Rosalia Siviero
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Rosalina Siviero
“Orti dei Dogi”
Narrativa
CATTIVI PENSIERI
I pensieri cattivi arrivavano ogni mattina alla stessa ora, mentre si recava al lavoro, nel momento esatto in cui imboccava la via alberata di viale Isonzo. Poi cessavano, appena saliva sul cavalcavia della stazione. La sequenza era sempre la stessa. Si poteva dire che ad ogni platano corrispondesse un particolare nefasto pensiero. Al primo giovane platano a sinistra, Sergio trovava appeso il suo rimpianto per Rita, il suo grande amore perduto, e la fitta al costato arrivava puntuale ad infastidirlo. Appiccicato al platano vicino al bar tabaccheria, lo aspettava il suo senso di colpa per la somma ingente persa al gioco, causa principale del fatto che doveva continuare a lavorare alle soglie dei settant’anni. Il solo ricordo di quel periodo accelerava puntualmente i battiti del suo cuore e sempre si ritrovava con una perla di sudore a rigare la fronte. E infine in corrispondenza al platano sbilenco, quello che annunciava la rotonda poco prima della salita, quello pieno di bubboni, con i rami sgraziati lungo il tronco, come braccia rassegnate, lo invadeva il pensiero suo più brutto, quello del quale non desiderava neppure più ricordarsi che aveva un nome, e immancabilmente gli si indurivano i muscoli delle braccia e delle gambe, e faticava a muovere le mani per girare il volante, per ingranare le marce. Superato il viale, il cavalcavia era un fiume d’aria che si portava via tutto, e Sergio lo risaliva controcorrente, felice, di nuovo libero, nel corpo e nella mente.
Aveva provato a cambiare strada per arrivare al lavoro, ed effettivamente i pensieri cattivi non comparivano. Ma per evitare il viale dei platani, doveva alzarsi molto prima la mattina e sprecare un bel po’ di benzina; non poteva permetterselo e poi gli sembrava una cosa vile, non da lui.
Una notte i soliti pensieri cattivi arrivarono di sorpresa, svegliandolo bruscamente. Non riuscendo a ripigliare sonno, Sergio decise di alzarsi dal letto, di vestirsi e di andare a fare un giro in macchina verso il solito viale; sperava in un duello fratricida fra pensieri neri. Con un po’ di fortuna i disgraziati, messi uno contro l’altro, avrebbero potuto annientarsi a vicenda, e lui avrebbe finalmente riannodato il filo del sonno interrotto. L’indomani sarebbe stata una giornata di lavoro impegnativa, nel bagagliaio aveva già predisposto il materiale edile del quale era rappresentante. Almeno uno dei tre affari programmati andava concluso. In caso contrario, si prospettava un altro mese difficile, per non dire di merda.
Nel buio del viale i platani si vedevano poco, in ogni caso non sentì il solito dolore al costato passando accanto al platano di Rita e nemmeno una goccia di sudore gli scese dalla fonte, superato il platano del gioco, quello accanto alla tabaccheria. Ma l’ultimo albero, il più sgraziato, il più storto, quello accanto alla rotonda era tutto illuminato. E il suo dolore principale, il re dei dolori, era lì che lo aspettava. Parcheggiò la macchina sul ciglio della strada. Tolse dal bagagliaio due paletti, uno più lungo e uno più corto. Con un martello e dei chiodi inchiodò il suo dolore al tronco del platano. Alla fine del lavoro, trovò bella la sua croce e volle avvicinarsi e appoggiarci il petto; sentì contro il corpo il fresco del legno e le sue mani, nell’abbraccio con l’albero, arrivarono quasi a toccarsi.
Allora finalmente il fiume chiuso da tempo nel suo petto ruppe gli argini, gli uscì dagli occhi e in un attimo si portò via tutto.