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Patrizia Birtolo
LAGUNANDO 2023 > selezionati 2023 Poesia e narrativa > Orti dei Dogi - narrativa
Nata a Mendrisio, residente a Giussano.
Laureata in lingue, insegna nella scuola primaria.
Nel 2006 pubblica il primo racconto per CUT UP Edizioni. Partecipa da tempo a concorsi di narrativa riportando apprezzabili riscontri e risultando selezionata per svariate antologie collettive.
Nel 2012 esce “Qualcosa di rosso” per le Edizioni Montag.
La raccolta vince la sezione narrativa breve al premio “Residenze Gregoriane” nel febbraio 2021.
Nell’agosto dello stesso anno pubblica il romanzo “Cime (di rapa) tempestose” con la CIESSE Edizioni.
Già presente edizione:






Orti dei Dogi
-Narrativa-
LA CLASSE PERFETTA





Io vado lento, io vado piano,
Chi corre sempre non va lontano
Il mondo è pieno di cose lente
Chi corre sempre poi non le sente
Guarda che bello questo universo
Se corri sempre te lo sei perso
Guarda che bella questa carezza
Non ci sarebbe senza lentezza
Rallenta un poco, rallenta ancora.
Cosa succede se perdi un’ora?
(Sabrina Giarratana, “Filastrocca della Lentezza”,
da Filastrocche in valigia)

Caro Diario,

è brutto da dire, lo so. Ma Samuele è proprio uno dei bambini più leeeeenti che abbia mai conosciuto.
L’altro ieri, passate da poco le undici e mezza, sulla sua pagina di quaderno c’era scritta solo la data. Faccio l’insegnante da vent’anni, ho visto cose che voi umani…
Eppure c’è ancora chi riesce a sorprendermi.
È vero, l’ora dopo l’intervallo è sempre un po’ critica, ma solo la data in quaranta minuti?
Samuele comunque è in degna compagnia, in quella classe, e tu lo sai.
Ecco come si diventa delle personcine stile Mildred Ratched, l’infermiera di Qualcuno volò sul nido del cuculo: basta passare qualche ora tutti i giorni in 2°C.
Lo so, caro diario, lo so: Samuele in realtà mi delizia, con il suo spirito contemplativo. E poi c’è Delia che si intrattiene in lunghe conversazioni con il muro, Elsa che è impegnata a fare la questua in cerca di matita, gomma, temperino e pastelli; ha così tanta roba in quel suo astuccio che scoppia come il mio freezer: da entrambi non si riesce più a cavar fuori nulla.
Marco è un tipo concreto, per fortuna, e se resta indietro non ne fa un dramma, anzi. Passa molto tempo a consolarsi con pratiche forse più adatte a momenti di maggiore intimità.
Meno male che il suo vicino di banco, Sergio, non si accorge di nulla; per tenerne agganciata l’attenzione non basterebbe uno spettacolo pirotecnico.
Giuliana invece è bellissima e in gamba. Ha capacità relazionali fuori dal comune: riesce a far fare a tutti più o meno sempre ciò che vuole lei. Sarei pronta a scommettere su un suo futuro sfolgorante in politica. Servita e riverita da ogni compagna, è circondata da una schiera di amichette prodighe nel riordinarle il sottobanco, farle la cartella, aiutarla negli esercizi. Tutti i giorni tocca dirimere dispute su chi debba starle accanto di banco, ma poi la sua attitudine al comando risolve prontamente ogni questione.
Certo, perché mena come un fabbro.
Beh, caro diario, la perfezione non è di questa Terra.
Ah, stavo per dimenticare Luca, che ha paura a usare la sedia quanta ne ho io ad accomodarmi in un bar di lusso: è più a suo agio aggirandosi tra i banchi. Ma sì, come il venditore ambulante di cinesate luminose che vaga fra i tavoli di una pizzeria. Per dirla in breve, è il re del cazzeggio.
Completa il quadro Abdullah, che ha preso sul serio la missione di farsi largo nella società italiana: smania sempre per essere il primo di qualsiasi fila. Lo standard del suo volume di voce è quello del bazar di Marrakesh.
Lo so caro diario che ci sono anche molti altri alunni e alunne in classe, non lo nego. Per la maggior parte del tempo costituiscono un’entità unica; li chiamo “quelli della via Gluck”: gente tranquilla, che lavorava.
Certi giorni mi accorgo che esistono come individui singoli, di solito mi tocca avvertirli ché qualcuno sta loro soffiando il bis della torta di compleanno. A volte spiccano nella foschia confusa di manine rosa che frullano e nel coro di “io lo so lo so lo so” perché dopo essere stata afflitta da un tot di boiate sparate fuori come uno sternuto - ditemi una parola con “ghi”… Risposta soave: ieri la nonna mi ha portato a giocare nel parco! - finalmente ci sono loro: aspettano il proprio turno per parlare e dicono non solo cose sensate, ma perfino brillanti - il ghiro Alighiero è ghiotto di ghiande… o giù di lì.
Dio benedica la via Gluck, è grazie a quella se tiro avanti.
Ora, tu lo sai, sarebbe filato tutto più o meno burrascosamente, con le colleghe dell’altro plesso che ci sfottevano in maniera plateale a ogni incontro di classi parallele perché erano sempre più avanti di noi nel programma - Ma cosa fate voi del plesso di via Torino? Eh? Come vi trastull… Ops, come lo impiegate il tempo? - se non se ne fosse uscita fuori Marinella, quella di cui ti ho già parlato tante volte, con una delle sue grandiose idee. Marinella è un’iperattiva con smanie da formatrice di professione - mancata - che ogni due per tre ci capita in classe per tastare il terreno e vedere come vanno i malcapitati piccini, passati dalla sua mirabolante gestione al nostro traccheggiare affannoso.
Lei sì che ha tempo: ora è in pensione.
Siccome però le serve un pretesto per ogni volta che ci piomba addosso, ogni volta ecco che se ne esce con l’intenzione di farci tuffare a capofitto in un progetto nuovo: tutto per metterci un altro carico aggiuntivo sulle spalle. Pregusta il momento in cui ci sbilanceremo, credo.
Ti ho già raccontato dei famigerati incontri per “fare rete”? Sì, quelli di cui io poi la notte mi sognavo che saremmo tutti finiti aggrovigliati nella rete come prede di un gladiatore reziario.
Ecco, non ci crederai ma mercoledì scorso, all’ultima riunione, Marinella si è davvero superata.
L’ultima trovata in ordine di tempo per cercare di destabilizzare una situazione già precaria? Il famigerato screening delle prove MT. La collega che le ha somministrate è uscita sconvolta dalle classi. Te l’avevo detto? No? Si vede che ho rimosso.
Adesso un nuovo incubo si profila già all’orizzonte.
Il famigerato, temuto, agghiacciantissimo dettato detto “SEDICI PAROLE”.
Il dettato sedici parole è una sfida all’ultimo sangue per qualsiasi classe, ma per la nostra si tramuterà in un vero e proprio massacro.
Diario, è meglio che ti spieghi per bene. Questo esercizio consiste nel dettare sedici parole nell’arco di pochi minuti: l’intervallo previsto tra una parola e l’altra è di sette secondi nel primo quadrimestre e cinque secondi nel secondo quadrimestre. Naturalmente la dettatura dovrà essere singola, senza ripetizione, senza star lì a sillabare, senza tapping, senza niente di niente.
Non ce la faremo mai.
Sono troppo, troppo lenti, troppo distratti, troppo in altre faccende affaccendati. Solo farli ascoltare si rivelerà un’impresa, me lo sento. Figuriamoci farli scrivere!
Ma naturalmente mica potevo perdere la faccia di fronte all’irriducibile Marinella, anche perché ha in mano tutte le fila dell’organizzazione parrocchiale del nostro ridente paesello.
E tu sai bene che nel paese dove vivo io l’oratorio è il faro nella notte, il polo d’aggregazione, il fulcro della vita cittadina.
Perdere la faccia lì è come fare crack per una fabbrichetta brianzola, come steccare a Sanremo per un cantante, come finire giù lunga distesa sulla passerella alla Settimana della Moda. Non me lo posso permettere.
Caro Diario,

sono giunta a una fatale conclusione.
La classe è quello che è.
È inutile che vada cercando conforto a destra e a manca, qualsiasi cosa io racconti a qualsiasi collega mi sento ribattere “E la mia? Vuoi sentire la mia, vuoi sentire?” E così ho capito che non c’è scampo, non c’è rimedio, dobbiamo farcela a superare il dettato e dobbiamo farcela con le nostre forze.
Ho buttato giù un piano d’attacco, e ho deciso di prescindere da tutte le colleghe d’italiano e vedermela faccia a faccia con i miei bambini.
Perciò stamattina sono entrata in classe e ho fatto questo discorsetto.
“Ok, ascoltatemi bene adesso. Vi piacerebbe una scuola con pochissimi compiti? E quei pochissimi divertenti? Tipo, non so: scrivere il riassunto di una puntata del cartone di Phineas e Ferb, o fare i lavoretti prendendoli direttamente dalle pagine del giornalino di Art Attack?
Vi piacerebbe una scuola dove per inglese facciamo solo giochi e scenette?
Vi piacerebbe mangiare caramelle e patatine tutti i giorni e stare in palestra fino a quando cadete tutti giù morti stecchiti e mi dite basta maestra pietà ti prego?
Ecco, allora sappiate che dobbiamo prima superare una prova molto difficile!”
I bambini, che a ogni mia domanda hanno intervallato dei sì in risposta degni di un pubblico da arena wrestling, a quel punto si sono guardati sconcertati fra loro.
“Si chiama dettato sedici parole, ed è il dettato più difficile del mondo. Solo poche scuole in tutto l’universo hanno una classe in cui tutti i bambini sono riusciti a superare degnamente questa difficile prova!” ho rincarato con aria di mistero.
Mi sono sembrati molto elettrizzati dalla sfida.
“Quando cominciamo, quando cominciamo?”
Ieri, dovevamo cominciare ieri, anzi due mesi fa, per avere una speranza concreta di farcela… Ho pensato fra me e me in preda a un soprassalto di realismo. In quanto a rimandare e prendersela con calma, non sono niente male neanche io.
Ma per non deluderli ho detto solo:
“Cominciamo subito! Non perdiamo altro tempo!”
Vedi, caro diario, c’è una cosa che forse non ti ho mai detto. Quei ragazzini sono un po’ squinternati, ma mi vogliono bene.
Lo capisci quando un ragazzino ti vuole bene, il segnale più inequivocabile sono gli abbracci dati all’improvviso, questo tuffarsi tra le tue braccia con caparbietà, con irruenza.
C’è anche una specie di dolce sfinimento in certi sguardi, quando ti cercano con gli occhi da pesce bollito perché li hai fatti lavorare come matti e non ne possono più.
Insomma, forte del fatto che quei ragazzini mi vogliono bene - ma non è merito mio: i bambini riescono ad affezionarsi anche a una pietra, se è per questo – oggi mi si sono affidati. Ho percepito una specie di strana allegria, questa mattina in classe.
Serpeggiava un’atmosfera particolare, un misto di compiacimento e sforzo, un certo strenuo attaccamento a quello che si stava facendo, la sensazione di essere di fronte a un obbiettivo alto, ma non irraggiungibile.
Un obbiettivo che, te lo preannuncio, sposterò sempre più lontano, come un miraggio.
Ho cominciato a motivarli in maniera subdola, decantando i risultati fantomatici di altre classi inesistenti per fare leva sul loro amor proprio, per solleticarne l’orgoglio.
Così è partita la prima delirante simulazione in cui ho piazzato la bomba giocattolo del gioco Scoppia la bomba a piena carica: dura un minuto e mezzo.
Ho spiegato loro che in quei novanta secondi dovevo riuscire a dettare almeno sedici parole. È praticamente il punto d’arrivo, in realtà.
La mia strategia è questa: siccome anche gli antichi romani si allenavano con pesi più duri di quelli che dovevano usare in gara, e finché non si sono ammosciati sono riusciti a dominare territori immensi per oltre un migliaio d’anni, ho pensato che anche per noi potesse andare bene, come sistema. Un duro allenamento per un grande traguardo.
Sarò sincera. Nel tempo in cui ho lanciato la prima carica sono successe nell’ordine le seguenti cose.
Viviana si è alzata quattro volte per raccogliere temperino, gomma, pastello e diario che continuavano a caderle dal banco e dal sottobanco, sembrava uno sketch comico.
Sergio si è messo a gorgheggiare sinistramente e questo ha impedito a Vincenzo di sentire due o tre parole, il che gli ha fatto venire in mente l’insana idea di chiedermi di ripeterle, cosa che non è prevista. Arianna e Carolina ne hanno approfittato per chiacchierare tra loro, guardando un giornaletto dove c’erano sirene dalle code squamose luccicanti di glitter. Abdullah ha cominciato a lanciar gomme da cancellare, festoso come quando si tira il riso agli sposi. Luca è partito per il suo tour itinerante, non mi badava più.
Disperazione.
Più o meno in quello stesso arco di tempo è entrata in classe la bidella con un avviso urgente da distribuire; la mia collega di matematica mi ha mandato un inviato speciale a trafugare un abaco dall’armadio - naturale che l’inviato speciale non sapesse dove guardare - e si è rovesciata una bottiglietta d’acqua per terra.
Mi son chiesta se per caso non fosse anche il giorno previsto per un’evacuazione, così, giusto per gradire.
Ho deciso di mettere via tutto e riprovare domani, alla prima ora, con molta calma.
Ho fatto male, che dici?

Caro Diario,

adesso ci sono.
La cosa va affrontata con più sistematicità, l’ho capito.
Abbiamo organizzato un girone all’italiana e fronteggiato il dettato come uno scontro diretto.
Fosse anche l’ultima cosa che faccio in vita mia, devo velocizzare questi bambini. Ne farò delle macchine da guerra, rapidi e insaziabili d’incarichi e di attività, a qualsiasi costo.
Ho preso i due più forti della classe e li ho fatti scornare uno contro l’altro, poi siamo andati avanti a procedere per coppie appaiate, fino a che non mi è rimasta la metà dei ragazzini disponibili.
Fra quelli che non avevano superato il primo turno ho organizzato un altro girone, detto “della speranza” - a loro ho imbastito un pastrocchio di pretesto - e poi sono andata avanti a scontri diretti finché non mi sono rimasti i due più forti.
A quel punto li ho fatti scontrare tutti contro tutti, finché non ci hanno capito più niente e io con loro.
Ormai sapevamo soltanto che avevano fatto più dettato di parole nelle ultime due ore che in tutta la loro vita.
Così, in mezzo allo sfinimento generale, ho decretato un vincitore assoluto. Erano stremati, nessuno si è sognato minimamente di fare polemica, che bello!
L’importante per tutti era solo smetterla con quei dettati.
Il vincitore assoluto, già non ricordo più il nome, ma è uno della via Gluck, proclamato in mezzo a un tripudio di battimani e pacche sulle spalle, per premio si è beccato un elegante diploma da incollare sulla pagina di quaderno, una raffinata, pregevole confezione di mini-pastelli omaggio, un giro d’onore in tutte le altre classi della scuola mostrando il diploma, e tanti saluti.
Mi chiedo: ne sto facendo un’esagerazione di meritocrazia? La risposta è: NO.
Nella vita bisogna premiare chi ha buoni risultati, perché le cose regalate tolgono il gusto di ottenerle, se uno non se le suda non ne ricaverà alcuna soddisfazione.
Questa la versione ufficiale, la tiritera edificante che ho propinato alla classe.
Ma a te la mia verità la posso dire: per niente al mondo voglio sfigurare davanti all’instancabile Marinella!
Ci somigliamo quanto un colibrì e un bradipo, ma non cederò le armi senza prima vendere cara la pelle.
Domani è un altro giorno, caro diario.

Caro Diario,

oggi ho annunciato un nuovo girone di sfide. L’obbiettivo è sempre il solito: chi scrive la parola corretta nel minor tempo possibile, uno contro uno, a eliminazione.
I bambini mi sono sembrati i concorrenti di un reality davanti alla sfida. Al vincitore dell’altra volta ho detto che era esonerato in quanto campione uscente. Doveva, invece, essere assolutamente attento ai risultati che avrebbero riportato i compagni. Si era trasformato in una sorta di arbitro-ispettore: doveva vigilare sul buon funzionamento della prova.
Un sacco di bambini vanno matti al pensiero di controllarsi tra loro per sanzionare il comportamento dei compagni! Ce ne sono alcuni che provano davvero gusto a mettere in rilievo le magagne altrui, hanno una vista di falco per la pagliuzza nell’occhio del prossimo… Le mie travi invece me le tolgo da solo, che problema c’è?
A me importava solo avere un altro vincitore, perciò li ho lasciati fare.

Caro Diario,

siamo andati avanti per un’altra settimana. Cominciamo ad avere parecchi vincitori all’attivo, e miracolosamente tutti sono migliorati in attenzione, concentrazione, e soprattutto, con mio enorme compiacimento, in ritmo e velocità - come recitava un giochino stupido che facevo da piccola.
Non mi sembra vero.
Samuele è diventato un bolide, si esercita anche la sera a casa con la mamma e oltre a essere molto migliorato nel corsivo, diventato di un nitido da paura, è anche molto più corretto in ortografia.
Anche Viviana adesso vuole assolutamente scrivere in corsivo, ed Elsa, che faceva una fatica straziante in lettura, tutte le sere si mette di buzzo buono con la mamma che l’ascolta. Ha già terminato tre libri della biblioteca scolastica. Lei, non sua mamma!
Stiamo filando a gonfie vele verso un clamoroso successo collettivo!
Caro Diario,

ho cantato vittoria troppo presto.
Probabilmente l’entusiasmo e i bei risultati dei ragazzini sono trapelati anche al di fuori dell’ambito familiare, tutto l’amore per lo studio è traboccato senza confini dilagando in mezzo paese.
Mamme troppo entusiaste. La cosa non ha tardato ad arrivare alle orecchie puntute della mia ex collega Marinella che, non essendo abbastanza impegnata come catechista, adesso si presta quale insegnante part time presso la scuola privata del paese vicino. È passata alla concorrenza, insomma.
Ora, io non voglio insinuare nulla, ma ieri mi son trovata in classe una bella sorpresona.
Ma prima, antefatto.
Le cose credo si siano svolte più o meno così.
Marinella, visto che come catechista, formatrice, insegnante part time e rompiballe random non ne ha ancora abbastanza, come sai offre i suoi servigi anche alla Caritas diocesana. Raccoglie le varie situazioni di bisogno: per esempio si è prodigata nei confronti di alcune famiglie di immigrati cinesi e così questi si sono ricordati della sua intercessione quando sono stati raggiunti dai parenti appena arrivati.
Insomma: una bella mattina di queste mi sono ritrovata un ragazzone cinese alto un metro e sessantacinque, che non spiccica una parola d’italiano, fresco fresco là: seduto a un banco di seconda elementare, roba da farlo sembrare il GGG di Roald Dahl. A quanto pare i suoi genitori, non sapendo dove sbattere la testa, si sono rivolti all’oratorio per un corso di prima alfabetizzazione. La mia cara ex collega ha detto: Ma no!! Deve cominciare subito con la frequenza scolastica!! Conosco io la persona giusta! C’è un’insegnante che è bravissima, ha fatto un lavoro di recupero nella sua classe che non finisce più…
Sono giorni che tengo d’occhio Tai Shan, che ha scelto come business name “Mauro”. È un ragazzone buono e collaborativo, fortemente determinato a imparare l’italiano.
Ma anche un po’ duretto di comprendonio.
Continuo a fargli ripetere le parole bisillabe previste, lui le capisce, ma fa fatica a scriverle. Tai, cioè, Mauro? Qua bisogna sbrigarsi, lo sai o no? Sei arrivato cinque giorni fa e ancora non scrivi niente in italiano? Mi vuoi far crollare la media nella prova delle sedici parole? Questo era quanto ruminavo tra me guardandolo negli ultimi tempi. Lui, povero diavolo, non si può proprio dire che non ce la stesse mettendo tutta.
Alla fine sai cosa ho deciso, caro diario?
Ho approfittato del primo pomeriggio libero per recarmi nel salone da parrucchiere dove lavorano la mamma e il papà della mia new entry cinese e ho cercato di intavolare con loro una sana discussione sul rendimento scolastico di Mauro.  
“Mauro ha bisogno di fare più esercizio” ho detto guardando dritto negli occhi prima la madre e poi il padre.
La madre mi ha indicato il lavatesta e il padre mi ha detto “Plego!”
“No, non sono venuta per fare la piega” ho cercato di fargli capire. “Sono la maestra di Mauro. Volevo parlare di come va lui a scuola!”
“Va con lo zio” mi risponde il padre perplesso. Poi, folgorato:
“Cleato qualche ploblema? Non blavo?”
“È bravo, ma c’è bisogno che faccia un grande sforzo perché tra poco abbiamo gli esami e lui deve arrivare ben preparato e deve fare più esercizio d’italiano: ha parecchio da imparare ancora.”
Tradotto: se non mi scrive sedici parole in novanta secondi io perdo la faccia con Marinella e tutto il suo entourage, e non potrò più uscire di casa senza sentirmi gli sberleffi anche dei merli di passaggio.
Il tutto mentre un’altra voce, quella della coscienza, mi sussurrava: ma povero Mauro, che faccia tosta a pretendere da lui l’impossibile. Per forza ha ancora parecchio da imparare: è in Italia da diciotto giorni!
“Ah sì sì” mi ha sorriso il padre.
“Ma non c’è qualche vostro parente che conosce bene l’italiano, che gli può dare una mano a tirarsi un po’ su con la lingua?”
Quando ho detto tirarsi un po’ su il padre ha alzato gli occhi al soppalco del negozio e guardato la fila di scatole dei phon che ingombrano la mensola di fianco all’entrata.
“Lisci o mossi?” Mi ha chiesto poi con un sorriso disarmante.
“Ho capito, fammi ‘sti capelli va. A Mauro ci penserò io. Devo dargli una mano. Cosa facciamo? Vengo qui in negozio e organizziamo un recupero istantaneo ultra extra strong?”
Il padre per tutta risposta mi ha avvolto un asciugamano intorno alle spalle.
Caro diario, ormai mi sono messa in modalità maestrina del film Non uno di meno. Non so perché noi insegnanti soffriamo tutti di questo impeto messianico alla “io ti salverò” e quando vediamo qualcuno che ha bisogno, specie scolasticamente, è più forte di noi: non riusciamo a trattenerci, mannaggia… Devo tirar fuori anche Mauro dai suoi guai linguistici. Altrimenti nei guai ci finisco io.


Caro Diario,

le lezioni individuali con Mauro mi stanno dando grandi soddisfazioni. Abbiamo cominciato con le parole che vede scritte su tutti i cartelloni del negozio: tintura, colore, piega, liscio, riccio, piastra… E avanti così. Ci alleniamo in una nuvola umida di vapore e lacca, sprofondati in quel turbine di odori cosmetici e avvolti dalla musica cantilenante delle melodie cinesi che escono dalla radio.
“Più veloce, Mauro. Più veloce!”
Mauro arranca ma migliora in modo costante. Io un giorno sì e uno anche ho i capelli fatti a meraviglia. Non si può certo dire che le lezioni siano di poca utilità.
La mattina si procede insieme agli altri a scuola, il pomeriggio vado a trovarlo in negozio, ma, tanto per non restare troppo legati al tema capelli & Co., fra poco passeremo all’area semantica del raviolo, della bacchetta, di tutte le buone cose scritte sul menu da asporto del ristorante di fronte al salone dei suoi genitori. Chissà se anche i gestori del ristorante hanno figli in età scolare.
A proposito! È un po’ che non ti parlo più degli altri ragazzini. Vanno clamorosamente migliorando anche loro.
Samuele è quello più cambiato. Altro che lentezza, ora è un ghepardo. Non mi sembra proprio più lo stesso bambino che una volta si imbambolava a rispondere “sììììì” e occorreva mezz’ora prima che aprisse il quaderno, prendesse la penna e scrivesse la data.
Sembra che in tutti sia entrato il Verbo anzi per meglio dire il nerbo, e solo per il fatto di sapere che c’è in ballo una grossa posta valga la pena d’impegnarsi. Anzi, secondo me non si ricordano neanche più perché lo stanno facendo. Ce la stanno mettendo tutta per il solo gusto di riuscire, è come se avessimo già vinto.

Caro Diario,

è arrivato finalmente il giorno del test.
Stamattina.
Ho detto ai ragazzini che dovevamo prima fare un giro di prova, per scaldarci, come allenamento. Loro erano tutti contenti.
La prova non sarebbe durata molto, ma io volevo fare in modo che la affrontassero nelle migliori condizioni.
Ho chiesto alle bidelle di non entrare a consegnare nessun avviso, alle colleghe di non interrompere piombando in classe alla ricerca di qualcosa di strano negli armadi, e a tutti loro ho raccomandato di andare in bagno prima dell’inizio del dettato. Insomma tutto calcolato come se si stesse svolgendo l’Invalsi, o quasi.
Tutti presenti.
Mauro aveva uno sguardo alla Bruce Lee, Samuele sembrava Bolt ai blocchi di partenza, il sottobanco di Viviana era sgombro, Luca era seduto, Abdullah zitto zitto. Incredibile, davvero.
Avevo raccomandato a chiunque di tenere la classe alla larga da qualsiasi iniziativa collettiva e di disturbarci solo se la scuola stesse andando a fuoco, ma soltanto nel caso in cui l’aula fosse stata direttamente minacciata dalle fiamme. Ricordavo ancora con una fitta di dolore che all’ultima evacuazione simulata ci eravamo messi in luce come la classe più lenta dell’istituto. Samuele in quell’occasione si era messo a scendere la scala antincendio al ritmo con cui Wanda Osiris incedeva giù dal suo scalone gorgheggiando
Ti parlerò d’amoooooorrr …
Credevo di aver previsto tutto, ma proprio tutto in vista della performance. Quale è stata la mia sorpresa dunque quando ho sentito piegare la maniglia della porta dell’aula, mentre ero già arrivata a dettare la sesta parolina del test ufficiale e tutto procedeva per il meglio?
Solo la mia prontezza di spirito e il fatto di sapere che mi trovavo davanti quattro decine di orecchie minorenni innocenti mi hanno impedito di urlare
“MacccheccazzzooooOOOO!
Neanche novanta secondi di pace tutti filati? Ma è mai possibile?”
Quindi, senza alzare gli occhi dalla cattedra, mi sono limitata a ruggire come il leone della Metro-Goldwyn-Mayer
“E alloraaaaa??? Possiamo aspettare O NOOO?”
Una voce pressoché familiare mi ha risposto con un pacatissimo “Come vuole, ci vediamo in aula insegnanti!”
Ho alzato gli occhi e scorto di sguincio nello spiraglio della porta che si stava richiudendo la sagoma del Dott. De Robertis. Il Preside.
La vista mi si è oscurata all’istante.
Lui, da ex professore di filosofia, sembra averla presa con una giusta dose della sua stessa materia.
Io mi son vista scorrere tutta la carriera davanti in due secondi, caro diario.
Mi sto ancora domandando quante ore di straordinario in commissioni varie mi costerà cancellare l’involontario affronto.  

Caro Diario,

sono al sessantesimo giorno di quarantena. Ho fatto già venti giorni di straordinario, e sono veramente stremata. Scusa se da quando è rimasta chiusa la scuola non ti ho più scritto, ma davvero non ne ho avuto il tempo.
Vedi, non è tanto il fatto che non si possa uscire, il mio problema. Non sono nemmeno incattivita con gli altri, che escono tutti - perché li vedo, dal balcone! - La cosa grave è che non c’è più modo di nascondersi nemmeno sotto un cumulo di foglie, anche perché è primavera.
I merli mi fanno gli sberleffi, proprio come avevo profetizzato. Stanno diventando spavaldi, spudorati. Le altre profezie che si sono avverate? Mah, un po’ tutte, oltre quella che non sarei più uscita di casa dopo il famoso dettato.
Pochissimi compiti, e quei pochissimi divertenti, riassunti delle puntate dei cartoni animati, o fare i lavoretti. Scenette via video e grammatica niente, o quasi. Non certo quanta ne piacerebbe a me. Caramelle e patatine tutti i giorni, certo.
Ma non per i miei alunni, no: per me! Se non mi consolo un po’ con qualche genere di conforto, come farò? E la ginnastica? Tutti dicono che bisognerebbe fare esercizio fisico, ma già non mi piace andare in palestra, figuriamoci a casa sul tappetino in salotto. E i miei alunni? Speriamo bene, almeno chi ha un giardino un po’ di movimento nella legalità potrà anche farlo.
Sì, stavolta è arrivata una prova, ma proprio difficile difficile.
Perché è giusto che tu sappia, caro diario: questa didattica a distanza mi sta uccidendo.
Abbiamo creato, io e le mie colleghe, una mail condivisa per i genitori, così ci mandano i compiti fatti. Dai figli, si spera.
Caro diario, la morale di questo lockdown è che ognuno fa il cacchio che vuole, ma davvero. Mi stanno sommergendo di mail, quando io chiedo solo la restituzione di a-b-c loro mandano d-e-f. Qualcuno anche x-y-z. Qualcuno ha tentato la sparizione, ma implacabili l’abbiamo riacciuffato.
Il punto è che, da quando sono diventati efficienti, i miei alunni sono anche più esigenti. E i genitori annaspano.
Sarà stanchezza o legittima difesa?
E vogliono i vocali delle letture, e non vogliono le schede perché se non riescono a stamparle devono copiarle, loro, non certo i bambini perché non c’è verso, e i video sono pesanti da caricare, e il link no, perché hanno problemi di connessione. Loro però? Le schede me le mandano sfocate, capovolte, microscopiche. Quando invio le correzioni rispondono “Eh? Sì perché? E infatti cosa c’è scritto?” Ma scusa, se ci sono gli allegati, lo sai tu cosa vuol dire essere colto in flagrante, o no?
Bisogna farcirli di roba da fare, i miei amati alunni, perché non riescono a tenere buoni i figli neanche col gatto a nove code, questi poveri genitori.
Ma non c’è niente che vada davvero bene, come proposta. Agli uni, agli altri o a entrambi. Il lavoretto lo fanno loro, i genitori, di nascosto, anziché imporsi sulla prole perché almeno tre-volte l’anno-tre prendano in mano quelle benedette forbici e si mettano a ritagliare. Non faccio altro che arrabattarmi a trovare cose per tenerli occupati, ‘sti bambini, e poi per qualche ragione a qualcuno non vanno mica bene. Ho voglia di mandare tutto al diavolo, caro diario.
Soprattutto, questi ragazzini hanno preso un ritmo che mi fa veramente paura. Sono diventati troppo veloci.
Mi sembra di dover gestire un dobermann, se lascio la ciotola vuota per troppo tempo rischio di finire sbranata, aiutooo!
Ci mettono un attimo a finire le consegne, perché per non dover mettere troppo in mezzo le mamme e i papà, che sono sull’orlo di una crisi di nervi collettiva, ho abolito quelle più difficili e sto semplificando tutto parecchio.
Ma parecchio, eh?
E quindi tutti i giorni bisogna postare qualcosa da fare sul registro, se no si annoiano, si lamentano. Mi hanno scritto sulla mail di classe anche a Pasquetta! Pasquettaaa! Purtroppo le rappresentanti hanno per forza il cellulare mio e delle mie colleghe. È una situazione senza uscita, caro diario. Altro che quarantena senza uscir di casa. Non troverei pace nemmeno se mi chiudessi nella cabina armadio.
Se avessi tenuto duro un altro po’, se li avessi lasciati nella loro condizione precedente, adesso non sarei in questo marasma.
Quando mai!
Rivoglio i miei alunni di una volta, lenti, riposanti, magari un po’ svogliati, forse simpaticamente demotivati. Da spronare di continuo.
È che… Proprio non riesco più a star loro dietro.
E invece mi tocca rincorrere le nuove disposizioni ministeriali, ma al contrario. Lasciar modo di svolger le attività con tutta calma, anche se questi fremono. Insistere sul significato di questo tempo sospeso e sul valore educativo della noia.
Certo, come no! E se passa un giorno senza che ti fai sentire, fosse anche una festa comandata, sembra che tu ti stia sollazzando fra mojito e bagni di sole in terrazza.
Finirò per lasciarci le penne, ma non quelle che si mettono nell’astuccio.
Altro che virus. Ho il fiato corto anche senza Covid 19, figuriamoci se mi ammalassi.
Ah, ma non te l’ho detto? Ho sentito che a Marinella è venuto un febbrone, tosse, è stata male come un cane. Chissà cosa s’è beccata, dove e come. S’è curata a casa, per fortuna non ha avuto complicazioni. Appena è stata meglio ci ha avvisato di un nuovo progetto da portare avanti via web, a distanza. Voleva coinvolgere le nostre classi, pensa sempre a noi! Stavolta l’abbiamo dribblata con nonchalance sopraffina.
Che ne sarà di tutti noi? E chi lo sa, diario mio. Qualcuno paventa che per recuperare le lezioni perse quest’anno si proseguirà anche a luglio e agosto.
Ma dico, scherziamo?
Io, se proprio proprio devo mettermi a disposizione, lo farò solo per Mauro. Mi manda delle mail che sono una spremuta d’affetto, in un italiano traballante che però gronda riconoscenza. Povero Mauro, scampare al peggio nel suo paese per venirselo a beccare proprio qui. E poi, diciamocelo, mi mancano parecchio anche i suoi genitori. La mia chioma è passata dalle stelle allo stallo.
Caro Diario, speriamo finisca presto tutta la dannata faccenda. Non sono una nativa digitale, io. Sono nata nell’era geologica del Cartaceo Superiore e tutta questa tecnologia, questa immediatezza, questo botta e risposta mi stanno sfiancando. Mica mi vorranno morta, vero? Possibile che non la capiscano?
Io invece ti assicuro che l’ho capita, la lezione del virus.
Avevo la classe perfetta, ma proprio perfetta per queste circostanze… E per la fretta di migliorare me la sono lasciata sfuggire!
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