. A Lio Piccolo erano svanite tutte le mie speranze, tutti i miei progetti. In quel luogo, dove finisce il mondo ma dove inizia la vita, avevo perso la mia amica del cuore ed il mio grande amore. Anna mi aveva portato via il mio uomo, la mia unica ragione di vita. Anna e Giulio si erano innamorati follemente e me lo dissero guardandomi negli occhi, chiedendomi perdono per il male che mi stavano procurando. Fu un doppio tradimento, che mai glielo avrei perdonato.
Era una giornata soleggiata di inizio estate, inforcai la mia bicicletta e, con il vento tra i capelli, dopo anni di lontananza, mi diressi verso Lio Piccolo, un posto incantato, solo chi lo conosce può capire la forza che ti dà quel luogo magico, il contatto con la natura ti entra nella pelle e nell’anima,  lì ritrovi te stesso e l’essenza della vita.
Percorrevo la strada che conduceva ad una valle da pesca, il cinguettio degli uccelli era assordante, era musica che mi riportava ai vecchi tempi, quando ero ragazza e gioivo di quei posti incontaminati, puri, dove la gente è rimasta incollata alle vecchie tradizioni.
Ero felice, assaporavo quella gita come una sferzata di vita, non c’era ombra di essere umano, sembrava un luogo dimenticato da Dio.
Casualmente, lungo il percorso, vidi un ragazzino sul bordo di una valle da pesca, era foderato di rami dalla testa ai piedi e, incuriosita, mi fermai.
Mi guardò con gli occhi sbarrati e mi disse immediatamente “Ti prego, non denunciarmi, sto pescando di frodo, devo mangiare”. Gli risposi subito “No, non ti denuncio, figurati, se vuoi ti aiuto, così mangio anch’io con te, perché ho fame”. Furono queste mie parole che lo misero subito tranquillo e mi fece un enorme sorriso.
Mi disse “Dai vieni qui ma nasconditi, qui non si può pescare, questo è un allevamento di branzini e sai che buoni che sono, ne prendo uno anche per te, così lo mangiamo assieme, facciamo presto, tu prendi subito la bici e corri in fretta verso l’ultima casa, in fondo a questa strada, io arrivo in un attimo”.
Seguii le sue indicazioni, ero magicamente attratta da questa avventura e da quel ragazzino che mi faceva una grande tenerezza.
Dopo aver percorso la strada sterrata trovai la casa, era un posto magnifico, tutto attorno c’erano solo valli e barene. Da lì a poco arrivò il ragazzino con i pesci presi di frodo, i suoi occhi brillavano di gioia.
“Guarda che bei pesci, ora li pulisco e li cuocio sulla griglia, tu intanto prepara la tavola”.
Preparai la tavola, misi una caraffa d’acqua fresca in centro e lui, con una destrezza incredibile, pulì i pesci e li mise sulla griglia a cuocere.
“Tra un quarto d’ora saranno pronti, ci sono anche dei pomodori in frigo, prendili e mettici solo un po’ di sale, io esco a prendere il basilico, sentirai che sapore”.
Ci sedemmo a tavola e lui educatamente mi servì il pesce. Mangiammo in silenzio, mi chiese se mi piaceva, gli risposi che era il pesce più buono del mondo che avessi mangiato e che stavo divinamente bene.
Fu allora che, rilassati, mi permisi di chiedergli il suo nome, se era la sua casa e quanti anni aveva.
Mi guardò fisso negli occhi e mi disse “Mi sei simpatica, ora sei mia complice perché hai mangiato il pesce che ho rubato”. Lo guardai e mi misi a ridere, gli risposi che quello era il nostro segreto e che eravamo due ladruncoli. Fu proprio questa frase che lo rassicurò e cominciò a parlare di sé.
Si chiamava Marco ed aveva 14 anni, quella non era la sua casa ma, l’abitazione e tutta la valle, erano di un anziano signore che l’aveva acquistata per andarci una volta al mese.
“Sai è un uomo molto ricco, gli sono simpatico, forse mi vuole bene a modo suo, è un po’ burbero, ma gli voglio bene perché, quando sono con lui, mi racconta cose interessanti, con lui imparo molte cose, mi parla di storia, di letteratura, di geografia, lui ha girato il mondo. Viene qui perché solo in questo posto trova la tranquillità, forse è molto stressato, però mi lascia frequentare questa casa anche quando non c’è. Qui vive tutto l’anno Antonio, il guardiano, lui deve sorvegliare la casa e occuparsi di tutto. A volte mi fermo anche a dormire perché qui sto bene, sai io non ho più i miei genitori, loro sono morti in un incidente stradale, vivo con mia nonna e, per poter fermami qui, il guardiamo deve chiedere il permesso a lei”.
Mentre parlava il suo sguardo diventava sempre più triste, mi guardò e disse “Tra un po’ rimarrò solo completamente, mia nonna è anziana e non sta bene, soffre di cuore, ho paura della morte, ho paura di rimanere solo, come farò a sopravvivere, sono troppo giovane per lavorare e non so come mantenermi, spero che mia nonna viva a lungo”.
Mi sentii gelare, un brivido mi prese dalla nuca fino ai piedi, cosa potevo dire ad un ragazzino così giovane, che speranze potevo dargli?. Mi sentivo inerte di fronte ad un problema così grande.
Marco si alzò dalla tavola e mi disse “Ora ti preparo il caffè, lo vuoi? Io non lo bevo mai perché non mi piace, ma questa volta voglio farti compagnia e lo berrò con te”.
Più lo guardavo e più mi faceva tenerezza, aveva un viso bellissimo, due occhi che sembravano due fanali, i lineamenti erano perfetti e vagamente mi ricordavano qualcuno che, però, non riuscivo a focalizzare.
Bevemmo il caffè e poi gli dissi “Marco ora tu stai seduto e mi parli di quello che vuoi, io intanto lavo i piatti, in fondo devo sdebitarmi dell’ottimo pranzetto che mi hai preparato”.
Si mise a ridere e, con uno sguardo furbo, mi ricordò che avevamo rubato assieme e che non dovevo assolutamente sentirmi in debito.
Mentre lavavo i piatti iniziò a raccontarmi della sua infanzia, di sua mamma e di suo papà, parlava con una velocità di un treno in corsa, sembrava quasi gli mancasse il fiato, era come un vulcano in eruzione. Mi raccontò di quando imparò a nuotare in laguna con suo papà, delle corse ad ostacoli che facevano, delle gite in bicicletta e dei pic nic che d’estate faceva con i suoi genitori.
Poi, tutto all’improvviso, si adombrò, le lacrime iniziarono a scendere sul suo viso e, con un filo di voce mi disse “Perché non ero in macchina anch’io con loro? Perché invece di essere in macchina, sono rimasto a casa a giocare? Ora sarei in cielo in loro compagnia”.
Lo abbracciai forte e lo strinsi al cuore, gli asciugai le lacrime con un tovagliolo e gli dissi “Dai, ora non devi piangere, mi devi portare in giro per la valle e poi, se lo vorrai, mi porterai a conoscere tua nonna”.
Riprendemmo ciascuno la propria bici, Marco mi portò negli angoli più nascosti delle valli circostanti. Stavo bene, era tanto tempo che non mi sentivo così bene, la sua compagnia mi faceva riflettere sulla fortuna che avevo e che, nella vita, bisogna sempre avere uno sguardo rivolto agli altri, che donare anche un sorriso a volte ti ripaga di più di mille cose.
Girammo in bici tutto il pomeriggio, il sole stava tramontando, il cinguettio degli uccelli stava diventando rimbombante, erano tutti presi a rifugiarsi ognuno nel proprio nido e così facemmo anche noi, Marcò mi portò a casa sua, nel suo nido.
Ci ricevette la nonna, una signora anziana e molto esile, aveva i capelli bianchi raccolti in uno chignon, portava un grembiule a fiori rammendato con dovizia ed ai piedi aveva delle ciabatte consumate.
Mi accolse subito con un sorriso e mi chiese chi ero, le raccontai dell’incontro mattutino con Marco. Mi fece entrare a casa scusandosi per non averlo fatto subito e mi fece strada chiedendomi di accomodarmi in cucina.
Respirava a fatica, non voleva farmi capire che stava male, mi chiese se volevo un po’ di limonata fresca. Le dissi di sì e che l’avrei bevuta se la beveva anche lei, e così facemmo.
Marco mi prese poi per mano e mi disse “Ora ti faccio vedere la mia cameretta, così sai dove passo le mie giornate quando non vado a scuola e quando non vado in valle”.
Salimmo su una scala di legno scricchiolante e mi portò nella sua cameretta. Una tenda di lino bianca svolazzava davanti alla finestra, c’era un bel fresco. Tutto ad un tratto mi sentii male, le gambe non mi reggevano più, cominciai a sudare, non vidi più nulla e mi ritrovai stesa a terra, senza rendermene conto.
Marco urlava “Ti prego non morire, ti prego almeno tu non mi devi lasciare”. Mentre la nonna mi alzava le gambe da terra, Marco mi tamponava la fronte con un panno bagnato.
La nonna mi disse che aveva avvisato i vicini e che sarebbe arrivato subito un medico.
Tenevo gli occhi chiusi, sentivo che tremavo come una foglia, Marco mi teneva per mano. Avevo visto quello che non avrei mai pensato e voluto vedere.
Nella sua cameretta c’era una foto di sua mamma e di suo papà che lo tenevano in braccio.
Anna, sua madre, era la mia migliore amica e Giulio, suo padre, era l’uomo che avevo amato,  Marco era il frutto del loro amore.
Arrivò il medico, mi controllò subito la pressione ed il battito cardiaco, mi fece alcune domande che a malapena riuscii a rispondergli. Gli dissi che avevo avuto una forte emozione, che avevo solo qualche dolore dovuto alla caduta e che non volevo andare in ospedale.
Marco era al mio fianco e mi teneva per mano, il suo viso pallido metteva ancor più in evidenza i suoi grandi occhi scuri, mi guardava fisso senza parlare.
Dopo avermi fatto una minuziosa visita, il medico mi prescrisse una serie di esami da fare nei prossimi giorni.
Eravamo tutti più rincuorati, Marco e la nonna fecero un profondo respiro di sollievo. Mi sedetti su una poltroncina e Marco mi disse “Credevo di fare un colpo quando ti ho vista cadere, meno male che non hai nulla e che non ti sei fatta male”.
Era ormai tardi, sarei rimasta ancora con loro, ma non volevo recare disturbo più del dovuto. Marco mi prese una mano e mi disse “Ora vai a casa tua, ma quando tornerai a trovarci?”. Gli risposi “Tornerò presto, te lo prometto e poi dobbiamo ritornare a pescare”. Ridemmo tutti e due.
Presi la bicicletta, la caricai in auto e tornai a casa mia.
La notte la passai con gli occhi sbarrati a guardare il soffitto, il pensiero fisso era Marco, non potevo assolutamente abbandonarlo.
Andavo a Lio Piccolo a trovare Marco ogni mese, non potevo stare lontano da lui e lui aspettava quel giorno con gioia ed entusiasmo. Ero certa che vederci facesse bene ad entrambi, ma mai e poi mai avrei raccontato a Marco che conoscevo i suoi genitori.
Una mattina all’alba mi svegliai di soprassalto, il telefono squillava, era Marco, disperato, piangeva, non riuscivo a capire quello che diceva, gli dissi di calmarsi e di fare un respiro profondo prima di parlare, solo poi capii quello che era successo.
“Vieni qui, ti prego, la nonna è morta”.
Aspettavo questo momento, in cuor mio sapevo che, prima o poi, avrei ricevuto questa telefonata.
Immediatamente chiamai il pronto soccorso dell’ospedale e di corsa andai da Marco. L’ambulanza era già arrivata, Marco era rannicchiato in un angolo della sua cameretta, piangeva, teneva in mano la foto dei suoi genitori. Mi sedetti vicino a lui, mi scendevano le lacrime, lo abbracciai e dalle mie labbra uscirono poche parole “Non ti lascerò mai, ci sarò io al tuo fianco e penserò a te, se tu lo vorrai”.
I nostri sguardi si incrociarono, Marco mi prese le mani e mi disse “Sì, ti prego, non mi lasciare, sarai tu la mia mamma”.
Scoppiai in un pianto dirotto ed in quell’istante perdonai immediatamente Anna e Giulio, mi avevano dato un dono enorme, Marco, il frutto del loro amore.

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