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Sara Romanato
LAGUNANDO 2023 > selezionati 2023 Poesia e narrativa > Isole della Laguna - narrativa
Scrittrice, fondatrice di “le parole giuste per raccontarti”
Servizio di scrittura testo ed editing.
Isole della Laguna
-Narrativa-
Photo         



                          

Come ogni sera, quando il sole incendiava l’acqua del Canal Grande, indossava il suo costume e la maschera. L’operazione di vestizione sarebbe durata fino al calare dell’oscurità quando mille puntini di luce avrebbero reso la città un firmamento terreno. Iniziò col farsi la doccia. Si lavò per bene con un sapone al profumo di tiglio e rosmarino. Quelle fragranze mediterranee erano le uniche in grado di ricordargli di essere ancora vivo. Un’anima scesa per compiere un percorso, non già al traguardo finale. Si lavò i fini capelli brizzolati in una nuvola di schiuma e, quando i vapori dell’acqua bollente resero la stanza un luogo indefinito di chissà quale mondo, chiuse il rubinetto e tirò la tenda.
Si asciugò con attenzione e fece cadere sulla pelle candida della polvere di riso che l’avrebbe resa eterea. Quando aprì leggermente la finestra che dava sul canale, un vortice d’aria fredda lo fece ritornare di colpo lì, nel suo corpo.
Nella stanza da letto teneva appeso il suo costume. Quello che lo accompagnava ogni sera per le calli e per i campi. Una volta addosso gli conferiva un aspetto antico e vetusto che ben si addiceva ai suoi capelli non più scuri ma venati d’argento. Era composto da una lunga giacca nera ricamata e bordata di bianco e da un pantalone, anch’esso nero, con una riga bianca laterale decorata con fili d’oro e argento. In testa indossava un grosso copricapo con piume e ricami. Il tessuto era pesante, adatto alla stagione fredda.

1
Prima di uscire si sedeva sempre sul balcone osservando gli ultimi raggi di luce morire nell’acqua e chiedendosi se fosse proprio così la morte. Una lenta discesa dello spirito nelle acque dell’aldilà.
Poi, indossava la maschera che lo rendeva definitivamente un altro e chiudeva il pesante portone dietro di sé.
Il suo percorso era un intervallarsi di luci e ombre, salite e discese fino alla destinazione finale. Venezia in quel periodo era solitaria, bella. C’era poca gente che si spostava di sera nei pressi dell’Arsenale. Qualche straniero lo fermava per una
foto: un privilegio, nei mesi che esulano dal Carnevale.
In mano reggeva un piccolo bastone che, ogni tanto, faceva vibrare nell’aria come se, in petto, provasse un senso di oppressione e desiderasse avere la conferma che l’atmosfera lo avvolgesse ancora e non si fosse, d’improvviso, creato il vuoto. Il cielo si faceva sempre più scuro, nero, e le stelle faticavano ad accendersi o rimanevano velate da un sottile strato di tulle che si levava dall’acqua. Chissà se quella sarebbe stata la notte giusta, si chiedeva.
Ne erano passate molte. Tutte scure, tutte uguali. Le rare volte in cui aveva scorto il cielo e aveva osato ammirare il luccichio delle stelle se ne era, poi, ritornato a casa con una delusione ancor più grande. Così, negli ultimi tempi, aveva deciso di non alzare più lo sguardo al di sopra del confine tra la terra e il cielo.

2
Camminava a passo svelto. Ogni passo seguiva l’altro scandendo un ritmo di walzer sui masegni degli Schiavoni. E, in cima a ogni ponte, la maschera si fermava a osservare la distesa d’acqua scura per percepire appena il suo movimento calmo e regolare.
“Excusez-moi, Monsieur!” disse una voce femminile alla sua destra. Si voltò.
“Pardonnez-moi mais, je voudrais prendre une photo de cette nuit avec vous.”
Si limitò a inclinare appena il capo in segno di assenso. Non parlava più da tempo. A malapena ricordava il tono della sua voce e la vibrazione delle corde vocali in gola. Con il tempo, al loro posto aveva iniziato a sentire solo un nodo ruvido e pungente come le corde da attracco dei vaporetti.
“Oh, merci. Merci, bien!” disse la voce.
Era di una giovane ragazza che portava jeans a vita alta con infilata una camicetta color avorio e, sopra, una giacca aperta in lana colore rosso bordeaux. I capelli erano acconciati all’insù e una frangetta le proteggeva la fronte pur lasciandone intravedere, a tratti, il chiarore.
“Vous n’avez pas envie de parler, eh?” chiese accennando un sorriso.
Lui la guardò senza fare rumore ma aprì le braccia simulando un inchino.

3
“Vous êtes drôle et poétique en même temps. Est-ce que vous pouvez vous mettre là? Dos à la lagune, s’il vous plaît.”
La ragazza iniziò a dargli istruzioni sollevando la sua Canon e controllando l’inquadratura sullo sfondo scuro.
Lui eseguì tutto alla perfezione. Non si chiese nulla, non parlò, e i suoi pensieri rimasero separati rispetto a quanto stava accadendo. Era come se non fosse nel suo corpo, come se in realtà non gli appartenesse. Il costume e la maschera erano solo degli altri strati che si accumulavano sul vuoto.
Il suono della messa a fuoco automatica e poi la luce abbagliante del flash scandirono la fine di quell’incontro. Lui si voltò verso il bacino di San Marco e scorse in lontananza la sua destinazione: luminosa e sbiadita.
“Un moment, s’il vous plaît! Vous ne voulez pas voir la photo?”
Ma lui aveva già ripreso il passo senza voltarsi. Non concedeva mai più di uno scatto, né voleva guardarsi intrappolato in quegli istanti. Le sue orecchie fecero appena in tempo a udire uno squillante Merci pronunciato da una bocca ormai lontana.
Quando arrivò alle Zattere la notte aveva già preso il sopravvento. Una scia dorata illuminava l’acqua del Canale della Giudecca separandone la massa scura in due. La scia seguiva ogni suo passo e lui si sentiva, come ogni notte, sospeso tra passato e futuro.

4
Giunse al ponte Longo, salì sulla sommità e si mise ad attendere scrutando l’acqua fino alla linea dell’orizzonte.
Dietro di sé non vi erano più anime intrappolate in corpi erranti per le calli, ma una bruma lattiginosa come se, d’improvviso, fosse avvenuta la fusione di tutte le anime in una. E da quella nebbia, alla quale sembravano unirsi sempre più spiriti rendendola fitta e densa, sperava potesse riemergere un’anima in particolare.
Si erano salutati proprio nel punto dove la laguna diventa mare. Gli aveva suggerito lui di mollare gli ormeggi in quella giornata di primavera. Le acque avrebbero dovuto essere calme nell’accogliere il suo spirito. Ma non poteva sapere se sarebbe andata proprio così.
Poi erano passati i giorni e l’attesa di un improbabile ritorno aveva lasciato spazio al ricordo che, man mano, si era cristallizzato dentro di lui.
Quella notte d’inizio autunno, mentre se ne stava appoggiato con le mani al parapetto di pietra del ponte, un pensiero diverso bucò il velo che era sceso, da tempo, sulla sua mente e sul suo spirito.
Come dei flash ripetuti, l’immagine della ragazza con la macchina fotografica iniziò a farsi strada. L’uomo si aggiustò l’ingombrante cappello e poi si grattò la pelle del volto sotto la maschera. Un rivolo di sudore gelido gli scese sul collo. Si rimise a osservare le acque della laguna e, più in fondo, il perimetro degli edifici alla Giudecca che si distingueva appena dal cielo nero. Pensò, come sempre, a lui.
5
Passò le ore che lo separavano dal sorgere del sole ad aspettare e, man mano che il tempo scandiva l’alba e la scia luminosa degli astri si affievoliva sul mare lasciando spazio all’effusione della luce del giorno, la sua speranza di rivederlo si spegneva come una vecchia lampada a olio che si consuma e, a poco a poco, si spegne.
A sole alto e a passo lento, prima che la città svegliasse i corpi facendoli ricominciare a scivolare per le calli, ritornò a casa. Si spogliò del suo costume e si abbandonò inerme.
La sera seguente, quando si sedette sul balcone ad attendere il buio, aveva una fotografia tra le mani. Lo ritraeva assieme a Berry nel loro giardino segreto all’interno della casa. Berry era un giardiniere e amava la natura e le piante come si amano i figli. Nel giardino c’erano rose e margherite, la pergola con il glicine in fiore e vasi e aiuole vestiti a festa. In quella foto era il momento più bello per quel giardino.
Quando il buio ebbe conquistato tutto il cielo uscì e si incamminò. Svelto e inaspettato il pensiero di lei fece di nuovo capolino. Sembrava avesse atteso il momento giusto per ripresentarsi. Lui si fermò in mezzo alla calle e si appoggiò al portone della casa di Teodoro. Si sentiva in una gabbia aperta senza la capacità di uscirne. E, la necessità di compiere il suo percorso quotidiano prese il sopravvento.
Riuscì a malapena a riprendere il cammino che, poche centinaia di metri più in là, il clic regolare di una macchina fotografica scandiva il ritmo della notte. La ragazza era accovacciata sulla riva degli Schiavoni e scattava cercando di cogliere il momento perfetto.
“Ah, c’est impossible de prendere cette photo” borbottò tra sé.
Lui la vide da lontano e si costrinse ad accelerare. Il suono melodioso della sua voce, però, era diventato inconfondibile.
“Oh, c’est vous! Monsieur… Est-ce que vous pouvez me donner une autre image?” chiese.
Lui rallentò appena. C’era qualcosa dentro di sé che si stava risvegliando, un moto interiore che aveva origine in qualche zona sconosciuta del suo essere. Un qualcosa che lo faceva sorridere e soffrire allo stesso tempo.
Si voltò e fece segno con la testa.
“Oh, bien. Merci” disse la ragazza iniziando a studiare l’inquadratura.
“Est-ce que je peut vous demander où vous allez ce soir?”
Comprendeva bene il francese ma, ciononostante, le parole si rifiutarono di uscire dalla sua bocca.
“Vous n’avez pas envie de parler ce soir aussì” disse lei.
“Je ne veux pas vous déranger, Monsieur!” aggiunse abbassando lo sguardo.

7
Era così innocente, pensò. Le sue guance si erano accese come due fuochi per il freddo o per la vergogna. Continuava a fissare il suolo senza paura di poter rimanere bloccata in quell’istante per sempre.
Le fece cenno di seguirlo in un luogo dove avrebbe potuto scattare foto per tutta la notte. A quel punto neanche lei parlò e annuì appena.
Camminarono in silenzio fino al raggiungimento di quell’ultima propaggine della città sull’acqua, dove la laguna si trasforma in mare. Saliti sul ponte lui si voltò verso l’acqua scura e iniziò ad aspettare.
“Vous attendez quelqu’un, Monsieur?” chiese in un sussurro la ragazza.
“Attendo consapevole che non tornerà” rispose lui, e di colpo si voltò convinto che a parlare fosse stato qualcun altro.
Incrociò il suo sguardo e si rivolse di nuovo a quel magma denso e corposo che strisciava sotto di loro.
“Pardonnez moi mais, je ne comprends pas l’italien” disse lei sospirando.
“Mais, si vous voulez, vous pouvez parler encore” aggiunse.
Ma lui rimase in silenzio a fissare l’acqua scura e lei con lui, interrompendo la sua compagnia di tanto in tanto per scattare qualche foto alla notte.
Quando il buio si ritirò la salutò con un inchino e sparì.

8
La sera seguente si incontrarono di nuovo vicino a San Marco e, dopo lo scatto di rito, si incamminarono verso il luogo che aveva contraddistinto la sua solitudine fino a quel momento e che, in quelle notti, non era più solo suo.
La ragazza lo seguiva e, durante l’appostamento sul Ponte Longo, ne approfittava per gironzolargli attorno e scattare foto sbuffando ogni tanto.
“Je voudrais savoir pourquoi la nuit n’a pas envie de se faire photographier” disse a un certo punto.
Lui la guardò. Era distante quei pochi gradini che lo separavano dall’acqua.
“La notte è come un ricordo. Quando l’anima non fa più parte di questo mondo non ha più senso tentare di imprigionarla in una foto.”
La ragazza era intenta ad armeggiare con la sua Canon e non si accorse del sottile rumore che avevano fatto le sue parole nel silenzio.
“Monsieur, est-ce que vous voulez essayer de prendre une photo?” chiese.
Il sangue gli si gelò nelle vene. Pensò a Berry e a quell’ultima foto scattata in giardino prima del loro addio. Era quasi estate e faceva caldo. Entrambi portavano bermuda, maglietta e mocassini. Il suo colore preferito era il blu mentre quello di Berry era l’arancione. La preferenza si rifletteva sul colore dei loro completi estivi che riportavano, l’uno nell’altro, uno schizzo dell’altro colore, quasi a voler comunicare al mondo la fusione delle loro anime.
Tutt’intorno c’era un tripudio di rosmarino, salvia, timo e menta, e alloro. E, ancora, limone, mandarino e arancio. Tutti chiedevano a Berry come facesse a mantenere in vita gli agrumi a Venezia e lui rispondeva sempre alzando le spalle con un: «Non so, si vede che hanno fiducia nel domani». Berry era così.
“Essaye!” disse la ragazza porgendogli la macchinetta.
Lui inclinò lievemente il capo e alzò le mani in un gesto che conteneva sia il rifiuto che la resa. La ragazza lo osservò e gli si avvicinò più di quanto avesse osato fare fino a quel momento. Gli sfiorò il cappello sentendo la ruvidezza del tessuto e il pizzicore del filo dorato dei ricami. Poi scese all’altezza della maschera e l’afferrò con delicatezza. Lui riuscì a destarsi dalla sensazione di un corpo caldo di nuovo vicino al suo e si ritrasse. La ragazza mollò la presa e fece un passo indietro.
“Tu es seul” disse e si voltò per tornare a scattare fotografie.
Lui osservò con attenzione ogni passo e ogni saltello che la condussero nell’esatto punto da dove era venuta.
Attesero l’alba seduti sul bordo della calle, così vicini all’acqua che questa non sembrava più così scura. Lui ripensò a Berry e a quante volte si erano seduti così sul ciglio a osservare il cielo attraverso le inquadrature, ai cui confini erano i tetti di Venezia. Erano così difficili da guardare ora. Anche la ragazza era assorta nei suoi pensieri senza curarsi, per un momento, della sua Canon. Il suo viso era rilassato e, a intervalli, chiudeva gli occhi e annusava l’aria salmastra. Sembrava concentrarsi su un senso alla volta quasi a voler a tutti i costi imprimere, sul suo rullino fatto di carne e spirito, le sensazioni di quel luogo.
“Voilà, le soleil se lève” disse.
Lui si alzò mentre la ragazza si stava stiracchiando. La aiutò ad alzarsi e le fece cenno di andare.
“Je reviens avec toi” disse.
Ma lui si incamminò senza mai voltarsi. Lo seguì.
Quando furono nei pressi dell’Arsenale lui le fece un nuovo cenno di saluto. Lei non fece in tempo a dire nulla che si era già infilato in una calle stretta e buia sparendo oltre a un portone.
Quella fu l’ultima volta in cui si videro.
La notte seguente non l’avrebbe trovata, nei pressi di San Marco, con la sua Canon pronta a rivendicare un ultimo scatto.
I suoi passi ritornarono soli a far l’eco sui masegni. La sua andatura era lenta quasi non volesse raggiungere quel suo personale punto di osservazione della vita che scorre.
Giunse alle Zattere e si incamminò verso il Ponte Longo. Il suo cervello sapeva bene cosa fare e dava i comandi affinché tutto in lui si verificasse nello stesso modo di sempre: notte, luna, acqua, Berry.
Una volta sul ponte il suo sguardo si perse nell’oscurità in movimento del mare. La prima immagine che gli si presentò fu lei. Lei che stringeva il laccio della fotocamera e si distendeva per terra per cercare lo scorcio migliore. Il puntino rosso bordeaux che gli si era mosso a fianco per quelle due nottate. Poi la sua mente tentò di portarlo più indietro, a quando era rimasto solo in quella città divenuta ben presto straniera, a quando aveva deciso di sparire e di non farsi più vedere se non protetto da un costume del ‘700. A quando Berry coltivava le rose e immortalava momenti. Tutto durò non più di qualche secondo finché, a pugni stretti, dovette arrendersi.
Era ricurvo sul parapetto del ponte e si ancorava con le mani tese alla pietra. Respirava come lo sbuffo di una locomotiva.
L’immagine di Berry sembrava sparire, inghiottita dalle onde.
Del suo ricordo rimaneva soltanto una sensazione nel petto che gli stringeva le viscere, obbligandolo a sentirsi di nuovo vivo. Doveva calmarsi: gli sarebbe venuto un colpo.
Si tolse il cappello e la maschera. Poi, fece i gradini del ponte e si mise a sedere a pelo d’acqua. Distese il volto e chiuse gli occhi. Respirò a pieni polmoni l’aria della laguna. Lasciò che la sua pelle fosse investita dai raggi lunari. Permise al suo corpo di emergere, a poco a poco, dall’oscurità.
Rimase così tutta la notte.
Tornò a casa che era ancora buio. Aprì la porta che dava sul giardino di Berry e vide che il tempo non si era fermato. Le piante avevano continuato a crescere modificando i confini della vecchia inquadratura delle fotografie che li ritraevano felici.
Decise di attendere finché non fosse risorto, di nuovo, il sole.




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