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Lisa Bortolato
LAGUNANDO 2023 > selezionati 2023 Poesia e narrativa > leggere lagune - poesia
Nata a Venezia; attualmente vive a Pianiga.
A 16 anni comincia a scrivere la sua prima poesia e vince il concorso nazionale “Piccolo poeta” svoltosi a Ripatransone in provincia di Ascoli Piceno.
L’anno seguente si classifica al 5° posto del concorso internazionale “Città di Venezia”.
Partecipa a varie antologie tra le quali: “I dialetti nelle valli del mondo”.
Si propone di dilatare attraverso la lettura le emozioni che gli artisti hanno saputo trasmettere al pubblico nelle sale di alcuni tra i più antichi e suggestivi teatri della Romagna.
Negli ultimi anni sta lavorando al un progetto personale per l’uscita della sua prima pubblicazione.
Leggere Lagune
IL POETA





All’alba
il poeta si recava nel bosco
per contemplare la meraviglia
Tra le fronde del suo cuore
nei pressi della sorgente
il ruscello si raccoglieva
in un’ inquietudine tranquilla
In quel “ punto di contatto”
la vastità dell’orizzonte parse un oceano
Il mistero da cui tutto proviene
Nuvole di zucchero filato
si tuffavano tra i riflessi
Ed erano anche alberi
e poi smeraldi
E le stesse medesime qualità
a cui tutto appartiene
Con l’ inverno la sostanza liquida
che accadeva nel cielo
Per magia
mutava di sembianze
Con un’armonia stonata
Era sia neve morbida
che rigido ghiaccio

Sotto una pellicola di vento
lui si scoprì nudo
Totalmente senza pelle
bruco e poi farfalla
Quando sentii come un eco:
“chi sei? ” -gli chiese
“la mèta, per come appare, è semplicemente un gioco di specchi
dinnanzi i tuoi occhi.” -disse la Verità.
“Non so’ bene dove sono diretto. Il mio intento è solo viaggiare.
E rimosse le cuticole, scoprire che il germoglio è lo stesso seme”
-rispose con voce limpida il poeta
Allora più vicino alla fonte
la nebbia si dissolse
Dal suo riverbero nacque luce
Dalla sua mancanza l’arcobaleno
LA SILLABA




La sera che ti conobbi
c’erano solo pagine bianche

Tu mi lasciasti
una barchetta di carta

Un origami semplice
venuto al mondo tra boschi
di resina e di conifera

Nel firmamento
dei tuoi occhi di cometa
t’alternavi con le lucciole e le cicale

Così
con il buio
si destrutturò il verbo

Svanì
il timone dei miei versi
Persi completamente
il controllo delle strofe

Tra le fluttuazioni gravitazionali
del mio grembo in tempesta
non ritrovai più
Nemmeno una sillaba
LA SALIVA


Oggi scarseggiano
I vocaboli
La lingua adatta
Per dipingerti
Ma alla fine
Come sempre
Hai vinto tu
Ho sputato
su carta
tutta la saliva sudata
dei miei versi

CUORE BAMBINO



Il corpo che rispondeva,
pronto, ad ogni comando
non ha più la leggerezza del lupo,
né la maestosità dell’aquila
quando plana ad ali orizzontali.
Sulle salite disselciate della vita
sento mancare il respiro
e, passo a passo, il calcagno
batte l’orma del ritorno
lasciando ai sassi sparsi,
alla polvere, solo il sapore
di un andare svelto.
Filtrano tra i pioppi
le luci oblique di ottobre
e penzolano gli anni
al filo del destino
che attende cieli d’inverno
ma da pupilla a pupilla,
lungo la curva dei vostri occhi,
mi ritrovo fresco di rugiada,
con un cuore bambino.
Sotto la leggerezza
del contatto di ciglia
si svela l’azzurro più elementare
di un infinito marecielo.
Abito lì, nell’interstizio sottile
dove il pronome io vuol dire noi,
in una santità del nulla
che ci rende felici del niente
se non dell’esistere.
Ringrazio la vita che, in silenzio,
annoda le nostre differenti infanzie
in fili sottili di intatto amore.

IL BUIO DELLA NOTTE



Intrisa di incertezza
la notte minerale piomba
nello spazio di gravità
come se sfondasse
l’architrave del cielo.
Si consuma, senza rumore,
in un cerchio di niente,
come una morte che non ha luogo.
Nella verità luminosa del buio,
dove vegliano solo le cose
e più intimo è il presente,
vado incontro a me stesso
con la sola stringa del pensiero.
Tastando la grana del silenzio
l’anima si accorda al battito del cuore
in un ascolto leggero, a misura di respiro.
D’improvviso, sulla superficie
del sogno, un cruccio assiduo
si affatica nel tormentarmi.
Mette paura, produce cieco dolore
come se l’artiglio di un rapace
graffiasse la pelle, pezzo a pezzo.
Che sia il timore di aver preso
o perso qualcosa;
di aver rubato il tempo,
io, ladro a me stesso?
O forse solo la paura
di esser me stesso?
Spento nel misterioso tumulto
anche il più tenue bisbiglio mentale,
si ricompone uno stato di quiete
e il timore d’ali spezzate svanisce,
non so come, non so dove,
al buio di un cielo denso di stelle.

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