Rosangela Panuccio
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Rosangela Panuccio
nasce nel 1957 a Torino.
Con la famiglia si trasferisce nel ‘62 a Finale Ligure, dove vive tuttora.
Si laurea a Genova in Lettere e Filosofia nel 1981.
Attualmente è pensionata e si dedica a tempo pieno alla scrittura di poesie e racconti, alla pittura di acquerelli e alla fotografia.
La sua prima pubblicazione, Nugae (ediz. Helicon, giugno 2023), nasce da una serie di testi poetici inediti risalenti agli anni Settanta- Ottanta, limati e riordinati dopo lunghi anni di silenzio.
La seconda raccolta, Primae Novae (ediz. Helicon, ottobre 2023), è stata scritta nel corso del 2023 e si divide in due parti: Inverno e Primavera, Estate ed Autunno.
In ogni mese dell’anno si collocano sei liriche che coinvolgono oltre al rapporto tra l'autrice e la natura, anche un tema dominante come quello del tempo e della memoria
in una dimensione sempre più simbolica.
“Leggere lagune”
Poesia
Ghetto Nuovo
Il campo del Ghetto
smuove l’anima, emoziona.
Chiuso dall’acqua sorniona,
risale al Cinquecento.
S’allargò nel tempo.
Il campo è alberato,
tranquillo, ordinato.
Sono torri le case
con locali angusti sino alle cimase.
Una statua ricorda la Shoah.
Sotto i portici le insegne
di vecchie botteghe, di banchi di pegno.
Era isolato dal tramonto
all’alba, di giorno
ricco di attività, utili a Venezia.
Oggi lì vive una piccola comunità.
I turisti vi girano curiosi,
tra sinagoghe e calli
dove la gente esprime
la propria creatività.
La storia fa amare questo luogo.
Convivere insieme è possibile,
senza chiusure o muri
o guerra e carneficina
come in Palestina.
Senza torti o ragioni
nel rispetto delle diverse realtà.
Lutti e dolori ci sono stati,
ora è il momento della solidarietà,
dei diritti comuni, della tolleranza
per ridare senso
ad una parola fragile:
fratellanza.
Aquileia
Antica città popolosa
una seconda Roma, estesa e famosa
prossima al mare, da mura chiusa
crollate come lei per mano
di un terribile nemico pagano.
Non si riprese più la meravigliosa.
Visse una lenta barbara agonia.
Restano i suoi magnifici edifici:
il foro con i marmi e gli splendori,
la basilica e le tessere dei mosaici.
Il sepolcreto con le sue are
contiene una donna seduta
da una bambina alata sovrastata,
Psiche o Amore che vince la Morte temuta.
Camminare lungo la Via Sacra,
in mezzo ai reperti e alle colonne
costeggiate da cipressi illuminati a sera
dall’ultima luce, graziosa e insonne,
e sentire una pallida malinconia
per una sorte, per una fine arpia.
Pensare al tempo, alla storia
al suo rapido e avido fluire
in un presente sempre più precario.
La gioia è una carezza fugace
della luce diurna, un’allegoria
di cui siamo in cerca quali vele
come l’immagine d’Europa
nel mosaico del ratto crudele
su acque turchesi di vetro
e chioma bionda dietro
su sfondo pauroso nero fiele.
San Giorgio dei Greci
Sulla riva degli Schiavoni
dal ponte catturano
una mole bianca,
un campanile a penzoloni
di una chiesa ortodossa
rinascimentale.
Si specchia nel rio dei greci
elegante e classicheggiante
per le loro preci,
in un breve campo chiuso
da un cancello in ferro traforato
che dà su un canale affollato.
Il campanile domina la scena
ed appare da sempre piegato.
Dentro, le pitture bizantine,
i mosaici e le icone
sono una cascata d’oro, di luce
intorno a Cristo
dallo sguardo abbagliante.
Un angolo di pace,
poco frequentato e affascinante.
Un sedile di pietra nel campo
dove riposare e fermare
i pensieri e il tempo,
assaporare per un attimo
una quiete rara,
una preghiera.
Le parole disturbano,
meglio il silenzio isolato
o lo sciacquio del rio antico
per qualche barca
che fugge veloce
sotto il campanile inclinato.
È un luogo cristiano, della croce,
un luogo del cuore in affanno.
Vi si torna ogni volta come la prima
sempre di mattina, nella luce del giorno.
E ci si allontana ogni volta
con la promessa
di un possibile ritorno.
Biennale 2022
Un arcobaleno di popoli,
arti, culture e colori
per la libertà dell’uomo
nella sua unicità,
nei suoi voli di pensiero
e profonda umanità,
nella sua ricerca di senso
in una realtà spesso priva di ragione,
nel suo dolore reiterato
magari provocato da pochi
a danno di più persone,
nella sua gioia precaria
ma luminosa come l’aria diurna,
nella sua curiosità bambina
innocente e candida come la crinolina
di un abito gonfio e superbo,
pieno di insidie.
Il latte dei sogni
dice l’esposizione
e propone creature fantastiche
e figure in trasformazione
per un viaggio nelle metamorfosi
di corpo, anima e natura
con uomini permeabili, mutanti
dalle nuove forme interiori
e corpi strani esteriori,
dominati dalla tecnica
delle macchine potenti
e alienanti e distanti
dove affoga il dialogo umano,
dove dominano
la fragilità e l’ansietà
del corpo filtrato
da computer e schermi.
Nuova rivoluzione copernicana.
L’uomo non è invincibile,
non è al centro,
fa parte di un sistema
in una convulsa modernità
segnata da infinite possibilità.
Villa Petrarca
Sui Colli Euganei, ad Arquà,
c’è una casa speciale.
Intorno l’ambiente naturale
ricorda la bella Toscana
per luci e dolcezze
della campagna padana.
Qui il Poeta trascorse
i suoi ultimi anni
in pace e tranquillità.
Stava per buona parte del giorno
a curare le piante dell’orto.
È sepolto in piazza,
per sua volontà.
Vi si arriva salendo
un’erta deserta
immersa nel verde
di giardini e campi
tra le cicale, a settembre.
In lontananza, al limite del cielo,
dorati al crepuscolo autunnale
i colli a punta d’un verde intenso.
L’attesa della salita è finita.
Ecco la villa silenziosa,
elegante e fascinosa,
con affreschi ispirati alle opere
e la sedia famosa su cui studiava
e su cui si addormentò per sempre.
Arquà è la culla delle giuggiole.
Andare in solluchero
per la contentezza è normale
in questa casa speciale.
Si respira poesia e malinconia,
quella dell’accidia, del dissidio,
della solitudine e dell’amicizia.
Il pensiero per Laura o per la gloria
pone al centro l’uomo
con le sue fragilità e il dolore
con gli affetti umani e l’infelicità.
Tutto lo fa amare ogni giorno
con più grande ardore.