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Pietro Rainero
LAGUNANDO 2023 > selezionati 2023 Poesia e narrativa > Orti dei Dogi - narrativa
Laureato in fisica con una tesi sui quark ed è da poco tempo in pensione dopo essere stato docente di matematica e fisica in diversi licei.
Collabora con riviste e siti web e scrive anche per l’importante e seguitissimo blog culturale ”Alla volta di Leucade”.
Dal 2013 è giurato nella sezione racconti del premio “Gozzano” e dal 2022 è presidente di Giuria nella sezione fiabe del concorso “Città di Cologna Spiaggia”.
Ha scritto 137 racconti, è presente su 318 antologie e ha pubblicato dodici raccolte di racconti.
Ha al suo attivo anche una settantina di primi posti nei concorsi di prosa. Ama misurarsi con una grande varietà di temi all’insegna dell’ironia, dell’antifrasi, della leggerezza, del gusto contaminatorio, di un estro talora surreale.
Già presente edizione:






Orti dei Dogi
-Narrativa-
C.E.R.N.
                                                (L’anomalia del Lep)





Una cartolina!
Un bianco abbagliante! Tutto bianco: la montagna, il paesino con le casette fatte di legno e la grande distesa pianeggiante che circondava il paese. Tutto questo sotto un sole accecante.
Il treno, proveniente da Domodossola e diretto a Ginevra, procedeva a gran velocità nel canton Vallese, e Piero si godeva, il viso incollato al finestrino, quello spettacolo stupefacente. La recente nevicata aveva infatti ridipinto di bianco il piccolo paese alle pendici dell’alta collina, che si ergeva nella valle pianeggiante che il convoglio stava rapidamente divorando.
Altre due persone occupavano lo scompartimento ad 8 posti: Gemma, una collega di Piero, ed un signore svizzero, ai due sconosciuto.
Che fosse svizzero Gemma e Piero lo avevano dedotto immediatamente: non appena era salito sul treno, ad una fermata intermedia, e si era accomodato nello scompartimento, aveva subito eccepito sulla collocazione della valigia di Gemma.
Vi spiego meglio: Piero era seduto vicino al finestrino, con la sua valigia nel bortabagagli, posta direttamente sopra la sua testa. Gemma si era accomodata davanti a Piero, anche lei vicino al finestrino, nel verso di percorrenza opposto a quello del treno.
Il signore appena salito si era seduto in un posto a due metri dalla finestra e sulla sua testa aveva trovato (inconcepibile per lui!) il bagaglio di Gemma.
Invece di posizionare tranquillamente la sua valigia in uno qualsiasi dei sei posti liberi rimasti in alto, aveva preteso che Gemma spostasse la propria in modo tale che ciascun viaggiatore avesse allo zenit, proprio sopra il proprio capo, il suo bagaglio!
Ogni bagaglio doveva corrispondere in verticale al proprio proprietario, che diamine!
Come vedete, un personaggio di una precisione maniacale.
Non c’era alcun dubbio: il signore doveva essere svizzero!  

Anche al confine, pochi minuti prima e poco dopo Domodossola, Piero e Gemma avevano avuto modo di sperimentare l’estrema accuratezza, la puntuale precisione, addirittura la pignoleria, se volete, degli svizzeri.
Infatti i gendarmi di frontiera, accompagnati dai cani antidroga, erano saliti a bordo del treno e avevano minuziosamente controllato i documenti di tutti i passeggeri, passeggeri abbondantemente anche fiutati, più volte, dai cani.
Come vedete, neppure uno spillo, se non dopo attenti controlli, può entrare in Svizzera, e neppure uno spillo, nella Confederazione dove gli orologi battono all’unisono, può stare fuori posto.

Ma chi erano Gemma e Piero? E cosa andavano a fare a Ginevra?
Presto detto: Gemma e Piero erano due laureandi in Fisica dell’Università di Genova.
Perché andavano a Ginevra? Non sapete che appena fuori Ginevra è posizionato il grande acceleratore di particelle del Centro europeo per la ricerca nucleare, il C.E.R.N.?
A quei tempi l’acceleratore era il LEP (oggi sostituito da LHC), una macchina circolare di ben 27 chilometri di circonferenza, costruita al confine tra Francia e Svizzera, e che si estendeva anche un poco sotto i rilievi del Giura.

I due giovani andavano ad una riunione dove sarebbero stati discussi gli ultimi risultati di un certo esperimento. Piero si occupava dello studio di una particella chiamata mesone D, ed in particolare di determinare la vita media di questo oggetto subnucleare, durata di vita non particolarmente invidiabile trattandosi di circa un millesimo di miliardesimo di secondo.
Gemma voleva invece concepire e costruire una apparecchiatura in grado di mantenere l’antimateria (in questo caso gli antiprotoni) lontano dalla materia ordinaria, per evitare le distruzione di entrambe sotto forma di un fiotto di raggi gamma.
Gemma voleva intrappolare gli antiprotoni, era una cacciatrice di antiprotoni!

Le ruote del treno si fermarono alla stazione centrale di Ginevra alle 18 e 17, in perfetto orario (c’è bisogno di dirlo?).
E i due si trasferirono in autobus, stanchi morti, a Meyrin, a pochi chilometri di distanza, nelle stanzette loro assegnate alla foresteria del C.E.R.N. per un giusto riposo notturno.
A Piero, che non era riuscito neanche a cenare, era toccata in sorte una cameretta che distava solo un centinaio di metri dal territorio francese.
Il mattino seguente, a colazione, i due trovarono il loro relatore di tesi che li aspettava alla caffetteria del Centro, davanti ad un fumante cappuccino e ad un gigantesco croissant.
La giornata sarebbe trascorsa in riunioni ristrette a pochi membri per mettere a punto le relazioni da presentare poi l’indomani al workshop. E così fu.

La serata trascorse invece in modo molto meno noioso.
Il loro professore li aveva infatti invitati a cena in un paesino delle vicinanze, presso un ristorante che godeva di una straordinaria fama nella preparazione di cibi a base di succulente carni.
Tutto questo per la gioia di Piero, che a mezzogiorno aveva sbagliato fila alla mensa e si era incolonnato in quella dei vegetariani, con la conseguenza che il riso condito col chili messicano che gli era toccato era risultato immangiabile: il chili era infuocato!
La cena, viceversa, merita di essere ricordata per le interessanti discussioni che l’avevano accompagnata.
Infatti al tavolo, oltre a Piero, Gemma ed il loro relatore di tesi, sedeva un altro docente, un professore di Storia della fisica dell’Università statale di Milano, del quale ora mi sfugge il cognome.
Piero si era innamorato dell’ Astronomia fin da piccolo, e fu per lui un vero piacere gustare, oltre alle prelibatezze a base di carne, anche la conversazione dello studioso di Storia.
Il quale scambiò con lui una lunga serie di opinioni sul lavoro di Halton Arp, un astronomo statunitense che aveva individuato, in una serie di fotografie, coppie di galassie che parevano in stretta connessione tra loro e mettevano in discussione, a causa del diverso red shift, lo spostamento verso il rosso della loro luce, l’interpretazione standard, canonica, che considerava il red shift come cosmologico, cioè dovuto all’espansione dell’Universo.
Dopo aver discusso dell’eretico Arp, il docente di Milano aveva anche fatto una divertente digressione sugli anagrammi, digressione che forse troverete interessante anche voi.
Aveva raccontato di come nel diciassettesimo secolo Galilei, Huygens e altri studiosi divulgassero le loro scoperte sotto forma di anagrammi. Questo permetteva a loro, inviando le criptiche frasi ad altri scienziati concorrenti, di assicurarsi la priorità della scoperta, ma di avere anche il tempo di verificare le osservazioni.  
Per esempio, un giorno, o per meglio dire una notte, Galileo osserva grazie al cannocchiale la forma singolare di Saturno. Il suo strumento però non era sufficientemente potente da distinguere gli anelli che circondano il pianeta, ed egli si convinse che Saturno fosse formato da tre pianeti incollati, uno grosso e altri due più piccoli.
Egli inviò dunque a Keplero, che si trovava a Praga, una serie di lettere mescolate in una sequenza incomprensibile: smaismrmilmepoetalevmibunenugttaviras.
Keplero trova un anagramma latino per questa frase: salve umbistineum geminatur Martia proles.
Che significa: salve, doppia protezione dello scudo, covata di Marte. Keplero quindi crede di capire che il collega abbia scoperto due satelliti (doppia protezione) di Marte (di cui lo scudo è l’emblema). Dopo qualche tempo, e dopo che anche lo studioso inglese Harriot si fu cimentato vanamente per settimane nel tentativo di sviscerare il rompicapo, Galileo decise che fosse arrivato il momento di svelare l’esatta soluzione: altissimum planetam tergeminum observavi, cioè ho osservato che il pianeta più lontano è trigemellare”
“Ah” disse Gemma “allora potremmo dire che gli studiosi di quei tempi erano due volte ricercatori: cercavano scoperte in cielo e leggi della natura, ma anche cercavano come trovare nuove combinazioni di sillabe, lettere e parole. Insomma... di ritrovare delle parole!”
“Sì” le rispose lo storico “Alla fine del 1610 lo stesso scenario si ripetè, allorquando Galileo scoprì le fasi di Venere. Egli pubblica allora l’anagramma seguente: haec immatura a me iam frustra leguntur: o,y che possiamo tradurre come queste lettere premature sono state lette da me invano: o,y.  La soluzione della frase era Cynthia figuras aemulator mater amorum, vale a dire la madre degli amori imita le sembianze di Cinzia ovvero Venere ha delle fasi, come la Luna.
Ma il primo gennaio 1611 Keplero, di buon mattino, crede di aver decifrato il messaggio trovando il seguente testo: nam Jovem gyrari macula hem rufa testatur.
Che significa Per Giove, ecco! Ruota macchiato di una macchia rossa.
Non si trattava certo della buona combinazione ma, clamoroso e incredibile, questa falsa soluzione corrisponde ad una verità astronomica!
La macchia rossa di Giove, gigantesco uragano invisibile con gli strumenti dell’epoca, sarà osservata mezzo secolo più tardi da Cassini e Hooke.

Alla fine di queste leccornie di Storia della scienza servite dal professore della statale di Milano, e tra una portata e l’altra delle leccornie del ristorante, servite dagli impeccabili camerieri, la piacevole conversazione traslò sugli esperimenti che in quel periodo erano in corso al LEP per stabilire la vita media del mesone D, curiosa particella che tra i suoi costituenti presentava un nuovo tipo di quark dotato di una proprietà che i fisici avevano battezzato charm, incanto.
E anche sui tentativi di allestire un dispositivo capace di intrappolare l’antimateria, per poterne studiare comodamente le caratteristiche.
Il professore di Genova raccontò al collega milanese di una stranissima anomalia che il LEP aveva palesato.
“Il LEP” disse il relatore delle tesi di Gemma e di Piero “è un acceleratore nel quale un fascio di elettroni e uno di positroni ruotano in senso opposto e si scontrano in alcuni punti con un’energia adeguata per sondare le proprietà dei bosoni W e Z, e, si spera, possa anche essere sufficiente per rilevare il bosone scalare, il bosone di Higgs, finora solo previsto teoricamente. Il tunnel principale dell’acceleratore è lungo quasi 27 chilometri ed ha un diametro di quasi 4 metri. Il tunnel si trova sotto terra a una profondità media di 100 metri e l’anello è leggermente inclinato con una pendenza di poco più dell’uno per cento.
Ai tempi dello scavo i lavori subirono ritardi per un curioso problema legale: poiché in Francia (ma non in Svizzera) la proprietà dei terreni si estende illimitatamente fino al centro della Terra, i lavori di scavo avrebbero richiesto la preventiva autorizzazione di tutti i proprietari dei terreni coinvolti. Tale stallo finì solo dopo che le autorità francesi ebbero emanato una dichiarazione di utilità pubblica, con la quale fu possibile baipassare le autorizzazioni.
“Ma perché si è scavato sotto terra?” chiese, molto interessato, il prof milanese.
“Non soltanto perché acquistare i terreni necessari per ospitare l’enorme anello sarebbe costosissimo, ma anche perché si riduce l’impatto sul paesaggio. Ma il motivo principale è che in tal modo si dispone di uno schermo naturale contro le radiazioni, sia quelle prodotte dalla macchina accellelatrice, sia quelle provenienti dal cosmo e che possono disturbare l’analisi dei dati. La galleria è una meraviglia ingegneristica: è lunga come la Circle Line della Sotterranea di Londra ed è stata scavata in parte sotto la Svizzera e per la restante parte, la maggiore, sotto la Francia.
Tremilacinquecento elettromagneti incurvano i fasci di particelle per far seguire loro una traiettoria circolare e altri mille concentrano i fasci per aumentare la loro densità. Il tubo toroidale in cui si muovono gli elettroni ed i positroni è il più grande apparato ad alto vuoto mai costruito: la pressione del tubo è inferiore a quella esistente sulla Luna.
I positroni sono accelerati lungo il percorso che si svolge sotto i vigneti della Svizzera e attraversano il confine con la Francia 11000 volte al secondo, in una frenetica corsa sotto il ristorante cinese situato a Ferney presso la statua di Voltaire, e sotto i campi, le foreste e i villaggi delle colline ai piedi della catena del Giura. Gli elettroni sono coinvolti in una storia simile, perché i campi magnetici guidano queste particelle e i positroni lungo lo stesso percorso circolare ma nei due versi opposti. In alcuni punti del percorso i fasci vengono fatti intersecare e gli elettroni e le loro antiparticelle si scontrano, generando un nugolo di altre entità elementari quali muoni, kaoni, pioni o neutrini, oggetto poi di studio, come se dall’urto tra due automobili saltassero fuori una motocicletta, un camion a rimorchio ed una bicicletta, accompagnati magari da un palloncino.
Le particelle compiono un giro completo in circa 90 milionesimi di secondo e l’energia che rilasciano nella piccola regione dove si scontrano riproduce in miniatura quella che fu la situazione dell’intero Universo nei primi istanti successivi al Big Bang”.
“Interessante, davvero!” fu il commento del docente milanese, mentre Gemma e Piero avevano ascoltato pazientemente in silenzio il racconto di qualcosa che conoscevano a menadito.
“Ma c’è un altro fatto davvero interessante, e strano” riprese il docente genovese “si tratta di un comportamento anomalo, inspiegabile, che si è palesato fin dai primissimi esperimenti effettuati con la grande macchina!”
“Di che si tratta?” chiese incuriosito il docente che sapeva tutto di Galileo e Newton.
“I fasci di particelle accumulano ritardo via via che circolano nella galleria del LEP! E’ assurdo!! In tutti i laboratori terrestri, e per quel che ne sappiamo in tutto l’Universo, le leggi dell’elettrodinamica quantistica prevedono i risultati degli esperimenti con una precisione assoluta, straordinaria. Ma nel LEP un giro completo del tunnel dovrebbe essere compiuto in 89 milionesimi di secondo e invece...”
“E invece?”
“E invece gli elettroni, e anche i positroni, impiegano 91 milionesimi di secondo”
“Milionesimo più, milionesimo meno...” scherzò il professore di Storia.
“Ma le particelle subatomiche non sono treni che arrivano in ritardo: devono seguire inesorabilmente le ferree leggi di natura. Ed è come se un convoglio accumulasse due minuti di ritardo ogni ora e mezza di viaggio. Questa questione, l’anomalia del LEP, costituisce il più grande grattacapo odierno della Fisica: non lascia dormire in pace i teorici, e neppure gli sperimentali come il sottoscritto. Però il qui presente Piero afferma di avere una soluzione, anche se non ha voluto esporla a nessuno. Sono impaziente di sentirla domani durante il workshop!”
“Allora, Piero? Quale è la spiegazione della anomalia?” insistette il prof che conosceva a menadito pure Copernico, Keplero, Lagrange e anche Torricelli.
“Niente. Non dirò nulla fino a domani. Top segret, sarà una bomba! Se vuole può venire però a sentire la conferenza sull’esperimento”
“Ah, misterioso, vero? Bene...” riprese il docente di Milano “Le auguro di azzeccare la spiegazione giusta. E auguro a tutti e tre di trovare presto in futuro, grazie all’acceleratore, l’accélérateur de particules, il bosone scalare, detto anche bosone di Higgs. Dato che alcuni pretendono che questa sia la particella di Dio, questa scoperta éclipsera l’éclat du Créateur, eclisserà lo splendore del Creatore”
“Ah, un altro bellissimo anagramma” commentò Gemma, che poi continuò “Ma per rilevare il bosone di Higgs ci vorrà una macchina più potente, l’LHC”
“Comunque quando troverete il bosone scalare, le boson scalaire, festeggiate con una birra senza alcool, una biére sans alcool” raccomandò, sorridendo, il simpatico storico della scienza ammannendo loro l’ennesimo anagramma.
Alle risate degli altri tre commensali, egli continuò: “Visto che apprezzate tanto gli anagrammi, ve ne regalo altri due. Il primo sulla relatività: la vitesse de la lumière, la velocità della luce, diventa limite les rêves au-delà, cioè limite oltre i sogni. Il secondo invece è sul vuoto quantico. Se un moderno Galileo avesse intuito che il vuoto quantistico, come oggi sappiamo, non è un niente, ma un oceano riempito di particelle virtuali capaci, in certe circostanze, di accedere all’esistenza, potrebbe tentare di farlo sapere pubblicando questa domanda: Qu’est-ce que la Terre devant ces vallées supérieures de pétillement d’étoiles? Cos’è la Terra davanti a queste alte valli di stelle scintillanti?”
“E cosa potrebbe dedurne un moderno Keplero?” domandò il relatore di tesi.
“Le vide quantique est et reste la source réelle de l’espace-temps et de l’Univers? Il vuoto quantistico è e resta la sorgente reale dello spazio-tempo e dell’Universo?” lo accontentò l’esperto di Storie scientifiche.

E così si concluse la cena a base di succulente bistecche, e la magnifica serata.
Anzi, non si concluse del tutto: perché Piero, rientrato al C.E.R.N., decise di prendere l’autobus per il centro di Ginevra, per vedere di notte lo spettacolo della stupenda fontana, il famoso “Getto d’acqua”, che raggiunge i 140 metri di altezza.
Sceso dal bus chiese informazioni sul percorso per arrivare alla fontana, ma fu piuttosto sfortunato. Si inbattè in tre persone che parlavano solo russo, polacco e portoghese!
Decise allora di gironzolare un po’ a casaccio.
Il centro della città gli apparve piuttosto monotono: percorrendo una via si incontravano, una dopo l’altra, una banca, una gioielleria e una concessionaria della Ferrari e, svoltato l’angolo, ci si imbatteva invece in una gioielleria, una concessionaria della Ferrari e una banca. Se cambiavi strada trovavi una concessionaria della Ferrari, una banca e una gioielleria. A causa del tremendo freddo (forse lo ignorate, ma Ginevra d’inverno è una delle città europee più fredde), dopo aver osservato l’isoletta che ospita il monumento a Rousseau decise di desistere e ritornare alla calda cameretta del Centro di ricerca.
L’indomani mattina, dopo colazione, durante la quale scambiò qualche parola col suo relatore e con Gemma, ebbe tempo di spedire una cartolina acquistata la sera precedente.
Nella buca postale del C.E.R.N. infilò uno stringato messaggio, a mò di telegramma, destinato ad un suo caro amico, un impenitente donnaiolo.
E poiché nella passeggiata della serata precedente non aveva incontrato molte persone, e di certo nessuna avvenente donzella, questo fu il testo della cartolina:

C.E.R.N.         bellissimo
F.R.E.D.D.O.  boia
D.O.N.N.E.     zero

Poi si recò a visitare il centro di calcolo, chiedendo ad un tizio incontrato per strada, una via intitolata a Niels Bohr, dove si trovasse l’edificio che ospitava le Centre du calcul (provate voi, se volete, a trovare un anagramma di senso per queste parole), ricevendo come risposta sì l’indicazione cercata, ma anche una correzione nella pronuncia del francese.
“Deve sicuramente essere svizzero” pensò Piero.

E finalmente, nel pomeriggio, l’agognato workshop, l’importante seminario di lavoro.
Nella grande sala, affollata da una cinquantina di scienziati, in prima fila, accanto ad un inglese responsabile dell’esperimento NA27 dedicato al mesone D, e a Emilio Picasso, progettista del LEP, sedevano due o tre fisici che erano già stati a Stoccolma a ritirare un ambito premio, e tra questi anche Carlo Rabbia.
Come dice il cognome quest’ultimo, che usando l’SPS, l’apparato predecessore del LEP, aveva scoperto due importanti oggetti subnucleari, non aveva un carattere molto dolce e remissivo, ma di norma era molto agguerrito e competitivo, nonché dotato di incontenibile energia.
Dopo una discussione inerente a un barione battezzato lambda ci, che amava mostrare anch’esso una anomalia nel disintegrarsi in altre particelle, la parola passò al professore dell’università genovese, relatore di tesi dei nostri due studenti, il quale esordì dicendo:
“Cari colleghi, la riunione odierna ha come punto focale la nota questione del ritardo palesato tanto dagli elettroni quanto dai positroni nel percorrere l’intero anello del LEP.
Il tunnel del LEP è lungo 26 chilometri e 700 metri e gli elettroni, insieme ai loro fantasmi speculari, i positroni, corrono lungo il percorso quasi alla velocità della luce ma accumulano sistematicamente un ritardo di 2 milionesimi di secondo ogni giro compiuto.
Il nostro gruppo ha posizionato in vari punti lungo il percorso dei rivelatori per studiare la velocità delle particelle e ha fatto una scoperta davvero notevole”
“Ah, sì? E quale?” La domanda arrivava dalla prima fila, dalla bocca di Carlo Rabbia.
“Abbiamo scoperto che le particelle non rallentano progressivamente girando nell’anello, ma solo in 4 punti particolari.
Ci sono 4 posti dove sembrano fermarsi per un milionesimo di secondo. E poi ripartire alla velocità dela luce”
“E’ ridicolo!!” fu il commento lapidario di Carlo Rabbia, commento che lasciava trasparire una, per nulla velata, critica alla bravura dei colleghi coinvolti nell’esperimento.
“Eppure abbiamo controllato e ricontrollato tutto. Tra l’altro, i magneti e tutte le strumentazioni dei rivelatori funzionano benissino”
“Sì. I magneti superconduttori funzionano a meraviglia lungo tutto il percorso” confermò Emilo Picasso.
“E’ assolutamente un rompicapo” riprese il fisico genovese “e, se osservate la diapositiva che vi sto proiettando, potete vedere i posti dove succede questa cosa inspiegabile.
Ecco, questa è una mappa del LEP con evidenziati il punto A, il luogo cioè dove vengono immesse nell’anello le particelle, e gli altri, B,C,D,E, laddove si notano i rallentamenti.
Visti dall’alto gli elettroni ruotano in senso antiorario, e i positroni ovviamente invece in senso orario. Guardate!







Ecco qua. Ci capite qualcosa, cari colleghi?”
“Assurdo” disse, dalla prima fila, Carlo Rabbia.
“Assurdo” disse dalla seconda fila Colin Fisher.
“Assurdo” disse dalla prima fila il Nobel Samuel Ting.
“Assurdo” disse dalla terza fila Gian Francesco Giudice.
A questi commenti seguì un lungo silenzio, rotto dal relatore di tesi di Piero e di Gemma, la cacciatrice di antiprotoni, che riprese a parlare affermando “Un mio dottorando, però, sostiene di essere venuto a capo del rompicapo. Direi di dargli la parola e sentire la sua spiegazione. Prego, Piero...”
Piero salì sul palco, con l’animo in tumulto. Stavano per ascoltarlo tre premi Nobel e altri numerosi, prestigiosi scienziati. Si schiarì la voce.
“Bene, ecco cosa ho trovato dopo una attenta analisi dei dati trasmessi da Ginevra a Genova ed elaborati dal computer della nostra facoltà.  
Gli elettroni rallentano e sembrano fermarsi un attimo, per la precisione un milionesimo di secondo, in due soli punti dell’anello, in C e in E.
Mentre i positroni rallentano in D e in B. E questo sembrerebbe assolutamente inspiegabile”
“E’ senza spiegazione” disse dalla prima fila Abdus Salam.
“Non si può spiegare” disse dalla terza fila Rolf Dieter Heuer.
“Non riesco a spiegarlo” disse in seconda fila Luciano Maiani.
“E’ assolutamente inspiegabile!” disse in prima fila Carlo Rabbia.
“Ma dopo che avrò completato la cartina aggiungendo solo una semplice linea, tutto vi apparirà di una limpidezza cristallina!” aggiunse un trionfante Piero, proiettando la diapositiva successiva.







“Ecco. La linea rossa traccia il confine tra Francia e Svizzera. Ora l’interpretazione è, ovviamente, immediata!!”
“Cosa diavolo vuole sostenere?” era il solito professor Rabbia.
“Beh, è semplice! Gli elettroni si fermano un attimo solo in C e E, quando entrano in Svizzera, ma non quando entrano in Francia. E gli antielettroni in D e B, solo nel momento nel quale entrano in Svizzera. Tutte le particelle che percorrono l’anello rallentano solo quando attraversano la frontiera ed entrano in territorio elvetico. La spiegazione è ovvia, conoscendo la cura maniacale e l’attenzione delle guardie svizzere per le regole ed il loro inesorabile rispetto: evidentemente il fascio di particelle si ferma al confine per far visionare dai gendarmi i documenti, carte d’identità o passaporti che siano, e le guardie sono certamente in grado di svolgere queste mansioni in un milionesimo di secondo, addestrate come sono!!”
A queste affermazioni Carlo Rabbia, con la faccia rossa per la rabbia, sbottò “Ma è completamente impazzito??”
Ma Piero fu pronto a rispondergli: “Lei, egregio professor Rabbia, è in grado di suggerire una migliore interpretazione dei dati?”.
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